ISSN 2039-1676


05 febbraio 2018 |

La nullità per erronea notificazione al difensore non si sana in caso di inerzia probatoria sull’effettiva mancata conoscenza della citazione da parte dell’imputato

Cass., SSUU, sent. 22 giugno 2017 (dep. 29 dicembre 2017), n. 58120, Pres. Canzio, Rel. Cervadoro, Ric. Tuppi

Contributo pubblicato nel Fascicolo 2/2018

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1. Con la sentenza in commento le Sezioni Unite sono tornate a pronunciarsi sull’art. 157, comma 8 bis, c.p.p. [1], il quale prevede che le notificazioni successive alla prima siano eseguite al difensore di fiducia: fin dalla sua entrata in vigore, tale disposizione è stata oggetto di numerosi contrasti interpretativi, che avevano già reso necessario l’intervento del massimo Consesso della Suprema Corte[2]. La pronuncia in esame assume quindi un’importanza particolare perché, riallacciandosi alla precedente, mira a fare chiarezza e, al contempo, ad aggiungere un tassello nell’operatività della norma.

Il caso alla base dell’intervento delle Sezioni Unite riguardava un’ipotesi in cui il decreto di citazione per il giudizio di appello era stato notificato presso il difensore di fiducia ex art. 157, comma 8 bis, c.p.p., nonostante l’imputato avesse dichiarato domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p. Nell’udienza di trattazione, il difensore aveva eccepito tempestivamente la nullità, la quale però veniva respinta dal Collegio, sulla scorta della considerazione che si trattava di una nullità a regime intermedio, sanabile qualora il difensore di fiducia non avesse provato che, pur in presenza del rapporto fiduciario, l’imputato non era a conoscenza dell’atto.

A seguito di ricorso della difesa, la quarta sezione penale, ravvisando sul tema un contrasto, aveva investito le Sezioni Unite della risoluzione della questione se «la nullità della citazione a giudizio, che sia stata eseguita mediante consegna al difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato o eletto, possa essere sanata qualora il difensore, nel dedurre la nullità, non abbia allegato circostanze impeditive della conoscenza dell’atto da parte dell’imputato»[3].

 

2. In effetti, sul tema si erano formati diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Un primo indirizzo – a cui si era conformata la corte di appello nel caso di specie – poneva a carico della difesa l’onere di provare la sussistenza di un concreto pregiudizio con riguardo alla conoscenza dell’atto e all’esercizio dei diritti di difesa, pena la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo[4]. In particolare, questo orientamento ricavava una vera e propria presunzione di conoscenza dell’atto direttamente dal rapporto fiduciario che lega l’imputato al suo difensore di fiducia: invero, si sosteneva che incomberebbe su quest’ultimo un dovere di continua informazione nei confronti del proprio assistito – «che riguarda ovviamente, in primo luogo, la comunicazione degli atti»[5] – e che, pertanto, ciò basterebbe per presupporre la conoscenza da parte dell’imputato dell’atto notificato irregolarmente presso lo studio del difensore. In altri termini, la presenza del rapporto fiduciario escluderebbe in astratto la lesione del diritto di difesa onde per cui il vizio risulterebbe di per sé sanato, a meno che il difensore non alleghi i motivi che gli hanno impedito di avvisare l’imputato della notificazione dell’ordinanza presso il suo studio o indichi l’intenzione di quest’ultimo di impugnare personalmente l’atto[6].

A sostegno di tale impostazione si invocava l’esigenza di non sacrificare il principio della ragionevole durata del processo, il quale dovrebbe essere bilanciato con il diritto di difesa: in quest’ottica, occorrerebbe accertare se dalla nullità sia derivata una concreta lesione «di quel diritto di difesa che la norma invalidante aveva lo scopo di tutelare»[7].

Infine, un ulteriore argomento era stato rinvenuto nella l. 28 aprile 2014, n. 67, che ha modificato l’art. 420 bis c.p.p., il quale prevede che il giudice può procedere in assenza dell’imputato qualora quest’ultimo abbia nominato un difensore di fiducia; ne consegue che l’esistenza di un rapporto fiduciario dell’imputato con il patrono viene configurata come indice sintomatico di effettiva conoscenza del procedimento: ciò, dunque, confermerebbe che, anche nel caso di notifica erroneamente effettuata al difensore di fiducia, si dovrebbe presumere l’effettiva conoscenza dell’atto da parte dell’imputato[8].

