ISSN 2039-1676


6 marzo 2019 |

Alle Sezioni unite una nuova questione relativa alla configurabilità del reato di cui all'art. 75 cod. antimafia, questa volta in caso di trasgressione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni

Cass., Sez. I, ord. 19 dicembre 2018 (dep. 17 gennaio 2019), n. 2124, Pres. Bonito, Rel. Magi, ric. Acquaviva e altro

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1. Dopo la sentenza de Tommaso c. Italia[1], proseguono gli sforzi “tassativizzanti” della giurisprudenza[2], la quale si sta seriamente adoperando per meglio definire e riempire di contenuto le disposizioni del d.lgs. n. 159/2011 (d’ora in avanti: cod. ant.) censurate dalla Corte di Strasburgo in quanto vaghe ed indeterminate, sì da rendere tali norme – almeno in via interpretativa – maggiormente conformi al principio di legalità.

 

Proseguendo sull’anzidetto tracciato, con l’ordinanza in commento[3] la prima sezione della Corte di cassazione, avendo riscontrato un contrasto interpretativo all’interno della propria giurisprudenza con riferimento alla configurabilità del reato di cui all’art. 75 cod. ant. in caso di violazione della prescrizione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni (art. 8, co. 4, cod. ant.), ha rimesso alle sezioni unite il seguente quesito: “se, ed in quali limiti la partecipazione del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ad una manifestazione sportiva tenuta in luogo aperto al pubblico risulti fatto punibile, in riferimento al reato di violazione delle prescrizioni imposte al sorvegliato speciale di cui agli artt. 8 e 75 Cod. Ant.”.

 

2. Prima di procedere all’analisi dei due contrapposti orientamenti giurisprudenziali, appare utile dedicare un breve spazio alla materia delle prescrizioni che accompagnano l’applicazione della sorveglianza speciale e al reato di “violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale” di cui all’art. 75 cod. ant.

Come noto, l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza di cui all’art. 6 cod. ant. porta con sé l’imposizione di una serie di prescrizioni, previste dal successivo art. 8[4].

In particolare, il co. 4 della citata disposizione prevede che sia in ogni caso imposto al sorvegliato speciale: a) di vivere onestamente; b) di rispettare le leggi; c) di non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza; d) di non associarsi abitualmente a pregiudicati e a soggetti sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; e) di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza immediato avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza; f) di non detenere e non portare armi; g) di non partecipare a pubbliche riunioni; h) di non accedere agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, anche in determinate fasce orarie[5].

Qualora, poi, si tratti di persona indiziata di vivere con il provento di reati, il co. 3 del medesimo articolo prevede che sia prescritto al sorvegliato speciale: a) di darsi, entro un congruo termine, alla ricerca di un lavoro; b) di fissare la propria dimora, di farla conoscere tempestivamente all’autorità di pubblica sicurezza e di non allontanarsene senza preventivo avviso alla medesima autorità.

In caso di applicazione della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, al destinatario della misura viene consegnata una carta di permanenza e può essere discrezionalmente prescritto il divieto di allontanamento dall’abitazione scelta senza preventivo avviso all’autorità e/o l’obbligo di presentazione, a cadenze prefissate, alla autorità medesima.

Infine, l’art. 8 co. 5 consente al giudice di imporre ogni altra prescrizione ritenuta necessaria, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale.

Con specifico riferimento al divieto di partecipare a pubbliche riunioni – su cui ci soffermerà nel presente contributo – occorre ricordare che, in almeno due occasioni, la Consulta è già stata chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità costituzionale della prescrizione in esame, pervenendo in entrambi i casi ad una declaratoria di infondatezza delle questioni sollevate.

In una prima pronuncia del 1959[6] la Corte costituzionale ha escluso un contrasto con gli artt. 2 e 17 Cost. del divieto di partecipare a pubbliche riunioni (nonché del divieto di frequentazione di pregiudicati e di soggetti sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza) richiamandosi ai concetti di necessità e proporzione. In particolare, dopo aver evidenziato che dalla Carta costituzionale – e specificamente dal combinato disposto degli artt. 13, 16, 17, 25 co. 3 Cost. – è ricavabile un generale principio di prevenzione e di sicurezza sociale – in base al quale «l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire» – il Giudice delle leggi ha affermato che le prescrizioni imposte al sorvegliato speciale, oltre ad informarsi ad un «rigoroso criterio di necessità», si configurano, nel loro contenuto, in modo tale «da rientrare pienamente nella normale e logica applicazione del principio [di prevenzione e di sicurezza sociale], visto che si ispirano alla direttiva fondamentale dell’attività di prevenzione, cioè tener lontano l’individuo sorvegliato dalle persone e dalle situazioni che rappresentano il maggiore pericolo».

