ISSN 2039-1676


28 luglio 2017 |

Di nuovo alle Sezioni Unite la questione relativa alla legittimazione della parte civile a proporre ricorso per cassazione in materia di sequestro conservativo

Cass., sez. V, ord. 5 aprile 2017 (dep. 7 luglio 2017), n. 33282, Pres. Fumo, Rel. Mazzitelli, ric. Fallimento della Domal di De Lorenzis & c. SAS

Contributo pubblicato nel Fascicolo 7-8/2017

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1. Nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati di bancarotta fraudolenta, su richiesta presentata dalla costituita parte civile, veniva disposto il sequestro conservativo di alcuni beni immobili appartenenti a due imputate. In seguito ad istanza di riesame presentata da queste ultime, il Tribunale di Lecce ordinava l’annullamento della misura, disponendo la contestuale restituzione dei beni. Avverso tale ordinanza ricorreva per cassazione la parte civile esponendo, oltre alla sussistenza di un danno di grave entità, la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 127, 178 lett. c) e 324 c.p.p. Dal combinarsi di tali norme, infatti, si evincerebbe – secondo la ricorrente – il diritto della parte civile di ricevere notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza di trattazione della richiesta di riesame[1]; la mancanza di tale adempimento – non verificatosi nel caso di specie – comporterebbe, ad avviso della ricorrente, la nullità dell’ordinanza impugnata.  

I giudici della V Sezione – vista anche la requisitoria scritta con cui il Procuratore Generale richiedeva declaratoria di inammissibilità del ricorso, in ragione della recente sentenza delle Sezioni Unite n. 4799/2014[2] – rilevano come ai fini della decisione sul ricorso presentato sia, innanzitutto, necessaria la risoluzione del punto di diritto relativo alla «legittimazione della parte civile a proporre ricorso per Cassazione avverso il provvedimento che, in sede di riesame, abbia annullato o revocato il provvedimento di sequestro conservativo disposto, a suo tempo, a favore della stessa»[3], investendo nuovamente del quesito il Supremo Consesso.

 

2. Come anticipato, le Sezioni Unite erano già state interessate da analoga questione attraverso un’ordinanza della II Sezione penale, che aveva loro rimesso la soluzione dell’acceso contrasto giurisprudenziale sviluppatosi in materia[4].

Le Sezioni Unite, con una sentenza alquanto articolata, dissertando sulla generale fisionomia del sistema delle impugnazioni delle misure cautelari reali, avevano risolto in senso negativo la controversia. Accogliendo l’orientamento giurisprudenziale più restrittivo, erano giunte alla conclusione che la parte civile non fosse legittimata a ricorrere per cassazione contro il provvedimento che avesse annullato o revocato, in sede di riesame, l’ordinanza di sequestro conservativo disposto in suo favore, precisando altresì in motivazione come la stessa parte civile non fosse legittimata nemmeno a proporre richiesta di riesame ai sensi dell’art. 318 c.p.p. contro il provvedimento che avesse disposto il sequestro conservativo[5]

 

3. Passando all’ordinanza in commento, la V Sezione osserva come la materia necessiti di ulteriore approfondimento e rielaborazione, trattandosi di un tema molto ampio che coinvolge, da un lato, il ruolo che la parte civile ricopre all’interno del procedimento penale e, dall’altro, questioni legate alla corretta interpretazione della normativa de qua.

In primo luogo, si sottolinea come negare alla parte civile la possibilità di ricorrere per cassazione avverso il provvedimento che annulla o revoca il sequestro conservativo disposto in suo favore conduca all’inevitabile perdita dell’impulso e del contributo che il soggetto danneggiato può apportare partecipando al processo. Pur riconoscendo le esigenze – sottese al c.d. favor separationis – connesse alla necessaria speditezza dell’accertamento della responsabilità penale, e avendo ben presente la struttura duale del meccanismo processuale – fondata sull’antagonismo tra pubblica accusa e imputato –, la V Sezione ritiene essenziale la ricerca un equilibrio che permetta di mantenere il contributo della parte civile, evitando così il proliferare di procedimenti e l’inevitabile disagio dovuto al trasferimento dell’azione civile, già esercitata in sede penale.

