ISSN 2039-1676


26 marzo 2012 |

Corte cost., 23 marzo 2012, n. 68, Pres. Gallo, Rel. Frigo (illegittimo l'art. 630 c.p. nella parte in cui non prevede una diminuzione di pena per i fatti di lieve entità )

Anche per il sequestro di persona a scopo di estorsione, come per le ulteriori fattispecie di sequestro, deve essere prevista una diminuente idonea a consentire la modulazione della pena quanto ai fatti che per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, risultino di contenuta gravità

1. La Corte costituzionale, con la decisione qui pubblicata, ha dichiarato l' illegittimità costituzionale dell'art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevede che le pene da esso comminate sono diminuite quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.

Con detta sentenza di tipo additivo la Corte ha, dunque, inciso sul trattamento sanzionatorio del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, riconoscendo la necessità della previsione, anche per tale ipotesi criminosa, della diminuente per lieve entità del fatto di cui all'art. 311 cod. pen., prevista in relazione ai delitti contro la personalità dello Stato.

È evidente come la questione sollevata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia  abbia riguardato il tema dei limiti dei poteri della Corte nel sindacato circa la legittimità costituzionale nella determinazione del trattamento sanzionatorio, materia in relazione alla quale, per orientamento oramai consolidato della giurisprudenza, il legislatore gode di un'ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o dell'arbitrio della  scelta compiuta.

Ebbene la Corte, pur ribadendo tale consolidata giurisprudenza, con riferimento al caso specifico del delitto di sequestro a scopo di estorsione, ha riconosciuto manifestamente irrazionale la mancata previsione di una attenuante per i fatti di lieve entità, analoga a quella applicabile alla fattispecie "gemella" di cui all'art. 289-bis cod. pen (sequestro di persona a scopo  di terrorismo o di eversione).

Appare ictu oculi come il nucleo centrale della decisione in esame stia nel fatto di aver ritenuto l'ipotesi di cui all'art. 289-bis cod. pen. «strettamente affine  e sostanzialmente omogenea» rispetto a quella del sequestro di persona a scopo estorsivo, con la conseguenza che dalla idoneità del primo delitto a fungere da tertium comparationis è derivata la constatazione della irragionevolezza della mancata previsione dell'attenuante anche in relazione al sequestro a scopo estorsivo, là dove la condotta concretamente posta in essere sia consistita in episodi «marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell'emergenza».

Alla luce di tali considerazioni preliminari appare allora necessario soffermarsi, rapidamente, sulle caratteristiche del caso concreto e sui molteplici profili alla luce dei quali la Corte ha affermato la sostanziale omogeneità delle fattispecie poste a raffronto.

 

2. Il Gip di Venezia aveva sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevede una circostanza attenuante speciale analoga a quella applicabile, ai sensi dell'art. 311 cod. pen., al delitto di cui all'art. 289-bis c.p.

Il Gip è chiamato a celebrare il giudizio abbreviato nei confronti di tre persone accusate del delitto di sequestro a scopo di estorsione, per avere privato della libertà personale la persona offesa, trattenendola con la forza presso l'abitazione di uno degli imputati, dalle ore 15,30 alle ore 19,50 del medesimo giorno, essendo poi sopravvenuta la liberazione del sequestrato grazie all'intervento delle forze dell'ordine.

L'azione criminosa era stata commessa al fine ottenere la restituzione della somma di denaro corrisposta a uno spacciatore di sostanze stupefacenti, il quale si era dileguato senza consegnare la partita di hashish offerta in vendita nell'ambito di una transazione illecita, in relazione alla quale il sequestrato aveva svolto un ruolo di mediatore. In particolare costui, dopo essere stato percosso,  era stato costretto a  contattare alcuni suoi parenti al fine di reperire la somma di denaro pretesa dagli imputati, con la minaccia che, altrimenti, sarebbe stato ancora percosso e trattenuto.

La Corte ha dato per pacifico che detta condotta integri il reato contestato, ricorrendo il requisito della ingiustizia del profitto, in quanto connesso ad un negozio a causa illecita (come chiarito dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 962 del 2004). Nondimeno, la Corte ha osservato come la fattispecie concreta, ed altre similari e statisticamente ricorrenti,  si discostino significativamente da quelle considerate dal legislatore degli anni '70 ed '80, intervenuto a più riprese sulla norma incriminatrice al fine di incrementarne la portata sanzionatoria.

In particolare viene ricordato, nella decisione in esame, come il legislatore di quegli anni avesse reagito al notevole ed allarmante incremento di episodi efferati di sequestro a scopo estorsivo, caratterizzati da richieste di riscatti aventi ad oggetto somme di denaro elevatissime, cui spesso non seguiva la liberazione del sequestrato ma la morte. Era maturata così la cd. "strategia differenziata", ovvero, da un lato, l'innalzamento della misura della pena, per l'ipotesi semplice, fino ad arrivare a quella attuale (da venticinque a trent'anni di reclusione) e, dall'altro, la previsione di circostanze attenuanti per le condotte di dissociazione dai complici.

Ciò premesso, la Corte ha osservato come, nella fattispecie astratta di cui all'art. 630 c.p., rientrino anche condotte criminose connotate da un disvalore diverso, in relazione ad una più o meno marcata occasionalità dell'iniziativa delittuosa, ad una limitata entità dell'offesa, all'ammontare del prezzo della liberazione, come appunto quella oggetto del giudizio a quo. In altre parole, lo schiacciamento delle previsioni edittali verso valori di pena elevatissimi sembra divenuto anacronistico, a fronte dell'odierno declino delle forme di manifestazione del reato che avevano costituito il modello per le determinazioni sanzionatorie del legislatore. In ogni caso, alla fattispecie astratta sono riconducibili fenomeni criminosi talmente eterogenei da rendere irragionevole lo strettissimo margine di variabilità della sanzione in concreto irrogabile.