In una seconda occasione, poi, la Corte costituzionale, con una sentenza del 1983[7] ha ritenuto insussistente il lamentato contrasto della imposizione in parola con gli artt. 21 e 49 Cost. sulla base dell’argomento che, se pure è vero che la prescrizione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni può comportare, in alcune circostanze, una compressione di diritti costituzionalmente garantiti in casi e per fini non previsti dalla Costituzione stessa, tale indebita ingerenza sarebbe addebitabile non già alla previsione legale nella sua astratta configurazione, bensì alla sua concreta applicazione nel caso specifico e, dunque, «soltanto al provvedimento del giudice che contenesse prescrizioni del genere»; nel qual caso sarebbero esperibili dal proposto i normali rimedi impugnatori previsti dalla legge.

Se la Corte costituzionale ha finora escluso ogni possibile frizione del divieto di partecipazione a pubbliche riunioni ex art. 8 cod. ant. con i principi costituzionali, nella pronuncia de Tommaso la Corte di Strasburgo ha invece espresso la propria “preoccupazione” con riguardo alla prescrizione in parola, in ragione del fatto che la legge «non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezione del giudice»[8]: in altri termini, ciò che la Corte edu contesta alla disciplina italiana in parte qua è l’eccessiva ampiezza del divieto, unitamente al considerevole margine di discrezionalità conferito al giudice nell’applicazione della misura.

 

3. La violazione delle prescrizioni di cui all’art. 8 cod. ant. viene sanzionata penalmente dall’art. 75 cod. ant. che, al co. 1, prevede una contravvenzione per il caso in cui l’infrazione sia posta in essere da soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale “semplice”; e, al co. 2, contempla un delitto punito con la reclusione da uno a cinque anni se la trasgressione è realizzata dal sorvegliato speciale con obbligo o divieto di soggiorno.

Pur non potendo esaminare compiutamente tutte le questioni emerse in relazione al reato di cui all’art. 75 cod. ant., pare il caso di passare brevemente in rassegna due questioni recentemente affrontate dalle sezioni unite in relazione alla norma incriminatrice de qua[9].

Una prima questione problematica ha riguardato la configurabilità del delitto di cui all’art. 75, co. 2, cod. ant. o, in alternativa, della meno grave contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., nel caso in cui il sorvegliato speciale con obbligo/divieto di soggiorno, richiesto di mostrare la carta di permanenza dall’autorità pubblica, dichiari di non portarla con sé e, conseguentemente, non la esibisca. Il supremo consesso della Corte di cassazione[10], risolvendo il contrasto, ha affermato che una tale condotta integra la contravvenzione di cui all’art. 650 c.p. – e non il reato di cui all’art. 75 cod. ant. – sulla base di un duplice ordine di ragioni: da un lato, si è sottolineato che la norma incriminatrice prevista dal cod. ant. mira a sanzionare soltanto quelle condotte che siano «direttamente ascrivibili al soggetto» e che tra queste non può essere fatto rientrare l’obbligo di portare con sé la carta di permanenza, poiché tale disposizione svolge una funzione eminentemente «organizzativa» ed è «diretta (…) in primis, non al sorvegliato, ma all’ufficio, che deve confezionare e consegnare il documento»[11]; dall’altro, facendo leva sul principio di offensività, la Cassazione ha evidenziato che l’art. 75 cod. ant. deve limitarsi a sanzionare quelle condotte che siano «espressive di una effettiva volontà di ribellione all’obbligo o al divieto di soggiorno» e che, in quest’ottica, l’omissione del porto e della esibizione della carta di permanenza non costituirebbe un comportamento espressivo di quella volontà deviante che la norma incriminatrice intende punire[12]. Secondo le sezioni unite, infatti, le forze dell’ordine dispongono già, grazie alle moderne tecnologie, di «ben altri mezzi per verificare “in tempo reale” identità, precedenti penali e giudiziari del soggetto che intendono controllare, nonché la esistenza di eventuali prescrizioni e vincoli sullo stesso gravanti»: in quest’ottica, dunque, l’obbligo di portare con sé la carta di permanenza risponderebbe alla mera esigenza di facilitare i controlli di polizia.

Una seconda questione, invece, ha avuto ad oggetto le prescrizioni di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”. In particolare, a seguito della pronuncia de Tommaso, che ha definito come non sufficientemente precise le suddette prescrizioni, ci si è chiesti se la loro trasgressione potesse comunque configurare il reato di cui all’art. 75 cod. ant.

Chiamate a risolvere il quesito, le sezioni unite[13] – dopo aver richiamato la distinzione tra prescrizioni “generiche”, tra le quali rientrano, appunto, quelle di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, e prescrizioni “specifiche” – hanno affermato che soltanto la violazione delle seconde determina l’integrazione del reato di cui all’art. 75 cod. ant., mentre un’infrazione delle prime può, tutt’al più, determinare un aggravamento della misura[14].

La decisione delle sezioni unite da ultimo menzionata non ha, tuttavia, posto fine al dibattito in merito alla configurabilità del reato di cui all’art. 75 cod. ant. in caso di inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”. In effetti – come si dirà meglio infra (par. 8) – la seconda sezione della Corte di cassazione ha chiamato in causa la Corte costituzionale, sollecitando la dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice de qua nella parte in cui sanziona penalmente la violazione dei due precetti in parola, reputati incompatibili con gli artt. 25 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 7 e 2 Prot. 4 Cedu.[15].