Un secondo orientamento[9] differiva solo parzialmente dal primo: nonostante ponesse a carico del difensore di fiducia un onere di allegazione delle circostanze provanti la mancata conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, non riteneva che si potesse automaticamente configurare una sanatoria della nullità nel caso di inerzia della difesa. Più specificamente, questo indirizzo richiedeva, per considerare sanato il vizio, non solo il rapporto fiduciario tra difensore e suo assistito, ma anche ulteriori e concreti elementi da cui poter desumere che la nullità non aveva arrecato alcun concreto pregiudizio[10], come, ad esempio, l’ipotesi di accertata inesistenza del domicilio dichiarato dall’imputato[11].

È da precisare in ogni caso che i due indirizzi appena analizzati, seppure diversi tra loro, esigevano entrambi un onere probatorio in capo alla difesa; «il reale contrasto» nella giurisprudenza di legittimità si poneva invece – come affermato dalle stesse Sezioni Unite – con un terzo orientamento[12] che aveva escluso fermamente la sussistenza di un onere di allegazione.

Quest’ultimo indirizzo aveva fondato il proprio ragionamento interpretando quanto detto dalla Suprema Corte nel 2008 proprio sull’art. 157, comma 8 bis, c.p.p.[13]: più specificamente, aveva osservato come da questa pronuncia si potesse ricavare che sussiste effettivamente l’onere in capo alla parte di indicare gli elementi concreti che dimostrano la mancata conoscenza dell’atto erroneamente notificato, ma solo quando si intende far valere una nullità assoluta e, in particolare, affermare «che le non corrette modalità di notifica abbiano comportato una situazione assimilabile ad un difetto di vocatio in jus». Al di fuori di questa ipotesi, la nullità derivante dall’erronea notificazione ai sensi dell’art. 157, comma 8 bis, c.p.p. è una nullità a regime intermedio, rispetto alla quale non può configurarsi alcuna sanatoria in caso di inerzia della difesa[14].

 

3. Con la pronuncia in esame, le Sezioni Unite hanno aderito a quest’ultima tesi, sostenendo che la notificazione della citazione a giudizio effettuata erroneamente al difensore di fiducia, invece che al domicilio dichiarato o eletto, «produce una nullità a regime intermedio, che non è sanata dalla mancata allegazione da parte del difensore di circostanze impeditive della conoscenza dell’atto da parte dell’imputato».

Per pervenire a tale conclusione, il massimo Collegio ha ripercorso l’elaborazione giurisprudenziale attinente all’art. 157, comma 8 bis, c.p.p., fissando alcuni punti fondamentali della materia.

Innanzitutto, la Suprema Corte ha chiarito il rapporto tra gli artt. 157 e 161 c.p.p., precisando che, nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., non può trovare applicazione l’art. 157, comma 8 bis, c.p.p.[15].

I giudici hanno altresì ribadito, da un lato, che la nullità derivante dall’erronea notificazione ex art. 157, comma 8 bis, c.p.p. è di ordine generale a regime intermedio[16], proprio perché, alla luce del rapporto fiduciario con il difensore, è idonea ad assicurare la conoscenza dell’atto[17]; dall’altro, che solo quando l’imputato intende far valere la nullità assoluta della notifica è tenuto ad allegare specifici elementi comprovanti la mancata conoscenza dell’atto, non potendosi limitare a eccepire il vizio[18].

Successivamente, la Corte ha osservato che la notifica al difensore prevista nel codice dal legislatore mira alla conoscenza legale dell’atto, evitando appesantimenti procedurali e bilanciando gli interessi contrapposti; ad esempio – ha continuato il massimo Collegio – l’art. 161, comma 4, c.p.p. costituisce una presunzione legale di conoscenza ed è frutto di un bilanciamento tra il diritto di difesa e la ragionevole durata del processo.

