ISSN 2039-1676


31 marzo 2017 |

Illegittime le misure di prevenzione personali e patrimoniali fondate su fattispecie di pericolosità generica? Una prima ricaduta interna della sentenza de Tommaso

Corte d’appello di Napoli, VIII Sez. pen. – misure di prevenzione, ord. 14 marzo 2017, Pres. Grasso, Est. Cioffi

Contributo pubblicato nel Fascicolo 3/2017

1. Mai profezia fu più agevole: la sentenza de Tommaso, pronunciata il mese scorso dalla Grande camera della Corte EDU (e su cui cfr. F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in questa Rivista, 3 marzo 2017; A.M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, ibidem, 6 marzo 2017; R. Magi, Per uno statuto unitario dell’apprezzamento della pericolosità sociale, ibidem, 13 marzo 2017), comincia a provocare scosse telluriche nel nostro ordinamento, ponendo in dubbio la legittimità costituzionale della disciplina delle misure di prevenzione (personali e patrimoniali) fondate sulle fattispecie di pericolosità ‘generica’ disciplinate, oggi, dall’art. 1, lett. a) e b) del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. codice antimafia).

Con l’ordinanza qui pubblicata, la sezione misure di prevenzione della Corte d’appello di Napoli solleva questione di legittimità costituzionale delle norme relative, nella versione precedente all’entrata in vigore del codice antimafia (in quanto applicabili ratione tempore alla fattispecie sottoposta al suo esame), sospettandone il contrasto con l’art. 117 co. 1 Cost. in relazione a) all’art. 2 prot. 4 Cedu, per ciò che concerne le misure di prevenzione personali, nonché b) all’art. 1 prot. add. Cedu, per ciò che concerne la misura di prevenzione patrimoniale della confisca.

 

2. Nel caso concreto all’esame, il Questore di Napoli aveva proposto, nel maggio 2010, l’adozione a carico della ricorrente delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e della confisca, ritenendo la ricorrente medesima portatrice di pericolosità generica ai sensi dell’art. 1 nn. 1) e 2) legge n. 1423/1956, nella versione in vigore all’epoca della proposta (poi integralmente confluita nell’art. 1 del codice antimafia).

Nel dicembre 2014 il Tribunale di Napoli aveva, in accoglimento della proposta, imposto entrambe le misure alla ricorrente, sulla base della normativa vigente all’epoca della proposta, ancora applicabile in forza dell’art. 117 del codice antimafia; e in particolare aveva proceduto a confiscare numerosi beni mobili e immobili intestati a terzi, ma ritenuti nella di lei disponibilità e di valore sproporzionato rispetto al suo patrimonio lecito e giustificato.

Nel procedimento di appello avverso tale provvedimento, la Corte partenopea solleva quindi d’ufficio, alla luce del novum rappresentato dalla sentenza de Tommaso, la questione di legittimità costituzionale di cui si è detto, formulandola con riferimento alla normativa pre-2011 applicabile ratione temporis, ma anche – in via asseritamente consequenziale – alle disposizioni corrispondenti del codice antimafia.

 

3. Degno di nota è, anzitutto, che la questione sia stata formulata con riferimento tanto alla disciplina della sorveglianza speciale, quanto a quella della confisca di prevenzione.

Come si rammenterà, la sentenza de Tommaso aveva esclusivamente ad oggetto la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, ritenuta lesiva della libertà di circolazione tutelata dall’art. 2 prot. 4 Cedu nella specifica ipotesi in cui essa venga imposta sulla base di una delle fattispecie di pericolosità ‘generica’ di cui (oggi) all’art. 1, lett. a) e b) del codice antimafia: fattispecie che la Grande camera della Corte EDU ha giudicato inidonee, per la vaghezza della loro formulazione, a consentire all’interessato di prevedere la possibile applicazione nei propri confronti della misura di prevenzione.

Come più ampiamente osservato in sede di primo commento alla sentenza di Strasburgo, il giudizio della Corte non era – dunque – ritagliato sullo specifico caso concreto all’esame, ma aveva ad oggetto direttamente la difettosa qualità della base legale della limitazione della libertà convenzionale, giudicata irrispettosa degli standard convenzionali.