Proprio in questi giorni, la Corte costituzionale ha accolto la suesposta questione, dichiarando l’illegittimità dell’art. 75, co. 2, cod. ant. – e, in via consequenziale, dell’art. 75, co. 1, cod. ant. – nella parte in cui prevede come delitto l’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”[16].

 

4. Tanto premesso in generale in ordine al reato di “violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale”, veniamo ora alla vicenda che ha portato alla rimessione alle sezioni unite.

I due imputati, entrambi sottoposti alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, venivano condannati per il reato di cui all’art. 75, co. 2, cod. ant. per aver violato le prescrizioni di non frequentare pregiudicati o soggetti destinatari di misure di prevenzione o di sicurezza, e di non partecipare a pubbliche riunioni: in particolare, gli imputati venivano sorpresi insieme all’interno di un palasport, mentre ivi si svolgeva un torneo internazionale di tennis.

La questione controversa, che ha determinato la rimessione alle sezioni unite, riguarda il concetto di “pubbliche riunioni”. Sul punto, infatti, i giudici rimettenti hanno riscontrato l’esistenza di un contrasto interpretativo all’interno della stessa giurisprudenza di legittimità.

 

5. Secondo un primo e prevalente orientamento, per “pubblica riunione” deve intendersi una «qualsiasi riunione di più persone in luogo pubblico o aperto al pubblico o in altro luogo in cui a determinate condizioni vi può accedere un numero indeterminato di persone indipendentemente dal motivo per il quale la riunione medesima ha luogo»[17]. Secondo questa impostazione, infatti, la ratio della prescrizione è quella di «evitare che l’ordine pubblico venga leso o messo in pericolo, fine che viene conseguito vietando anche la semplice partecipazione del soggetto sottoposto a misura di prevenzione a riunioni in cui in considerazione del numero delle persone effettivamente presenti – o che possono, comunque, intervenire – è difficile il loro controllo e più agevole la possibilità di commettere reati»[18].

Conseguentemente, anche il recarsi ad una manifestazione sportiva comporta la violazione del divieto imposto al sorvegliato speciale di partecipare a pubbliche riunioni e, in ultima analisi, integra il reato di cui all’art. 75 cod. ant.[19].

Di recente, la medesima nozione di “pubblica riunione” è stata peraltro posta alla base di una condanna ex art. 75, co. 2, cod. ant. nei confronti di un soggetto che, sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, era stato sorpreso a partecipare ad una seduta straordinaria del consiglio comunale del paese di residenza[20].

L’ultima pronuncia richiamata risulta di particolare interesse nella parte in cui, confrontandosi con i dicta della Corte europea nel caso de Tommaso e della stessa Cassazione nella pronuncia Paternò, ha escluso che la trasgressione del divieto di partecipazione a pubbliche riunioni possa classificarsi – sulla scia di quanto affermato dalle sezioni unite con riferimento alle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” – come generica violazione comportamentale; al contrario, tale divieto costituisce «una prescrizione espressamente prevista nel decreto applicativo della misura presupposta» e, dunque, la sua violazione integra il reato di cui all’art. 75, co. 2, cod. ant.[21].

Va peraltro segnalato che, di recente, la stessa Corte di cassazione – pur muovendosi all’interno di questo primo orientamento – ha tentato di circoscrivere il concetto di “pubbliche riunioni”, attraverso un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata. In particolare, partendo dall’assunto che il divieto in parola assolve la finalità di impedire soltanto quei contatti che possano incrementare il rischio di pericolosità del soggetto o che comunque si pongano in continuità con il profilo personologico che la misura di prevenzione mira a controllare, i giudici di legittimità, discostandosi dalla giurisprudenza consolidata sul punto[22], hanno assolto dal reato di cui all’art. 75, co. 2, cod. ant. un sorvegliato speciale il quale aveva presenziato ad un comizio elettorale, sulla base dell’argomento che nessuna indicazione si poteva trarre dal provvedimento impugnato in ordine alle ragioni di limitazione alla libertà di partecipare a riunioni pubbliche e a comizi elettorali e che, dunque, tale prescrizione si atteggiava a «compressione generalizzata di una libertà fondamentale, senza correlarsi all’aspetto della ritenuta pericolosità sociale e senza, soprattutto, dire per quale ragione essa imposizione si renda, nel singolo caso concreto, necessaria in funzione dell’attuazione del controllo di pericolosità»[23].

 

6. Un secondo e più recente orientamento, invece, all’esito del confronto con la giurisprudenza europea e di quella interna di legittimità, è pervenuto ad un giudizio di indeterminatezza della prescrizione in questione, con la conseguenza che la sua inosservanza da parte del sorvegliato speciale non determina la sua punibilità ex art. 75 cod. ant.[24].