Al di fuori di queste ipotesi codificate dal legislatore, non può ugualmente operare una presunzione legale di conoscenza da parte dell’imputato e, di conseguenza, configurarsi una sanatoria in caso di omessa allegazione probatoria della difesa.

Va rimarcato che la Suprema Corte adduce a favore del suo assunto l’«assenza di una sanatoria codificata» di questo tipo: una tale mancanza impedisce, quindi, che, sulla base di un rapporto fiduciario, si possa pervenire alla conclusione che l’erronea notifica al difensore di fiducia venga sanata in caso di inerzia della difesa. Imporre alla parte un onere probatorio finirebbe per «“sterilizzare automaticamente un vizio» tutte le volte in cui la notificazione avvenga erroneamente presso il difensore di fiducia.

Una volta risolta la questione di diritto a loro devoluta, le Sezioni Unite hanno ritenuto opportuno fare un’ulteriore precisazione: hanno affermato che, in ogni caso, – fermo restando l’esclusione di un onere di allegazione a carico della parte – «il parametro dell’esercizio effettivo dei diritti di difesa come causa della sanatoria del vizio p[uò] essere impiegato dal giudice al fine di riscontrare limiti di deducibilità già esistenti o cause di sanatoria delle nullità rilevabili da circostanze obiettive di fatto di cui agli atti del processo», come, ad esempio, nel caso in cui l’imputato abbia proposto personalmente l’impugnazione.

 

4. La pronuncia in commento costituisce un tassello molto importante nella definizione dell’operatività dell’art. 157, comma 8 bis, c.p.p. e, più in generale, con riferimento al tema della nullità delle notificazioni; le Sezioni Unite hanno infatti ricostruito con chiarezza l’intera materia, ricollegandosi e, al contempo, riordinando la precedente evoluzione giurisprudenziale[19].

Va detto che il principio di diritto formulato dalla Corte è pienamente condivisibile; sembra, infatti, irragionevole imporre alla parte, una volta eccepita tempestivamente una nullità, l’onere di dimostrare la presenza di un pregiudizio effettivo a pena di sanatoria, proprio quando l’erronea notifica è stata conseguenza di un malfunzionamento del sistema. Accogliere questa impostazione così radicale finirebbe per porre, nella maggior parte delle ipotesi, una probatio diabolica in capo alla difesa e, in ultima analisi, svuoterebbe di significato l’art. 161 c.p.p., che configura il diritto dell’imputato di dichiarare o eleggere domicilio, ogni qualvolta egli nomini un difensore di fiducia.

Per concludere, pare utile osservare che, con questa pronuncia, le Sezioni Unite, pur escludendo la configurabilità di una presunzione di conoscenza dell’atto nel mero rapporto fiduciario, hanno comunque sostenuto che la nullità debba ritenersi sanata se dagli atti risulta che in concreto non ha causato alcuna lesione ai diritti difesa: in tal modo, la Cassazione ha confermato quella tendenza giurisprudenziale formatasi in materia di invalidità che valorizza il criterio del pregiudizio effettivo come causa di sanatoria[20]. Così, però, sembra sussistere il rischio da parte della giurisprudenza di uno sconfinamento dall’interpretazione verso la creazione normativa, in quanto ciò che si afferma non sembra si possa far rientrare né nell’ipotesi di sanatoria generale di cui all’art. 183 c.p.p., né in quella speciale ex art. 184 c.p.p.

 


[1] Il comma 8 bis dell’art. 157 c.p.p. è stato aggiunto dall’art. 2, comma 1, del d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, nella l. 22 aprile 2005, n. 60.

[2] Ci si riferisce a Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, Micciullo, in Cass. pen., 2008, p. 4009.

[3] Cfr. Cass., Sez. IV, ord. 29 marzo 2017 (dep. 20 aprile 2017), n. 19184, in questa Rivista, fasc. 6/2017, p. 67 ss., con nota di S. Renzetti, Torna alle Sezioni Unite la questione della notifica al difensore ex art. 157 comma 8 bis c.p.p.: verso un regime “sostanziale” delle nullità?