Per quanto concerne, invece, la tematica relativa all’interpretazione della normativa, i giudici rimettenti, pur consapevoli della necessità di rispettare i principi generali di letteralità delle disposizioni e tassatività del regime delle impugnazioni (art. 568 c.p.p. e, in tema di sequestri, art. 229 disp. att. c.p.p.), sottolineano come si debba ad ogni modo tener conto della vera ratio legis, andando «al di là del mero involucro verbale della lettera della legge»[6]. In particolare, rilevano come, nel caso di specie, un’interpretazione rigorosamente testuale non risulterebbe in armonia con la volontà del legislatore: attribuita alla parte civile una tutela nella fase iniziale del procedimento, infatti, non avrebbe avuto ragioni per invertire la rotta impedendole di tutelare i propri interessi nei successivi gradi del procedimento.

A tali premesse occorre aggiungere un’ulteriore considerazione: la V Sezione prosegue osservando come i profili attinenti alla facoltà della parte civile di proporre istanza di riesame ex art. 318 c.p.p., al diritto di ricevere la comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale, di cui all’art. 324 c.p.p., e alla facoltà di presentare ricorso per cassazione, richiedano inevitabilmente una risposta congiunta, in senso affermativo o negativo. Detto altrimenti, la lettura sistematica (anziché strettamente letterale) delle disposizioni di cui agli artt. 316, 318, 324 e 325 c.p.p. conduce i giudici rimettenti ad accogliere una soluzione ermeneutica lontana dal recente arresto delle Sezioni Unite: circostanza che comporta una nuova investitura del Supremo Consesso[7].

Per quanto attiene al primo dei profili indicati, i giudici della V Sezione osservano come, posto che il secondo comma dell’art. 316 c.p.p. consente alla parte civile di richiedere il sequestro conservativo, ove vi sia fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato, risulterebbe necessario ammettere, per la stessa parte, la possibilità di proporre richiesta di riesame ai sensi dell’art. 318 c.p.p. Nonostante il diniego di tale legittimazione da parte delle Sezioni Unite, infatti, si osserva come la parte civile, nel caso di provvedimento parzialmente negativo, risulti titolare di un interesse sia sostanziale (legato al prevedibile pregiudizio che potrebbe seguire alla dispersione delle garanzie patrimoniali) sia processuale (derivante dalla pregressa formulazione dell’istanza di sequestro) e, in quanto tale, pienamente legittimata ad avanzare la richiesta di riesame.

In merito alla seconda questione, inoltre, i giudici rimettenti ritengono che il diritto della parte civile di ricevere la notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza camerale – diritto peraltro pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza – trovi conferma nel testo del secondo comma dell’art. 324 c.p.p. il quale, disciplinando il procedimento di riesame, ammette la possibilità che la richiesta sia proposta da un’altra persona (soggetto diverso da pubblico ministero, imputato e difensore), e stabilisce che la stessa debba ricevere l’avviso di fissazione dell’udienza. A maggior ragione, tale interpretazione sarebbe avvalorata dalla circostanza per cui il comma sesto dell’art. 324 c.p.p. contiene un esplicito riferimento alla disciplina del procedimento in camera di consiglio, di cui all’art. 127 c.p.p., ove si prevede la partecipazione delle parti del processo e, dunque, anche della parte civile. 

Infine, con riguardo all’ultimo tema, relativo in senso stretto all’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto dalla parte civile contro le ordinanze conclusive della fase del riesame pertinenti a sequestro conservativo, la V Sezione sottolinea come, una volta riconosciutole il diritto di richiedere la misura cautelare de qua e di proporre richiesta di riesame a norma dell’art. 318 c.p.p., costituirebbe un’aporia del sistema la scelta di negare alla stessa il potere di ricorrere per cassazione. Attraverso un complesso ragionamento, dunque, i giudici rimettenti propongono una rilettura in chiave sistematica dell’intero sistema delle impugnazioni delle misure cautelari reali.

Tentando di procedere con ordine, risulta necessario prendere le mosse dalla struttura del Titolo II del Libro IV del codice di rito. Come noto, il Titolo II, dedicato alle misure cautelari reali, risulta suddiviso in tre capi, dedicati, rispettivamente, al sequestro conservativo, al sequestro preventivo e alle impugnazioni. Le motivazioni delle Sezioni Unite del 2014 – osserva l’ordinanza in commento – prendevano in considerazione il Capo III, come disciplina di carattere generale in materia di impugnazioni delle misure cautelari reali, applicabile, quindi, sia al sequestro preventivo sia al sequestro conservativo (salvo eccezioni esplicitamente contenute all’interno del testo)[8].

