ISSN 2039-1676


13 febbraio 2012 |

Legittimo il sequestro preventivo del sito internet se i contenuti sono diffamatori

Cass. Pen., Sez. V., 19.9.2011 (dep. 14.12.2011), n. 46504, Pres. Colonnese, Rel. Scalera

Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Cassazione conferma la legittimità della misura cautelare reale del sequestro preventivo adottata con riguardo ad un sito internet dai contenuti diffamatori, qualora detta misura rappresenti 'l' unico mezzo idoneo per scongiurare la reiterazione del reato' di diffamazione.


Questa la vicenda processuale definita dalla pronuncia annotata. Il Tribunale del Riesame di Torino confermava la misura cautelare reale disposta dal g.i.p., consistente nel sequestro preventivo del sito internet, su istanza di un avvocato cui era stato conferito un incarico professionale, poi revocato, da parte del gestore del sito in questione. Il legale aveva scoperto che sul sito dell'ex cliente erano presenti copiose affermazioni diffamatorie sul suo conto, che si spingevano finanche a negare il possesso da parte sua dei titoli abilitativi necessari a svolgere la professione forense. Evidente era il danno permanente all'immagine della vittima, mediante la pubblicazione on line di tali scritti denigratori, e pertanto veniva disposto, confermato dal Riesame, il sequestro preventivo ex art 321 c.p.p. dell'intero sito internet gestito dall'indagato. Ciò in quanto un primo provvedimento cautelare, limitato ad una sola pagina del sito in questione, era stato di fatto vanificato dal reinserimento di ulteriori contenuti diffamatori in altre pagine dello stesso sito internet.


Il ricorrente proponeva quindi ricorso in Cassazione avverso la misura cautelare citata, censurando sia la mancata valutazione, nella ponderazione dei presupposti legittimanti la misura cautelare, del danno grave ed irreparabile cagionato «all'attività istituzionale, di meritoria rilevanza sociale, del sito», sia la violazione dell'art. 321, co. 3 c.p.p., argomentando nel senso di una presunta inammissibilità del sequestro preventivo di un sito internet, che imporrebbe un ingiusto vincolo di indisponibilità  da parte di chiunque, associati, collaboratori ed utenti, e quindi non soltanto dell'indagato. In altri termini, la misura cautelare avrebbe frustrato un attività di rilevanza sociale, colpendo anche gli interessi di terzi estranei al reato.


La V Sezione Penale, con la sentenza che si segnala, rigetta in toto il ricorso, ribadendo significativi principi in materia di legittimità del sequestro preventivo di supporti di informazione telematica.


In primis, i giudici di legittimità rilevano la sussistenza del fumus commissi delicti, in quanto l'ordinanza impugnata ampiamente motivava sulla portata denigratoria del contenuto delle pagine elettroniche incriminate, nonché sul concreto ed effettivo pericolo di reiterazione della condotta illecita, anche considerato che al primo sequestro, limitato ad una pagina internet,  erano susseguiti nuovi rilievi denigratori, di analogo contenuto. In sostanza la funzione cardine del sequestro preventivo, di impedire la reiterazione del reato, era qui del tutto rispettata.


La Corte non affronta invero la spinosa questione trattata invece (non in maniera esaustiva) dalla V Sezione Penale con la sentenza n. 7155 del 10 gennaio 2011 (pubblicata in questa Rivista con nota di Melzi d'Eril), e relativa all'applicabilità alla cosiddetta informazione on line delle garanzie riservate alla stampa dall'art 21, co. 3 Cost, secondo cui «si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi».


Il riferimento è all'art. 1, co.1 del r.d.l. n. 561 del 1946, in base al quale il sequestro è permesso esclusivamente in base a sentenza irrevocabile dell'autorità giudiziaria, oltre che in caso di pubblicazioni oscene (art. 2 del r.d.l. n. 561 del 1946), plagio (art. 161 legge 22.04.1941 n. 633) e apologia del fascismo (art. 8 legge 20.06.1952 n. 645). La citata sentenza n 7155 del 2011 da un lato qualifica le garanzie di cui all'art 1 del Regio Decreto citato come applicabili esclusivamente al sequestro probatorio, mantenendo invece la possibilità in termini generali di disporre il sequestro preventivo al fine di impedire un reato, anche per la stampa; dall'altro individua nella diffusione di un articolo giornalistico a mezzo internet una concreta manifestazione del pensiero riconducibile all'art 21, co. Cost., che deve quindi essere tutelata senza però di fatto assimilarla alla stampa.


La sentenza qui annotata, pur non affrontando ex professo la problematica della possibile assimilazione dell'informazione via internet alla stampa - trattandosi d'altra parte, nel caso di specie, di un sito internet personale - ribadisce ad ogni modo la possibilità di disporre il sequestro preventivo di un sito, allorché la diffamazione viaggi sulle pagine web. Con ciò i giudici di legittimità ribadiscono l'imprescindibile funzione cautelare del sequestro ex art 321 c.p.p., che ha ad oggetto il mezzo con cui il reato è consumato, al fine di impedire il protrarsi del reato.


Non ha pertanto alcun rilievo la natura del bene oggetto del sequestro, ed in particolare, nel caso di specie, la sua naturale destinazione alla comunicazione con più persone. L'unico aspetto apprezzabile, nella valutazione dei criteri per la disposizione della misura, è che l'adozione del sequestro potrà di fatto impedire la reiterazione del reato.


Va d'altra parte segnalato come già la Terza sezione, con sentenza 11 dicembre 2008 n. 10535, avesse ammesso il sequestro con conseguente oscuramento di espressioni lesive di una confessione religiosa, diffuse su un "forum", escludendo così l'applicabilità delle garanzie di cui all'art 21 Cost. in relazione a newsletter, blog, newsgroup, mailing list, chat, e messaggi istantanei. E la sentenza annotata ribadisce ulteriormente che «i siti elettronici sono soggetti agli stessi principi ed agli stessi divieti dettati per tutti i mezzi di comunicazione, incontrando tutti i limiti previsti dalla legge penale». Altrimenti argomentando, verrebbe a prospettarsi  «una sorta di zona tronca, che renderebbe immune dalla giurisdizione penale i siti elettronici».