24 ottobre 2018 |
Il Tribunale di Milano dichiara manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale della norma che estende le misure di prevenzione personali all'indiziato di stalking
Trib. Milano, Sez. mis. prev., decreto 9 ottobre 2018, Pres. est. Roia
Segnaliamo ai lettori che il decreto in commento – che ha avuto anche risonanza mediatica – costituisce, per quanto consta, il primo provvedimento con cui è stata disposta una misura di prevenzione nei confronti di soggetto indiziato del delitto di stalking, in applicazione della nuova lett. i-ter) dell'art. 4 d.lgs. 159/2011, introdotta dalla l. 161/2017.
1. Con il decreto che può leggersi in allegato, il Tribunale di Milano sezione autonoma misure di prevenzione ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 1 lettera i-ter) d.lgs. n. 159/2011, come modificato dall’articolo 1 comma 1 lettera d) legge n. 161/2017, e che inserisce i soggetti indiziati del delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. tra i destinatari delle misure di prevenzione personali, per contrasto con gli artt. 3, 13, 16, 117 comma 1, 25 e 27 Cost, per violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, per violazione dell’art. 2 del protocollo addizionale n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali come interpretati alla luce della ratio decidendi della sella sentenza De Tommaso c. Italia pronunciata dalla Grande Camera della Corte EDU il 23.2.2017 e per violazione del principio di determinatezza.
Con la stessa pronuncia il Tribunale di Milano ha delineato i presupposti applicativi della nuova categoria di pericolosità qualificata introdotta con la legge n. 161/2017, nonché i limiti e le condizioni entro le quali l’autorità giudiziaria può impartire le prescrizioni connesse alla misura.
2. Il procedimento riguardava un soggetto che alcuni mesi prima era stato sottoposto a misura cautelare dopo la convalida del suo arresto in flagranza per reati di cui agli artt. 612-bis, 609-bis e 609-ter co. 5-quater c.p.
L’uomo aveva intrattenuto una stabile ma tormentata relazione di convivenza con una sua connazionale, ma quest’ultima l’aveva interrotta perché i comportamenti violenti di lui l’avevano resa insopportabile. Già prima dell’interruzione della relazione, nel 2016, le forze dell’ordine erano intervenute su richiesta della donna mentre costei subiva una aggressione violenta da parte del convivente.
L’uomo non aveva accettato la decisione della sua ex e aveva continuato a cercarla, suscitando in più occasioni liti culminate in lesioni ai danni della donna e interrotte solo dall’intervento dei Carabinieri.
Egli era stato poi arrestato dopo che si era introdotto nella casa dove la sua ex convivente e il figlio minore dimoravano, l’aveva percossa durante tutta la notte, tentando ripetutamente di costringerla ad avere rapporti sessuali con lui e minacciandola con un’arma da punta e taglio.
Il Questore aveva formulato proposta di applicazione della misura della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora, con divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla donna e con divieto di comunicare con lei, nonché con l’applicazione di un percorso trattamentale.
La proposta rilevava che i comportamenti messi in atto dall’uomo evidenziavano la sua attuale pericolosità sociale, per la sua indole violenta, possessiva e ossessiva, che prefigurava il rischio della reiterazione di altre condotte in danno della donna e del figlio minore.
Il Tribunale valutava gli atti allegati alla proposta ed evidenziava che nel procedimento per il quale l’uomo era stato arrestato erano confluiti gli elementi di prova che ricostruivano il suo comportamento nei due anni antecedenti. In particolare egli era attinto da gravi indizi di colpevolezza ed era stato rinviato a giudizio (oltre che per altri reati) per condotte di cui all’art. 612-bis c.p. connotate da minacce reiterate e da gesti di violenza fisica il più delle volte in presenza del figlio minore della donna[1].