L’intuizione dei giudici della V Sezione – forse azzardata, ma sicuramente interessante – consiste nell’affermare che la scelta “topografica” del legislatore, consistente nell’inserire gli artt. 324 e 325 c.p.p. in un Capo III, di seguito al Capo II (riguardante il sequestro preventivo), e non in un Titolo terzo e autonomo del Libro IV, dovrebbe indurre a ritenere la relativa disciplina riferibile in via esclusiva all’istituto del sequestro preventivo. La chiave di volta di tale argomentare consisterebbe nell’attribuire rilevanza, per quanto attiene alle impugnazioni in materia di sequestro conservativo, esclusivamente all’art. 318 c.p.p., che legittima chiunque vi abbia interesse a proporre richiesta di riesame contro l’ordinanza di sequestro conservativo, rimandando all’art. 324 c.p.p. solo per quanto attiene alla disciplina del procedimento.

Di conseguenza, l’ordinanza emessa in seguito all’istanza di riesame proposta ex art. 318 c.p.p., in tema di sequestro conservativo, potrebbe assumere una valenza autonoma, indipendente dalla normativa seguente. Prestando attenzione a tali disposizioni – e in particolare al fatto che il richiamato art. 324 c.p.p. stabilisce come il procedimento avanti al Tribunale si svolga in camera di consiglio, nelle forme previste dall’art. 127 c.p.p. –, la legittimazione per la parte civile a proporre ricorso per cassazione deriverebbe proprio dal comma settimo di quest’ultimo, ove si statuisce che il giudice provvede con ordinanza, comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti di cui al comma 1 – quindi anche le parti, inclusa la parte civile –, i quali possono proporre ricorso per cassazione.

 

4. In sintesi, al di là dell’accoglimento, o no, della soluzione prospettata dai giudici della V sezione, si lascia apprezzare l’approccio sistematico che vorrebbe trattare in maniera unitaria le tre problematiche sopra illustrate. Non v’è chi non veda, infatti, il vuoto di tutela che si crea ai danni di una parte civile che inizialmente può richiedere il sequestro conservativo dei beni dell’imputato o del responsabile civile, ma poi non detiene titolo a proseguire “verticalmente”, grado dopo grado, nella tutela dei propri interessi. D’altro canto, però, appare chiaro come l’interpretazione sistemica (forse un po’ forzata) propugnata dalla V Sezione rischi di sconvolgere dalla base l’intero sistema delle misure cautelari reali; difatti, il Capo III del Titolo II del Libro IV del codice di rito penale è sempre stato considerato – dalla giurisprudenza e dalla dottrina – quale disciplina di carattere generale riferibile ai precedenti Capi I e II.

In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, quindi, non appare disutile richiamare – senza, però, poterle approfondire – due interessanti questioni. La prima, sollevata dai giudici rimettenti, attiene alla compatibilità della lettura propugnata con i principi di tassatività (delle impugnazioni) e letteralità esegetica imposti dal codice[9].

In secondo luogo, e conclusivamente, appare sempre più pressante l’esigenza di domandarsi quanto il nostro processo – al pari di dottrina e giurisprudenza – sia aperto ad una reinterpretazione (al di là del casus belli, offerto dal sistema delle impugnazioni delle misure cautelari reali) del ruolo della parte civile[10]: la quale, nello specifico caso oggi rimesso alle Sezioni Unite, potrebbe – nell’ipotesi di una risposta affermativa – acquistare poteri e facoltà altrimenti riconosciutile solo in sede civile, ma, più in generale, si trova troppe volte in bilico, ospite – non particolarmente desiderata – del processo penale[11].

 


[1] A sostegno di tale tesi la parte civile richiamava l’orientamento della Suprema Corte, secondo cui la parte civile che ha chiesto e ottenuto l'emissione del provvedimento di sequestro preventivo ha diritto all'avviso di fissazione dell'udienza di trattazione della richiesta di riesame, a pena di nullità, a regime intermedio, per violazione del principio del contraddittorio (Cass., Sez. II, 10 ottobre 2007, n. 40831 e Cass., Sez. II, 9 marzo 2006, n. 11887).