In particolare, una volta constatata la non reperibilità all’interno dell’ordinamento italiano di un’univoca e sufficientemente precisa definizione di “pubblica riunione”, la Cassazione ha evidenziato che non sono elaborabili soluzioni ermeneutiche «in grado di ridimensionare la vasta discrezionalità attribuita al giudice nel “comporre” il contenuto della norma incriminatrice, dal momento che potrebbero farvisi rientrare condotte partecipative ad eventi o situazioni, profondamente diversi tra loro e non sempre in linea con la ratio giustificatrice del divieto di assistervi»[25].

Stante l’«indeterminatezza dell’oggetto del divieto», è giocoforza per la Corte concludere – in linea con le Sezioni unite Paternò – che «l’inosservanza del divieto di partecipare a pubbliche riunioni da parte del soggetto sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non integra il reato previsto dall’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011».

 

7. Preso atto dell’esistenza dell’anzidetto contrasto giurisprudenziale, la prima sezione della Corte di cassazione – «al fine di garantire la uniformità interpretativa» – ha ritenuto di rimettere la questione alle sezioni unite.

La correttezza di una tale scelta si giustifica, nell’ottica del collegio rimettente, in ragione del ruolo che, negli ultimi anni, hanno assunto le sezioni unite con riferimento alle «ricadute strettamente penalistiche della sottoposizione alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, in rapporto ai comportamenti di ‘inosservanza’ tenuti dal destinatario».

Il chiaro riferimento è alle pronunce Sinigaglia e Paternò, dalle quali, secondo la Corte, «emerge con chiarezza la necessità di adottare letture interpretative ‘di sistema’ che tengano conto delle ricadute di principi generali dell’ordinamento quali l’offensività delle condotte e la tassatività delle previsioni incriminatrici in chiave di concreta prevedibilità delle conseguenze della propria condotta, stante la tensione di fondo tra la necessità di prevenire la ripetizione di condotte devianti, inibendo anche la mera occasione di riproposizione del comportamento in precedenza constatato (…) e la pretesa (art. 75) di far derivare dalla violazione di qualunque deviazione dall’ampio recinto di obblighi (e prescrizioni) costruiti attorno al sorvegliato speciale una responsabilità penale»[26].

Proprio una rilettura delle prescrizioni di cui all’art. 8 cod. ant. – e, dunque, anche del divieto di partecipare a pubbliche riunioni – sotto il prisma dell’offensività potrebbe condurre a «possibili rimeditazioni degli assetti interpretativi» della normativa di prevenzione: in effetti, l’ampiezza del divieto e la sua obbligatorietà, unitamente al «considerevole incremento delle figure soggettive e dei tipi criminologici presi in considerazione dal legislatore», tendono a porsi «in potenziale contrasto con una razionale selezione della tipologia e della ampiezza dei divieti imposti, che tenga conto da un lato della rilevanza dei diritti incisi e dall’altro di una obbligatoria correlazione (…) tra la prescrizione imposta e la tipologia di pericolosità manifestata dal soggetto destinatario».

Per il giudice rimettente, infatti, un sistema di prevenzione che faccia seriamente i conti con i principi di legalità e di offensività dovrebbe basarsi su di una «constatazione individualizzata di necessità e di utilità di ‘quella’ particolare prescrizione», in modo tale da giungere ad un «complessivo trattamento di prevenzione, capace di limitare la tendenza alla ripetizione di condotte devianti».

Pur consapevole che una tale rimodulazione del sistema di prevenzione personale non possa passare che attraverso una complessiva ed organica riforma legislativa[27], nondimeno la prima sezione ha ritenuto di adire le sezioni unite per risolvere il contrasto interpretativo sopra riassunto.

 

***

 

8. Pur non essendo questa la sede per approfondire la complessa questione della compatibilità costituzionale e convenzionale della normativa antimafia – e, in particolare, della rilevanza penale assunta dall’inosservanza delle prescrizioni che conseguono all’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza – siano comunque concesse alcune brevi riflessioni conclusive.

Anzitutto, nonostante il lodevole intento di stimolare un intervento ermeneutico “tassativizzante” e, dunque, maggiormente in linea con i principi di legalità e determinatezza, vi sono argomenti che avrebbero forse potuto suggerire, sul piano metodologico, una soluzione diversa.

Un conto, infatti, è trovarsi in presenza di una norma che, pur rispondendo ai canoni di precisione e determinatezza, sia suscettibile di diverse interpretazioni, tutte parimenti compatibili con il suo tenore letterale. In questo caso non si discuterebbe della “qualità” della disposizione, bensì “solo” della sua corretta esegesi: conseguentemente, una volta riscontrato un contrasto giurisprudenziale su una specifica questione di diritto, ai sensi dell’art. 618 c.p.p. il giudice di legittimità potrebbe rimettere il ricorso alle sezioni unite[28].

Un altro conto, invece, è dubitare – come nel caso qui commentato – della stessa compatibilità di una disposizione con il principio di legalità. A fronte di un tale dubbio, appare preferibile sottoporre la norma ad un vaglio di costituzionalità sollevando una questione di legittimità davanti al Giudice delle leggi.