3. La difesa sollevava questione di legittimità costituzionalità essenzialmente su tre profili.
Con il primo si lamentava l’irragionevolezza dell’ampliamento delle ipotesi di pericolosità qualificata di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159/2011 al delitto di cui all’art. 612-bis c.p. L’inserimento ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione di un reato contro la persona a fronte di un elenco che prevede i più gravi delitti contro lo Stato, l’ordinamento della Repubblica, l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza, non avrebbe alcuna giustificazione.
Con il secondo si censurava la violazione del principio di uguaglianza, in quanto venivano trattati i soggetti indagati per il reato di cui all’art. 612-bis c.p., reato contro la persona perseguibile a querela di parte, alla stessa stregua dei soggetti indagati per reati di stampo mafioso, contro la pubblica amministrazione o comunque particolarmente gravi e tutti perseguibili d’ufficio.
Con il terzo si lamentava la violazione del principio di determinatezza in quanto la misura di prevenzione richiede un ancoraggio al riscontro di elementi materiali consistenti e concreti mentre il sospetto di stalking non potrebbe avere elementi materiali e fattuali realmente tipici della fattispecie richiamata, la quale fa proprie condotte tipiche previste da altre norme incriminatrici ma si differenzia solo per elementi squisitamente soggettivi.
In questo contesto veniva richiamata la violazione dell’art. 117 comma 1 Cost in relazione alla violazione del diritto sovranazionale che garantisce i cittadini contro le limitazioni arbitrarie della libertà personale, in particolare alla violazione dei principi elaborati nella decisione della Corte EDU, Grande Camera, del 23.2.2017, De Tommaso c. Italia, che stabilisce, in capo al giudice nazionale che applichi una misura di prevenzione, l’obbligo di verificare la sussistenza di fatti certi comprovanti la pericolosità sociale[2].
4. Il Tribunale affronta la questione inerente gli effetti sull’ordinamento interno della sentenza De Tommaso, andando al cuore delle sue motivazioni e dissolvendo la carica suggestiva che l’evocazione, spesso non pertinente, di questa decisione ancora produce nel dibattito sulle misure di prevenzione.
I giudici milanesi ricordano che la Corte EDU analizzava la categoria giuridica della pericolosità generica e non quella qualificata dalla descrizione di un titolo di reato (come nel caso dell’indiziato di stalking).
In relazione alle ipotesi di pericolosità generica, ma con argomenti certamente di più ampia portata, la Corte EDU fissava l’obbligo del giudice nazionale di fondare il giudizio di pericolosità sociale non su mere valutazioni soggettive senza precisi riscontri oggettivi ma su fatti certi, tali perché o accertati con sentenze irrevocabili o, se ancora in corso di accertamento, dotati di gravità indiziaria. E in questo senso, ricordano i giudici milanesi, si è pure pronunciata la giurisprudenza nazionale sia prima sia dopo la sentenza De Tommaso[3].
Nel caso di specie il Tribunale riteneva di essere in grado di individuare comportamenti storicamente delineati e fatti accertati sul piano di una gravità indiziaria di particolare intensità.
Quanto al profilo dell’irragionevolezza dell’inserimento dei soggetti indiziati di delitti di cui all’art. 612-bis c.p. nell’elenco dei destinatari delle misure di prevenzione, il Tribunale di Milano ricorda l’ordinanza n. 675/88 della Corte Costituzionale che respinse analoga questione sollevata con riguardo all’art. 19 legge n. 152/75, norma che all’epoca estendeva l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione (introdotte dalla legge n. 575/65 per gli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose) anche alle persone socialmente pericolose di cui alla legge n. 575/65, quelle che oggi vengono ricondotte alla pericolosità c.d. generica (art. 1 d.lgs. n. 159/11).
In quell’occasione la Corte affermò che non era irragionevole la scelta del legislatore di estendere le misure antimafia a categorie diverse ma che, in ragioni di altre allarmanti condotte, potevano turbare il mercato, ad esempio introducendo denaro ricavato dall’esercizio di attività delittuose o traffici illeciti.
