ISSN 2039-1676


18 maggio 2017 |

La Suprema Corte sulla valutazione della perdurante pericolosità del proposto in tema di misure di prevenzione personali

Nota a Cass., Sez. I, sent. 24 gennaio 2017 (dep. 26 aprile 2017), n. 19657, Pres. Vecchio, Rel. Centonze, Ric. Palermo

Contributo pubblicato nel Fascicolo 5/2017

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1. Con la pronuncia qui segnalata la Corte di cassazione interviene “a valle” della sent. n.  291/2013 della Corte costituzionale (pubblicata in questa Rivista, 9 dicembre 2013, con nota di T. Trinchera, Misure personali di prevenzione: nel caso di sospensione dell'esecuzione per lo stato di detenzione dell'interessato, la pericolosità va riverificata a sospensione esaurita), con la quale il giudice delle leggi vagliava la legittimità dell’istituto delle misure di prevenzione, stabilendo che, in caso di applicazione della misura in un momento precedente all’espiazione di pene di “lunga durata”, il giudice dell’esecuzione deve (al termine del trattamento sanzionatorio) procedere a una valutazione circa la persistenza del requisito di pericolosità.

 

2. All’indomani della sentenza della Corte costituzionale, la giurisprudenza di merito (cfr. in particolare Tribunale Santa Maria Capua Vetere, r.g.n. 176/2010, 16 aprile 2016, con nota di S. Risoli, Applicabilità delle misure di prevenzione ai soggetti detenuti e condannati a pene "di lunga durata": un provvedimento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in questa Rivista, 25 ottobre 2016) aveva rilevato che l’applicazione di misure di prevenzione a pena non ancora scontata avrebbe prodotto inevitabilmente una duplicazione del giudizio sulla pericolosità del proposto.

 

3. Il provvedimento della Cassazione in esame interviene quindi su un terreno “argilloso”. La decisione origina dal ricorso di un soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Al prevenuto era stata applicata la misura in oggetto nel 2009 dal Tribunale di Catania; l’esecuzione della stessa rimaneva tuttavia sospesa durante il periodo di espiazione della condanna (dal 2009 al 2014). All’indomani della scarcerazione, il proposto presentava istanza di revoca del provvedimento impositivo, sottolineando il venir meno della propria pericolosità sociale in forza del trattamento sanzionatorio subìto. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello rigettavano l’istanza; nel giudizio di impugnazione si rilevava, in particolare, che il soggetto non aveva offerto elementi specifici e concreti, tali da giustificare il venir meno della sua pericolosità. In ultima analisi, la Corte d’Appello sosteneva che con l’impugnazione il prevenuto non aveva allegato fatti nuovi che permettessero di rivedere e modificare il giudizio di pericolosità già affermato al momento di applicazione della misura.

 

4. I giudici di legittimità ricordano che, a seguito della sent. n. 291/2013 della Consulta, il giudice competente per l’esecuzione della misura preventiva già inflitta non può prescindere dal tener conto del (lungo) periodo di detenzione subìta dal prevenuto. La Corte costituzionale ha infatti affermato con chiarezza il potere-dovere del giudice di procedere anche d’ufficio alla rivalutazione della pericolosità sociale dell’ex detenuto. Dall’altra parte, sottolinea la Corte di cassazione, la legge non prevede, tra i presupposti per la revoca della misura di prevenzione, la produzione o l’allegazione di fatti nuovi rispetto a quelli che hanno legittimato l’applicazione della misura nel “primo” giudizio.

 

5. Nel valutare la persistenza della pericolosità, bisogna perciò considerare il contesto probatorio che ha determinato, a suo tempo, l’applicazione della misura personale; ma occorre farlo alla luce della lunga detenzione, la quale può determinare una «decisiva incrinatura» dell’originario corredo fattuale. In altre parole, la Suprema Corte censura qualsiasi automatismo nel respingere le istanze di revoca delle misure preventive. Al giudice di appello si contesta di aver acriticamente proiettato nel presente il giudizio di pericolosità formulato nei confronti del prevenuto al tempo dell’applicazione della misura, senza tener conto del lungo periodo trascorso (circa cinque anni), dell’incidenza che questo abbia avuto sulla condizione e sulla persona del proposto, della scemata pericolosità in conseguenza della sanzione penale. In questo modo, il giudice dell’esecuzione della misura muove in effetti da una presunzione assoluta di pericolosità, in contrasto netto con i principii delineati dalla Corte costituzionale.

 

6. Sull’altro versante, però, la Corte di cassazione nega che il prevenuto possa ottenere la revoca della misura unicamente in considerazione della lunga detenzione patita. La pronuncia della Consulta – secondo la Cassazione – escluderebbe infatti automatismi in entrambi i sensi: il giudice dell’esecuzione non può omettere di valutare l’incidenza della pena espiata sulla persistente pericolosità del prevenuto, ma quest’ultimo non può semplicemente far leva sulla pena subìta per ottenere la revoca della misura. Ad avviso della Cassazione, la giurisprudenza costituzionale introduce semplicemente l’obbligo di una seconda valutazione rigorosa e “neutra”, a garanzia tanto del prevenuto quanto dell’interesse collettivo. Si delinea quindi un regime presunzione relativa della (perdurante) pericolosità, che l’interessato può vincere nel giudizio che precede l’esecuzione. È quindi illegittima la pronuncia che respinga l’istanza di revoca, se non esamina in concreto e rigorosamente la persistenza o la cessazione dei requisiti che ne hanno comportato l’applicazione.

Ciò premesso, una parte della conclusione tratta dal Supremo collegio non è del tutto condivisibile. In particolare, dal principio delineato dalla Corte costituzionale non sembra evincersi alcuna presunzione, nemmeno relativa, nei confronti della pericolosità – già oggetto di accertamento nel corso del “primo” giudizio – del prevenuto. La pronuncia, al contrario, pare introdurre la seconda valutazione di pericolosità proprio per non consentire illegittimi automatismi a discapito del prevenuto e dei suoi diritti fondamentali.