[4] Si veda Cass., Sez. IV, 20 dicembre 2016, n. 2416, in CED. Cass., n. 268883; Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2016, n. 490, in CED. Cass., n. 268809; Cass., Sez. III, 19 luglio 2016, n. 47953, in CED. Cass., n. 268654; Cass., Sez. IV, 10 febbraio 2016, n. 8592, in CED. Cass., n. 266369; Cass., Sez. IV, 17 settembre 2015, n. 40066, in CED. Cass., n. 264505; Cass., Sez. IV, 9 settembre 2015, n. 44132, in CED. Cass., n. 264830; Cass., Sez. IV, 17 marzo 2015, n. 16398, in De Jure; Cass., Sez. VI, 10 maggio 2012, n. 34558, in CED. Cass., n. 253276.

[5] In questi termini, Cass., Sez. IV, 17 marzo 2015, n. 16398, cit.

[6] V. Cass., Sez. VI, 10 maggio 2012, n. 34558, cit.

[7] Cfr. Cass., Sez. IV, 20 dicembre 2016, n. 2416, cit.

[8] Si veda Cass., Sez. IV, 20 dicembre 2016, n. 2416, cit.; in senso analogo, cfr. anche Cass., Sez. IV, 17 marzo 2015, n. 16398, cit.

[9] Cfr. Cass., Sez. V, 28 novembre 2016, n. 8478, in CED. Cass., n. 269453; Cass., Sez. IV, 25 gennaio 2016, n. 7917, in CED. Cass., n. 266231; Cass., Sez. V, 29 dicembre 2015, n. 4828, in CED. Cass., n. 265803; Cass., Sez. II, 22 settembre 2015, n. 41735, in CED. Cass., n. 264594; Cass., Sez. IV, 1 aprile 2015, n. 18098, in CED. Cass., n. 263753; Cass., Sez. V, 25 gennaio 2007, n. 8108, in CED. Cass., n. 236522.

[10] V., ad esempio, Cass., Sez. IV, 1 aprile 2015, n. 18098, cit.

[11] Cfr. Cass., Sez. IV, 25 gennaio 2016, n. 7917, cit.

[12] V. Cass., Sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11954, in CED. Cass., n. 269558.

[13] Cfr. Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, Micciullo, cit., p. 4012.

[14] V. Cass., Sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11954, cit.

[15] Ciò era stato già affermato da Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, Micciullo, cit., pp. 4011-4012 e, inoltre, avallato da Corte cost., 14 maggio 2008, n. 136, in Giur. cost., pp. 1708-1709. Tuttavia, una decisione della Corte di cassazione successiva e contraria a questa tesi dimostra che sussistevano ancora resistenze sul punto: cfr. Cass., Sez. VI, 28 giugno 2016, n. 31569, in CED. Cass., n. 267527.

[16] In particolare, la pronuncia ha ripreso quanto detto da Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, Micciullo, cit., pp. 4012-4013.

[17] La Suprema Corte trae questa tesi dall’orientamento giurisprudenziale successivo e conforme alle Sezioni Unite Micciullo: si veda ad esempio Cass., Sez. IV, n. 40066, cit.

[18] Il massimo Collegio afferma ciò sempre sulla stessa linea di continuità di Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, Micciullo, cit., p. 4012, la quale a sua volta riprende quanto affermato da Cass., Sez. Un., 27 ottobre 2004, Palumbo, in Cass. pen., 2005, p. 1157.

[19] È particolarmente apprezzabile questo lavoro di riordino dell’elaborazione giurisprudenziale sul tema, dato che, tuttora, sussistono contrasti su svariati profili: sul punto, si legga, per tutti, A. Nappi, Le notificazioni senza certezze e le Sezioni Unite senza ruolo, in Cass. pen., 2017, p. 1259 e ss., il quale mette in luce i diversi orientamenti della giurisprudenza in materia.

[20] Su questa tematica, si vedano, in particolare, R. Aprati, voce Nullità, in Dig. disc. pen., Agg. VII, Torino, 2013, pp. 390-393; nonché M. Caianiello, Premesse per una teoria del pregiudizio effettivo nelle invalidità processuali penali, Bologna, 2012; M. Panzavolta, voce Nullità degli atti processuali, II) Diritto processuale penale, in Enc. giur. Treccani, Agg. XIV, Roma, 2006, p. 3.