Nemmeno irragionevole poteva quindi considerarsi, secondo il Tribunale (che non trascura di formulare un’analisi sulle connessioni tra condotte persecutorie e c.d. “femminicidi” e sulle conseguenti ricadute sulla sicurezza sociale), la scelta di considerare il delitto di cui all’art. 612-bis c.p.“dotato di particolare offensività, e quindi intrinsecamente pericoloso per le aspettative di tutela sociale non solo della singola vittima ma anche di altri soggetti quali quelli alla stessa legate da relazioni affettive o di altra natura, stante la normale diffusione della condotta persecutoria posta in essere dallo stalker e orientata a perseguitare la parte lesa in tutti i suoi contesti”
Quanto al profilo dell’uguaglianza, dedotto sotto il profilo della previsione di una misura di prevenzione da applicare su proposta dell’autorità di polizia o del P.M. per reato perseguibile a querela, il Tribunale evidenzia che la condotta di cui all’art. 612-bis c.p. può comunque essere perseguita d’ufficio a determinate condizioni e che nel caso di specie la costante presenza di un minore agli atti persecutori e la connessione della condotta con altri più gravi reati renderebbe la questione in concreto irrilevante.
Quanto alla denunciata carenza di determinatezza, il Tribunale richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 172/2014 che ha già positivamente vagliato la conformità a Costituzione della condotta tipica di cui all’art. 612-bis c.p.[4]
Infine viene dichiarata pure irrilevante la questione di legittimità dell’art. 4 comma 1 lett. i) ter d.lgs. n. 159/11 in relazione all’illegittimità costituzionale dell’art. 8 comma 5 d.lgs. n. 159/11 nella parte in cui consente al giudice di irrogare, tra le prescrizioni, la c.d. ingiunzione trattamentale al soggetto indagato.
Il Tribunale ricorda che la richiesta dell’organo proponente di applicazione di un percorso trattamentale a carico del soggetto proposto per la misura di prevenzione può essere accolta solo in presenza di una preventiva acquisizione del consenso dell’interessato. E difatti al soggetto di cui si occupa il provvedimento tale percorso non verrà applicato con il provvedimento che lo sottopone alla misura, perché egli in udienza non ha prestato il proprio consenso.
[1]Già prima dell’introduzione della lettera i-ter) nell’art. 4 comma 1 d.lgs. n. 159/11, facendo ricorso alle categorie della pericolosità generica, alcune autorità giudiziaria avevano applicato misure di prevenzione personale per vicende di “violenza domestica o in ambito di relazioni affettive”; cfr. Trib. Roma, decr. 3 aprile 2017 n.30; trib. Palermo, decr. 1 giugno 2017 n. 62, in questa Rivista, 16 ottobre 2017, con nota di S. Recchione, La pericolosità sociale esiste ed è concreta: la giurisprudenza di merito resiste alla crisi di legalità generata dalla sentenza "De Tommaso v. Italia" (e confermata dalle Sezioni Unite "Paternò") (fasc. 10/2017, p. 129 ss.).
[2] Un primo commento in A.M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in questa Rivista, fasc. 3/2017, p. 15 ss.
[3] Il Tribunale di Milano cita Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010 n. 13426, Cagnazzo, in Cass. Pen. 2010, p. 3049; Cass. Sez. I, 14 giugno 2017 n. 36258, Celini, inedita. Sulla questione e sulla giurisprudenza più recente si rinvia a F. Menditto, Misure di prevenzione e Corte europea, in attesa della Corte costituzionale (nota a Cass., sez. I, sent. 19 aprile 2018 (dep. 3 ottobre 2018), n. 43826), in questa Rivista, 22 ottobre 2018.
[4] Corte cost., sent. 11 giugno 2014, n. 172, in questa Rivista, 23 giugno 2014, con nota di A.Valsecchi, La Corte costituzionale fornisce alcune importanti coordinate per un'interpretazione costituzionalmente conforme del delitto di stalking.