[2] Cass., Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 47999, Alizzi e altri, in Cass. pen., 2015, n. 11, p. 3955 e in questa Rivista, 17 dicembre 2014, con commento di Della Torre, Le Sezioni Unite negano la legittimazione della parte civile a proporre ricorso per Cassazione in materia di sequestro conservativo.

[3] Cass., Sez. V, ord. 05 aprile 2017, n. 33282, Fallimento della Domal di De Lorenzis & c. SAS, p. 11.

[4] Cass., Sez. II, ord. 29 aprile 2014, n. 21225, Alizzi e altri, in questa Rivista, con commento di Della Torre, Alle sezioni Unite la questione relativa alla legittimazione della parte civile a proporre ricorso per Cassazione in materia di sequestro conservativo. Un primo orientamento negava la legittimazione della parte civile a proporre ricorso per cassazione sulla base di un’interpretazione letterale dell’art. 325 c.p.p. che, al primo comma, non la include nell’elenco dei soggetti legittimati a ricorrere avverso le ordinanze emesse ai sensi degli artt. 322-bis e 324 c.p.p. Inoltre, tale orientamento riteneva non sussistere in capo alla parte civile nemmeno la possibilità di proporre ricorso diretto ai sensi del secondo comma dell’art. 325 c.p.p., posto che lo stesso prevede espressamente la possibilità di ricorrere per saltum solo avverso i “decreti” applicativi di sequestro, ossia contro una tipologia di provvedimenti prevista per il sequestro preventivo e per il sequestro probatorio (ma non per il sequestro conservativo, che è disposto con ordinanza). Nonostante l’apparente “discrasia sistematica”, derivante dalla circostanza per cui l’art. 318 c.p.p. riconosce a «chiunque vi abbia interesse» la facoltà di richiedere il riesame, il modello delineato si presenterebbe coerente con l’accessorietà dell’azione civile nel processo penale, conformemente a quanto stabilito dalla Corte costituzionale che, con ordinanza n. 424 del 1998, aveva dichiarato manifestamente infondata una questione di legittimità relativa al combinato disposto degli artt. 318, 322-bis e 325 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano alcun mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di diniego del sequestro conservativo. Con tale pronuncia, la Consulta aveva affermato che la scelta di non predisporre mezzi di impugnazione avverso il provvedimento di rigetto del sequestro conservativo si inseriva nel più ampio quadro del sistema dei rapporti tra azione civile e azione penale, ispirato complessivamente al favor separationis, sottolineando come, in ogni caso, alla parte civile non fosse preclusa la possibilità di agire in sede propria (v. Cass., Sez. VI, 9 aprile 2013, n. 20820; Cass., Sez. VI, 31 gennaio 2012, n. 5928). Il secondo orientamento, al contrario, basandosi su un’interpretazione sistematica della normativa dettata in materia di impugnazioni delle misure cautelari reali, attribuiva alla parte civile la legittimazione a proporre ricorso per cassazione contro le ordinanze di annullamento o revoca del sequestro conservativo disposto in suo favore. Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, il testo dell’art. 325 comma 1 c.p.p. deve essere posto in relazione con il comma secondo dello stesso art. 325 c.p.p. e con l’art. 318 c.p.p.. Partendo dalla considerazione per cui l’art. 318 c.p.p. attribuisce a «chiunque abbia interesse» la facoltà di proporre richiesta di riesame, si potrebbe facilmente desumere come la parte civile sia legittimata, da un lato, ad avanzare richiesta di riesame e, dall’altro, in assenza di specificazioni, a proporre ricorso per cassazione diretto ai sensi del comma 2 dell’art. 325 c.p.p. Sulla scorta di tali presupposti, secondo questo orientamento, sarebbe poi incongruente escludere, per la parte civile, la possibilità di proporre ricorso per cassazione in via ordinaria contro il provvedimento assunto dal Tribunale del riesame (così, tra altre, Cass., Sez. VI, 3 maggio 2013, n. 25449; Sez. V, 7 novembre 2012, n. 4622; Sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40404; Sez. V, 17 aprile 2012, n. 37655).