La via della questione di legittimità costituzionale sarebbe forse stata preferibile anche in ragione delle vicende, del tutto assimilabili, che hanno riguardato le prescrizioni di “honeste vivere” e di “rispettare le leggi”. Ed infatti, se con la pronuncia Paternò le sezioni unite hanno cercato di porre rimedio in via interpretativa al difetto di tassatività delle due menzionate prescrizioni, a meno di un mese dal deposito delle motivazioni, la seconda sezione della Cassazione, pur condividendo nel merito il principio di diritto enunciato, ha reputato di sollevare comunque una questione di legittimità costituzionale, evidenziando come solo una pronuncia di incostituzionalità, con la sua efficacia erga omnes, possa assicurare una adeguata garanzia sia nei confronti di coloro che, in passato, sono stati condannati in ragione della violazione dei predetti obblighi – mediante il travolgimento del giudicato in virtù del combinato disposto degli artt. 30 l. n. 87/1953 e 673 c.p.p. – sia nei confronti di coloro che, in futuro, dovranno orientare le proprie scelte di comportamento senza timore di dover difendersi da un (eventuale) nuovo revirement[29].

La suddetta via si impone a maggior ragione oggi, alla luce della posizione assunta dalla Corte costituzionale in relazione al “caso Paternò”. Con la sopra citata sentenza n. 25 del 2019, infatti, è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 75, co. 2, cod. ant. nella parte in cui sanziona penalmente l’inosservanza delle prescrizioni di “honeste vivere” e “rispettare le leggi” da parte del sorvegliato speciale con obbligo o divieto di soggiorno sulla base di due argomenti: da un lato, la Corte ha evidenziato come le statuizioni contenute nella pronuncia de Tommaso debbano considerarsi come orientamento consolidato e, dunque, idonee a fondare l’interpretazione convenzionalmente conforme adottata dalle sezioni unite nella pronuncia Paternò[30]; dall’altro lato, è stato evidenziato che il ricollegare una sanzione penale alla violazione delle prescrizioni in parola, oltre a violare il principio del nullum crimen convenzionale con riferimento al canone della prevedibilità, determina un trattamento sanzionatorio complessivamente sproporzionato[31].

Anche in considerazione di tale recente approdo, dunque, è auspicabile che le sezioni unite chiamino in gioco la Corte costituzionale, sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 cod. ant. in relazione alla prescrizione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni per violazione degli artt. 25 e 117 Cost., sempre in relazione agli artt. 7 Cedu e 2 Prot. 4 Cedu.

Inoltre, volendo procedere nella direzione di una progressiva modulabilità delle prescrizioni in relazione agli specifici profili di pericolosità di ciascun proposto, si potrebbe in futuro ipotizzare anche una questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 8 cod. ant. per violazione dell’art. 3 Cost., in rapporto alla irragionevolezza dell’applicazione obbligatoria della prescrizione in parola a tutti i sorvegliati speciali: se una tale questione venisse accolta, il divieto diverrebbe discrezionale e verrebbe conseguentemente applicato soltanto a quei sorvegliati, la cui partecipazione a riunioni pubbliche può comportare un pericolo per la pubblica sicurezza.

A ben vedere, infatti, sembra innegabile che esistano talune categorie di soggetti socialmente pericolosi, rispetto ai quali il divieto di partecipare a pubbliche riunioni non svolge alcuna funzione preventiva. Si pensi, ad esempio, al “corrotto socialmente pericoloso” o allo “stalker socialmente pericoloso”: non essendo le manifestazioni criminali di tali soggetti in alcun modo provocate, o comunque occasionate, dalla partecipazione ad assembramenti pubblici di persone, il divieto in parola si risolve in una ingiustificata limitazione di una libertà costituzionalmente garantita.

 

 

9. Ferma la preferibilità di un intervento del Giudice delle leggi in subiecta materia, resta ora da verificare le soluzioni praticabili, nel caso in cui le sezioni unite decidessero di non rivolgersi alla Corte costituzionale.

Sulla scia della pronuncia Paternò, una prima “via” potrebbe essere quella della interpretatio abrogans: in altre parole, si potrebbe sostenere che anche il divieto di partecipare a pubbliche riunioni deve essere inquadrato tra le prescrizioni “generiche” e che, dunque, la sua inosservanza non comporta l’integrazione del reato di cui all’art. 75, co. 2, cod. ant.

Senonché, una tale opzione potrebbe prestare il fianco a due obiezioni.

Per un verso, si potrebbe sostenere che il precetto risultante dal combinato disposto dell’art. 8 con l’art. 75 – “il sorvegliato speciale con obbligo o divieto di soggiorno che partecipa a pubbliche riunioni è punito …” – non sia irrimediabilmente vago e indeterminato. Detto altrimenti, benché il concetto di “pubbliche riunioni” appaia idoneo a ricomprendere una vasta gamma di situazioni tra loro eterogenee, nondimeno non risulterebbe del tutto privo di capacità selettiva dei comportamenti penalmente rilevanti[32].

