ISSN 2039-1676


8 marzo 2011 |

Sul sequestro preventivo di un articolo pubblicato in un blog

Nota a Cass. pen., sez. V, 10.1.2011 (dep. 24.2.2011), n. 7155, Pres. Amato, Est. Sabeone

Fino al deposito della sentenza annotata, che può leggersi in allegato, la normativa in tema di sequestro di stampati non dava origine a molti dubbi: la giurisprudenza e le riflessioni degli studiosi avevano modellato una disciplina condivisa.
 
Sulla base dell’art. 21 Cost., il sequestro di stampati era consentito solo in forza di atto motivato dell’autorità giudiziaria nell’ipotesi di delitti per cui la legge sulla stampa espressamente lo autorizzasse.
 
Era anzitutto vietato il sequestro, se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell'autorità giudiziaria (art. 1 comma 1 del r.d.l. n. 561 del 1946).
 
Il sequestro probatorio era sempre possibile (nel numero massimo di tre copie, art. 1 comma 2 dell’appena citato r.d.l.), nel rispetto del codice di rito.  
 
Per quanto riguarda il sequestro preventivo, che determina l’eliminazione dal circuito dei media dell’intera tiratura (quello che più il legislatore costituzionale mirava ad arginare), venivano individuati tre casi: pubblicazioni oscene (art. 2 del r.d.l. n. 561 del 1946), plagio (art. 161 legge 22.04.1941 n. 633) e apologia del fascismo (art. 8 legge 20.06.1952 n. 645).
L’avvento dell’informazione on line portava anche in questa materia l’interrogativo ormai classico: era possibile applicare alla manifestazione del pensiero diffusa via web le garanzie previste dal legislatore per la stampa? E, se sì, a quali condizioni?
Le soluzioni dei giudici di merito erano variegate e si attendeva che la Cassazione si esprimesse sul punto.
 
In verità, la Terza sezione, con sentenza 11 dicembre 2008 n. 10535 (in Cass. pen., 2010, p. 949) aveva ammesso il sequestro (cioè l’oscuramento) di espressioni lesive di una confessione religiosa, diffuse su un “forum”, escludendo l’applicabilità delle tutele costituzionali a newsletter, blog, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei. La Corte sembrava estendere le garanzie previste per la stampa solo ai mezzi ritenuti ad essa equiparabili, senza però chiarire quali fossero i caratteri che consentivano una tale assimilazione.
 
Il caso in esame sembrava proprio una buona occasione per fare chiarezza. Un’occasione persa, come vedremo.
 
Sul sito curato da un noto giornalista, veniva pubblicato un articolo dal contenuto giudicato diffamatorio da una persona ivi citata. Il Gip disponeva il sequestro del “pezzo” e il Tribunale del riesame, cui si rivolgeva l’indagato, si poneva il problema della applicabilità alla fattispecie della tutela prevista per la stampa, risolvendolo in un modo ingegnoso e forse anche condivisibile in astratto. Secondo il Tribunale, le disposizioni di cui all’art. 21 Cost. possono essere applicate anche alla informazione telematica, purché quest’ultima abbia i requisiti che la legge impone ai periodici; poiché il sito in questione non possedeva le indicazioni obbligatorie per questi ultimi, confermava il provvedimento. In verità, la norma costituzionale limita la possibilità di sequestrare stampati e non periodici, dunque sarebbe stata la sussistenza delle indicazioni obbligatorie per i primi che il Tribunale avrebbe dovuto verificare.
 
La questione giunge alla Corte, che sembra però omettere del tutto di occuparsi del problema centrale più volte evidenziato e, nel confermare l’ordinanza, con una motivazione che non brilla per limpidezza, si lascia sfuggire un paio di affermazioni che rischiano di provocare un vero e proprio “terremoto”.
 
In primo luogo, la sentenza sottolinea come l’art. 1 del r.d.l. n. 561 del 1946 sarebbe applicabile esclusivamente al sequestro probatorio. Col risultato un po’ paradossale di ritenere che un mezzo di ricerca della prova possa essere disposto «in virtù di una sentenza irrevocabile dell'autorità giudiziaria».
 
In secondo luogo, sembra da un lato consentire l’estensione dell’art. 21 Cost. anche a un articolo diffuso via internet, dall’altro ammettere l’applicabilità della cautela «di un qualsiasi supporto destinato a comunicare» una volta soddisfatti i presupposti di cui all’art. 321 c.p.p. Sicché, la Corte o ritiene anche l’art. 21 Cost. applicabile solo al sequestro probatorio, o interpreta il dettato costituzionale in modo davvero originale: secondo il Collegio, ammettere il «sequestro soltanto […] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi» implicherebbe la possibilità di disporlo quando una legge purchessia – quindi anche il codice – consenta genericamente il sequestro di un bene, anche senza prevederlo specificamente per gli stampati.
 
Entrambe le soluzioni non paiono trovare adeguati appigli normativi e, per di più, poiché l’argomentare della Cassazione non si limita alla informazione via web, una decisione di questo tenore sembrerebbe lasciare spazio a eventualità mai finora ipotizzate, come quella di ammettere il sequestro preventivo pure di stampati («qualsiasi supporto») oltre le ipotesi tassative di cui si è detto all’inizio.
 
Insomma, si trattava davvero di una buona occasione, ma ancora una volta ci troviamo a dover concordare col genio caustico di Ambrose Bierce, secondo cui l’occasione altro non è se non una circostanza favorevole per afferrare una delusione (Dizionario del diavolo, Elmo ed., Milano, 1955, p. 150).