[5] Per un’analisi della sentenza e per ulteriori riferimenti bibliografici cfr. Della Torre, Le Sezioni Unite negano la legittimazione della parte civile a proporre ricorso per Cassazione in materia di sequestro conservativo, cit.; in dottrina, cfr. anche Gualtieri e Spangher, Le misure cautelari reali, in Spangher (a cura di), Procedura Penale, Teoria e pratica del Processo, Vol. II, UTET, 2015, p. 453 ss.

[6] Cass. sez. V, ord. 05 aprile 2017, Fallimento della Domal, cit., p. 7.

[7] È il caso di osservare, sul punto, come la l. 23 giugno 2017 n. 103 sia intervenuta rafforzando la funzione nomofilattica delle Sezioni Unite, con l’obiettivo di rendere prevedibile l’interpretazione giurisprudenziale. Nello specifico – e per quanto qui interessa – il nuovo comma 1-bis dell’art. 618 c.p.p. prevede che «se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso». Per approfondimenti sul novum legislativo cfr. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in questa Rivista, 5 ottobre 2016; Gialuz, Cabiale, Della Torre, Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, in questa Rivista, 20 luglio 2017.

[8] In questo senso, per esempio, la disciplina del secondo comma dell’art. 325 c.p.p. non era ritenuta applicabile in materia di sequestro conservativo, in quanto la norma si riferisce esplicitamente ai provvedimenti aventi la forma del decreto e non dell’ordinanza. La tesi risulterebbe peraltro avvalorata dalla circostanza per cui il primo e il secondo comma dell’art. 325 c.p.p. sono stati modificati dall’art. 19 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. Il testo originario dell’articolo, oltre a non prevedere la ricorribilità delle ordinanze emesse ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p. (istituto introdotto nel codice di rito con il medesimo d.lgs. n. 12/1991), ammetteva la possibilità del ricorso c.d. per saltum per i “provvedimenti” di sequestro (e non solo per i decreti).

[9] Il tema – di grande respiro sistematico – richiama quello della progressiva erosione del principio di tassatività delle impugnazioni, attestato, uno per tutti, dalla creazione del nuovo caso di revisione europea ad opera della sentenza della Corte costituzionale 7 aprile 2011, n. 113 (in Cass. pen., 2011, p. 3299 s., con nota di Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte Costituzionale crea la “revisione europea”). All’interno di una vasta bibliografia, cfr. anche Lonati, La Corte costituzionale individua lo strumento per dare attuazione alle sentenze della Corte europea: un nuovo caso di revisione per vizi processuali, in questa Rivista, 19 maggio 2011. Inoltre, l’approccio “anti formalista” dei giudici della V Sezione potrebbe trovare ulteriori spazi di legittimazione all’interno dell’ampio dibattito legato al tema della legalità in materia di nullità, ove si agitano istanze volte a valorizzare l’effettività della lesione, piuttosto che la formalità della previsione. Per ulteriori approfondimenti cfr. Caianiello, Premesse per una teoria del pregiudizio effettivo nelle invalidità processuali penali, Bononia University Press, 2012; Di Paolo, Nullità processuali e sanatorie tra tassatività e tendenze antiformalistiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 246 ss.

[10] Un eccezionale impulso in questo senso proviene dalla “scoperta” della vittima del reato quale partecipe del rito penale. Riassuntivamente, sul tema, v. Bargis-Belluta (a cura di), Vittime di reato e sistema penale. La ricerca di nuovi equilibri, Giappichelli, 2017, passim.

[11] La V Sezione – sul punto – ricorda come, nonostante le esigenze che ispirano il principio del favor separationis, il processo penale dovrebbe consentire alla parte civile di soddisfare le proprie esigenze di cautela patrimoniale, garantendo, più in generale, le sue legittime istanze e il suo diritto di difesa ex art. 24 Cost. Nel senso della valorizzazione del ruolo della parte civile nel processo penale, v. le riflessioni di Lavarini, Azione civile nel processo penale e principi costituzionali, Giappichelli, 2009, passim; Ead., La costituzione di parte civile: un inutile ostacolo alla ragionevole durata del processo o un fondamentale strumento di tutela della vittima?, in Bargis (a cura di), Studi in ricordo di Maria Gabriella Aimonetto, Giuffrè, 2013, p. 119 s., In argomento cfr. anche P.P. Paulesu, voce Persona offesa dal reato, in Enc. dir., Annali, Tomo I, 2008, p. 601.