Per altro verso, una radicale elisione del suddetto divieto dalla norma incriminatrice potrebbe apparire non del tutto auspicabile: in effetti, rimangono ipotizzabili situazioni in cui, forse, appare ancora consigliabile “rinforzare” la prescrizione in parola mediante la punizione della sua inosservanza con la sanzione penale (si pensi, ad es., al destinatario di una misura di prevenzione personale per fatti di terrorismo).

 

10. Nel caso in cui le sezioni unite decidessero di non percorrere la strada dell’abrogazione in via interpretativa, difficilmente sarebbe convalidabile l’orientamento tradizionale, dal momento che una tale soluzione si porrebbe in aperto contrasto con le critiche mosse dalla sentenza de Tommaso alla prescrizione de qua.

Ecco che, allora, una seconda “via”, per così dire intermedia, potrebbe essere rappresentata da una interpretazione “tassativizzante” del concetto di “pubbliche riunioni”.

In questa direzione, valorizzando il disposto dell’art. 17 Cost., si potrebbe sostenere che le “pubbliche riunioni” di cui all’art. 8 cod. ant. siano solo quelle che si tengono in luogo pubblico: se, infatti, il diritto di riunione non può subire controlli o limitazioni qualora esso venga esercitato in luogo privato e in luogo aperto al pubblico, quando la riunione deve svolgersi in luogo pubblico è richiesto il preavviso all’autorità, la quale può vietarla per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Invero, tale soluzione – sufficientemente “tassativizzante” e non arbitraria, in ragione dell’esplicito riferimento contenuto nell’art. 17 Cost. – è già stata “sperimentata” da una parte della giurisprudenza di merito, la quale di recente ha circoscritto il divieto di partecipazione a pubbliche riunioni alle sole per le quali è richiesto il preavviso alla pubblica autorità[33].

Quale che sia, tra le due appena ipotizzate, la soluzione prescelta, il quesito sottoposto alle sezioni unite riceverebbe comunque una risposta negativa e, dunque, la partecipazione a manifestazioni sportive da parte del sorvegliato speciale non integrerebbe il reato di cui all’art. 75 cod. ant.: nel caso di interpretatio abrogans, perché si escluderebbe in radice l’integrazione del reato in caso di inosservanza del divieto in parola; e, in caso di interpretazione “tassativizzante” nei termini sopra detti, in quanto le manifestazioni sportive in luogo aperto al pubblico non richiedono il preavviso alla autorità di pubblica sicurezza.

Si tratterebbe di un esito senz’altro condivisibile. In effetti, in ragione del carattere estremamente vago, se non del tutto indeterminato, di alcune delle prescrizioni previste dall’art. 8 cod. ant., il precetto di cui all’art. 75 cod. ant. risulta, oltreché eccessivamente ampio, scarsamente rispettoso del principio di legalità, nelle sue declinazioni della determinatezza e della prevedibilità: in questo quadro, allora, le due soluzioni sopra proposte avrebbero il pregio di ridurre l’ambito applicativo del reato de quo, estromettendo dal tipo legale tutti quei comportamenti che stridono maggiormente con il principio del nullum crimen.

In conclusione, pur guardando con favore ai più recenti approdi giurisprudenziali, i quali si sono fatti carico di attenuare, attraverso l’interpretazione, i più evidenti profili di frizione della legislazione ante delictum con il principio di legalità, nondimeno rimane l’auspicio per un serio intervento legislativo di riforma che, in linea con i principi di proporzionalità ed adeguatezza, ridefinisca la prevenzione personale come strumento di contenimento delle tipiche manifestazioni della specifica pericolosità espressa da ogni singolo proposto, anche attraverso misure e prescrizioni “ritagliate e cucite” ad hoc.

Non resta ora che attendere la decisione delle sezioni unite.

 


[1] F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in questa Rivista, 3 marzo 2017; A.M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in questa Rivista, fasc. 3/2017, p. 15 ss; S. Finocchiaro, Le misure di prevenzione italiane sul banco degli imputati a Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2, 2017, p. 881 ss.

[2] Per un’attenta analisi di tale giurisprudenza, si veda: F. Basile, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità sociale nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde, in questa Rivista, 20 luglio 2018.

[3] Per un ulteriore commento all’ordinanza qui annotata si veda: F. Vilasi, Le sezioni unite chiamate a pronunciarsi sulla punibilità della partecipazione del soggetto sottoposto a sorveglianza speciale ad una manifestazione sportiva tenuta in luogo aperto al pubblico, in corso di pubblicazione su DisCrimen.

[4] Per un più approfondito sguardo alle prescrizioni previste dall’art. 8 cod. ant., si rinvia a: F. Insom, La violazione degli obblighi, in S. Furfaro (a cura di), Misure di prevenzione, 2013, in Diritto e procedura penale, collana diretta da A. Gaito, B. Romano, M. Ronco, G. Spangher, p. 289 ss.; M. F. Cortesi, Le misure personali applicate dall’autorità giudiziaria, in F. Fiorentin (a cura di), Misure di prevenzione personali e patrimoniali, Torino, 2018, p. 264 ss.