Una tale censura implica, né più né meno, che un giudizio di illegittimità convenzionale, al metro dell’art. 2 prot. 4 Cedu, della descrizione normativa dei primi due presupposti soggettivi di pericolosità ‘generica’ previsti dalla disciplina italiana in materia di misure di prevenzione, riferiti come è noto a “coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi” e a “coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”. Illegittimità convenzionale che non può che tradursi, come giustamente rileva la Corte partenopea, in una illegittimità anche al metro della Costituzione italiana, in forza dell’art. 117 co. 1 Cost., secondo il noto insegnamento delle sentenze gemelle n. 348 e 349/2007.

Ma, come è agevole intuire, il giudizio di inadeguatezza convenzionale di una tale base normativa formulato dalla Corte EDU non sembra poter essere ragionevolmente confinato alla materia della libertà di circolazione: anche la proprietà è, infatti, un diritto dotato di riconoscimento convenzionale, al metro dell’art. 1 prot. add. Cedu; e anche tale diritto può essere legittimamente compresso solo in forza di una legge che soddisfi gli standard di prevedibilità che la giurisprudenza di Strasburgo fissa in linea generale per qualsiasi legge che preveda limitazioni ai diritti convenzionali.

Se dunque la disciplina italiana in materia di pericolosità generica è stata ritenuta inadeguata a legittimare mere restrizioni alla libertà di circolazione, ben difficilmente quella stessa disciplina potrà essere ritenuta sufficiente a legittimare una misura – come la confisca di prevenzione – che comporta l’ablazione definitiva di un altro importante diritto convenzionale, come per l’appunto il diritto di proprietà.

Del tutto comprensibile, dunque, la decisione della Corte napoletana di estendere la questione di legittimità costituzionale anche rispetto alla misura della confisca, sulla base del parametro interposto rappresentato dall’art. 1 prot. add.

 

4. Né deve stupire che questa seconda questione, relativa alle misure di prevenzione patrimoniali, venga sottoposta alla Corte costituzionale prima ancora che su di essa si pronunci la Corte di Strasburgo.

Il giudice nazionale (comune e costituzionale) è, come da sempre si insegna, anche il primo giudice della Convenzione (e dei suoi protocolli), investito del compito di applicare e interpretare egli stesso le disposizioni convenzionali: sulla base, certo, delle indicazioni fornite dal ‘loro’ giudice – la Corte di Strasburgo –; ma anche con la necessaria autonomia per sviluppare ed ulteriormente elaborare i principi enucleati dal case law europeo nel confronto vivo con le molteplici questioni che l’ordinamento domestico sottopone di volta in volta alla sua attenzione. Senza, insomma, che sia necessario attendere, in modo supino, decisioni esattamente in termini da parte dei giudici di Strasburgo.

 

5. La palla passa così alla Corte costituzionale, alla quale si offrirà, ora, una magnifica occasione per riprendere il filo garantistico di un discorso iniziato con la sentenza Malagugini n. 177 del 1980, citata con ammirazione dalla stessa Corte di Strasburgo; un discorso che lasciava sperare in una marcia trionfale del nostro ordinamento verso la progressiva affermazione del principio di legalità nella definizione dei presupposti delle misure di prevenzione – e cioè delle “fattispecie di pericolosità” (mafiosa, terroristica, ‘sportiva’, etc.), che definiscono gli autentici requisiti oggettivi di applicazione delle misure, e che oggi vengono spesso indicati, nel mistificante linguaggio dottrinale e giurisprudenziale entrato nell’uso, come meri presupposti “soggettivi” delle misure di prevenzione. Una speranza rimasta, purtroppo, largamente senza seguito nei decenni successivi, anche per effetto dell’inerzia del legislatore, che ha lasciato fosse la giurisprudenza a farsi carico dell’esigenza di restituire un minimum di tassatività ai vaghissimi presupposti normativi della pericolosità ‘generica’.

Troppo poco, davvero, per rispondere alle esigenze del principio di legalità, che esige dal legislatore scelte chiare e ben scolpite sui presupposti di ogni misura limitativa di diritti fondamentali, come la libertà di circolazione o lo stesso diritto di proprietà.