[5] Tale ultima prescrizione è stata recentemente introdotta dal d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, conv. con l. 1° dicembre 2018, n. 132.

[6] Corte cost., sent. 18 febbraio-20 aprile 1959, n. 27.

[7] Corte cost., sent. 21 aprile-5 maggio 1983, n. 126.

[8] Corte edu, grande camera, 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, § 123.

[9] Per un’analisi critica della norma incriminatrice in questione si rinvia a: L. Stortoni, Profili costituzionali delle fattispecie penali previste dalla legge 27 dicembre 1956 n. 1423, in Riv. it. dir. proc. pen., 1974, I, p. 102 ss.; M. F. Cortesi, Le sanzioni, in F. Fiorentin (a cura di), Misure di prevenzione personali e patrimoniali, Torino, 2018, p. 323 ss.

[10] Corte cass., sez. un., 29 maggio (dep. 24 luglio) 2014, n. 32923, Sinigaglia, in questa Rivista, 18 settembre 2014, con nota di M. C. Ubiali, Le sezioni unite sulla violazione dell’obbligo, per il sorvegliato speciale, di esibire la carta di permanenza.

[11] Ivi, par. 10.3.

[12] Ivi, par. 11. A sostegno di tale affermazione, nel medesimo paragrafo viene richiamata una risalente pronuncia di legittimità nella quale si era per la prima volta chiaramente sostenuto che «non tutte le violazioni delle prescrizioni generiche previste dall’art. 5 della legge n. 1423 del 1956 [oggi art. 8 cod. ant.] erano idonee ad integrare la condotta punibile ai sensi dell’art. 9 della stessa legge [oggi art. 75 cod. ant.] (…), ma solo quelle che si risolvevano nella vanificazione sostanziale della misura semplice imposta» (corsivo aggiunto). Trattasi di Corte cass., sez. I, 20 marzo (dep. 8 ottobre) 1985, n. 793, De Silva, in Giur. it., 1987, II, p. 84 ss.

[13] Corte cass., sez. un., 27 aprile (dep. 5 settembre) 2017, n. 40076, Paternò, in De Jure.

[14] F. Basile, Le Sezioni unite “Paternò”, con quel che precede e quel che segue. Quale futuro per le misure di prevenzione?, in Giur. it., 2018, II, p. 455 ss.; G. Biondi, Le Sezioni unite Paternò e le ricadute della sentenza della Corte Edu De Tommaso c. Italia sul delitto ex art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159/2011: luci ed ombre di una sentenza attesa, in questa Rivista, fasc. 10/2017, p. 163 ss.; F. Viganò, Le Sezioni unite ridisegnano i confini del delitto di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione alla luce della sentenza de Tommaso: un rimarchevole esempio di interpretazione conforme alla CEDU di una fattispecie di reato, in questa Rivista, fasc. 9/2017, p. 146 ss.

[15] Corte cass., sez. II, ord. 11 ottobre (dep. 26 ottobre) 2017, n. 49194, Sorresso, pubblicata in questa Rivista con commento di F. Viganò, Ancora sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione: la seconda sezione della Cassazione chiama in causa la Corte costituzionale, fasc. 10/2017, p. 272 ss.

[16] Corte cost., 24 gennaio-27 febbraio 2019, n. 25.

[17] Corte cass., sez. I, 11 marzo (dep. 8 luglio) 2003, n. 28964, D’Angelo, in De Jure.

[18] Ibidem.

[19] V., ex multis: Corte cass., sez. I, 11 marzo (dep. 16 aprile) 2015, n. 15870, Carpano, in De Jure; Corte cass., 24 ottobre (dep. 15 novembre) 2007, n. 42283, Pesce, in De Jure; Corte cass., sez. I, 11 marzo (dep. 8 luglio) 2003, n. 28964, D’Angelo, in De Jure.

[20] Corte cass., sez. I, 8 maggio (19 giugno) 2018, n. 28261, Lo Giudice, in De Jure. Al par. 2 della sentenza si legge che «la nozione di riunione pubblica non deve essere intesa in un’accezione formalistica, non rilevando le modalità di celebrazione dell’incontro, dovendosi ricomprendere in tale ambito qualsiasi occasione di ritrovo, anche informale, caratterizzata dalla presenza in un luogo pubblico o aperto al pubblico di una pluralità di persone non preventivamente determinabile».

[21] Ivi, par. 3.

[22] Ex multis: Corte cass., sez. I, 5 novembre (dep. 2 dicembre) 2008, n. 44846, Solferino, in De Jure. Nella sentenza si legge che «non viola (…) il principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. la norma (artt. 5 e 9 L. 27 dicembre 1956, n. 1423 e successive modifiche), che, secondo il ricorrente consentirebbe di vietare al sorvegliato speciale la partecipazione a pubbliche riunioni e comizi elettorali, senza porre alcun criterio direttivo. La violazione non sussiste in quanto la norma suddetta esprime il divieto di partecipare a pubbliche riunioni in termini assolutamente tassativi senza margini di discrezionalità per il giudice, che deve applicare la prescrizione “in ogni caso”, ossia a tutti i sorvegliati speciali».

[23] Corte cass., sez. I, 6 giugno (dep. 30 ottobre) 2018, n. 49731, Sassano, in Leggi d’Italia.

[24] Corte cass., sez. I, 9 aprile (dep. 10 luglio) 2018, n. 31322, Pellegrini, pubblicata in questa Rivista, 19 luglio 2018, con nota critica di G. Amarelli, Ulteriormente ridotta la tipicità del delitto di violazione degli obblighi inerenti alla misura di prevenzione: per la Cassazione anche il divieto di partecipare a pubbliche riunioni contrasta con il principio di determinatezza.

[25] Corte cass., sez. I, ord. 19 dicembre 2018 (dep. 17 gennaio 2019), n. 2124, Acquaviva + 1, par. 4.

[26] Si riportano i corsivi come nell’originale dell’ordinanza.

[27] Queste le parole del giudice rimettente, contenute nel par. 4: “È evidente, peraltro, che il raggiungimento di un assetto applicativo rispettoso di tali canoni – qui esposti in sintesi e per doverosa completezza argomentativa – potrebbe essere estraneo ai contenuti di una mera operazione nomofilattica, ma ciò non toglie che simile opzione vada rimessa alle valutazioni dell’organo di composizione del conflitto interpretativo insorto sui contenuti delle disposizioni sin qui richiamate” (corsivo aggiunto).

[28] In quest’ottica, la riforma Orlando (l. n. 103/2017), nell’intento di assicurare una più uniforme applicazione della legge, ha introdotto, nell’art. 618 c.p.p., il co. 1-bis, a norma del quale è imposto alle sezioni semplici di rimettere una questione alle sezioni unite qualora ritengano di non condividere il principio di diritto già in precedenza espresso dalla Corte di cassazione nella sua massima composizione.

[29] F. Viganò, Ancora sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione, cit., p. 274 ss. Sul punto v. anche: V. Maiello, La violazione degli obblighi di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi” tra abolitio giurisprudenziale e giustizia costituzionale: la vicenda Paternò, in Dir. pen. proc., 2018, p. 777 ss.

[30] Corte cost., 24 gennaio-27 febbraio 2019, n. 25, par. 14.1.

[31] Corte cost., 24 gennaio-27 febbraio 2019, n. 25, par. 14.2: «Vi è poi da considerare, all’opposto, che la previsione come reato della violazione, da parte del sorvegliato speciale, dell’obbligo di «vivere onestamente» e «di rispettare le leggi» ha, da una parte, l’effetto abnorme di sanzionare come reato qualsivoglia violazione amministrativa e, dall’altra parte, comporta, ove la violazione dell’obbligo costituisca di per sé reato, di aggravare indistintamente la pena, laddove l’art. 71 cod. antimafia già prevede come aggravante, per una serie di delitti, la circostanza che il fatto sia stato commesso da persona sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione della misura».

[32] Indicativa in tal senso potrebbe apparire Corte cass., sez. I, 13 gennaio (dep. 8 giugno) 2016, n. 23840, in De Jure. In tale pronuncia, infatti, è stato escluso che il semplice fatto di passeggiare tra le bancarelle in occasione di una festa patronale integri il reato di cui all’art. 5 l. n. 1423/56 (oggi art. 75 cod.), dal momento che «la condotta del ricorrente come descritta in entrambe le decisioni di merito, non consente di enucleare circostanze di fatto dalle quali si possa trarre la partecipazione ad una riunione ovvero ad una manifestazione in luogo pubblico, non potendosi ritenere tale il solo fatto di passeggiare sulla pubblica via in prossimità di bancarelle, ancorché allestite in occasione della festa del Santo patrono; tale situazione di fatto, riconducibile piuttosto al normale svolgimento dei rapporti di vita quotidiana, non determina in quanto tale difficoltà di controllo del soggetto pericoloso».

[33] Il riferimento è, in particolare, alla giurisprudenza delle sezioni di prevenzione dei Tribunali di Milano e di Palermo. Si vedano, esemplificativamente, Trib. Milano, 9 ottobre 2018, pubblicato in questa Rivista, 24 ottobre 2018, con commento di G. Tona, Il Tribunale di Milano dichiara manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale della norma che estende le misure di prevenzione personali all'indiziato di stalking; il Trib. Milano, 7 marzo 2017, pubblicato in questa Rivista, 13 aprile 2017, con commento di S. Finocchiaro, Come non detto. Per il Tribunale di Milano la sentenza della grande camera de Tommaso in materia di misure di prevenzione non integra un precedente consolidato; nonché Trib. Palermo, 28 marzo 2017, pubblicato in questa Rivista, con commento di F. Balato, Su talune recenti prese di distanza dalla sentenza della Corte edu de Tommaso da parte della giurisprudenza di merito.