 

3. Da tempo la Corte costituzionale (ad esempio con la sentenza n. 22 del 2007) aveva chiarito come, pur nel quadro di previsioni sanzionatorie eventualmente squilibrate, sia indispensabile la ricerca di tertia comparationis cui ragionevolmente ancorare un intervento che non sostituisca la discrezionalità della Corte medesima a quella del legislatore. Non sorprende, dunque, l'attenzione che nella decisione in commento è stata riservata ai profili di omogeneità tra le due fattispecie comparate dal rimettente.

La Corte ha dato rilievo, anzitutto, alla comune matrice storica,  osservando come il delitto di cui all'odierno art. 289-bis cod. pen., introdotto dal decreto-legge n. 59 del 1978, fosse stato originariamente accorpato al sequestro estorsivo nel medesimo art. 630 c.p., trovando poi l'attuale ed autonoma collocazione per effetto di una scelta operata dal Parlamento in sede di conversione.

Si è ancora osservato come, sul piano strutturale, si tratti di fattispecie in cui la condotta integrativa è identica: in entrambe il delitto si consuma privando taluno della libertà personale, differenziandosi «solo» in relazione al dolo specifico che sorregge la condotta, estorsivo in un caso  e di terrorismo o eversivo dell'ordine democratico nell'altro.

L'omogeneità delle fattispecie poste confronto è stata riscontrata anche nel trattamento sanzionatorio: con riferimento alla pena prevista per le ipotesi base (reclusione da venticinque a trent'anni in entrambe le ipotesi); in relazione agli aggravamenti della stessa in caso di morte del sequestrato; con riferimento alla previsione di analoghe circostanze attenuanti in tema di dissociazione dell'agente dagli altri concorrenti nel reato; ed infine, anche in relazione alla disciplina del concorso eterogeneo di circostanze.

A rafforzare l'omogeneità dei due delitti contribuisce, infine, la presenza  di due clausole generali di equiparazione, secondo cui le norme del codice penale che rinviano all'art. 630 c.p. e tutte le norme processuali, valevoli con riferimento a detto delitto, si applicano anche al delitto di cui all'art. 289-bis c.p., per effetto degli articoli 9-ter e 10 del decreto-legge 59 del 1978.

 

4. Nella consapevolezza della rilevante portata della decisione, incidente su una materia che involge valutazioni politiche del legislatore, la Corte ha colto l'occasione per sottolineare le differenze con la questione oggetto della (di poco) precedente ordinanza n. 240 del 2011.

Alla Corte, nell'occasione, era stato richiesto di estendere all'ipotesi del sequestro di persona a scopo estorsivo  l'attenuante di cui all'art. 3, comma 3, della legge n. 718 del 1985 (Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale contro la cattura degli ostaggi aperta alla firma di New York il 18 dicembre 1979), prevista in relazione al sequestro di ostaggi ed in forza della quale, se il caso è di lieve entità, si applicano le pene di cui all'art. 605 cod. pen., aumentate dalla metà a due terzi.

Ebbene, nella pronunzia qui commentata la Corte - ribadendo il principio secondo cui le scelte legislative sono sindacabili solo quando trasmodino in manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene nel caso di differenti trattamenti sanzionatori previsti per fattispecie analoghe senza che ciò risponda ad una razionale giustificazione - ha ribadito anche la disomogeneità del sequestro di ostaggi rispetto al sequestro estorsivo. La prima fattispecie è infatti più ampia, ed idonea a ricomprendere «fatti assai meno negativamente connotati di quelli sorretti da una finalità estorsiva». Ed infatti, a conferma di una marcatissima disomogeneità, è stata nuovamente posta in luce la forte incongruenza  che l'estensione dell'attenuante prevista dalla legge speciale in materia di ostaggi avrebbe comportato: la pena minima per il reato di cui all'art. 630 cod. pen. sarebbe risultata di gran lunga inferiore rispetto alla pena da applicare per la fattispecie tentata della estorsione «comune», cioè di un delitto non riuscito e comunque attuato mediante forme aggressive meno gravi della privazione di libertà della vittima.

Appare evidente come la Corte, soffermandosi sulla già affermata eterogeneità del sequestro di ostaggi rispetto a quello estorsivo, in armonia con il suddetto principio, abbia inteso ulteriormente sancire la sostanziale omogeneità di quest'ultimo con il sequestro di cui all'art. 289-bis cod. pen., e la conseguente manifesta irrazionalità del differente trattamento sanzionatorio.

 

5. Alla luce dei molteplici profili che rendono assimilabili i delitti in questione, la Corte non ha attribuito significativa rilevanza all'elemento differenziale costituito dal bene giuridico protetto, espresso dal diverso dolo specifico.

Quello introdotto al riguardo costituisce certamente un punto essenziale del ragionamento della Corte, dal momento che non solo afferma che la diversità del bene tutelato non impedisce il raffronto tra le due figure criminose, ma anzi rafforza il giudizio di violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza.

Posto, infatti, che accanto alla comune lesione della libertà personale, il sequestro terroristico o eversivo offende l'ordine costituzionale (identificato nel complesso dei principi fondamentali previsti nella Costituzione per definire la natura e la struttura dello Stato), mentre quello a scopo di estorsione attenta al patrimonio, la Corte, pur consapevole che detta offesa patrimoniale può avere quale ulteriore conseguenza uno spostamento di ricchezza verso organizzazioni criminali che ne riceverebbero un potenziamento, ha affermato la preminenza - nella gerarchia costituzionale dei valori - del bene «ordine costituzionale».

Secondo il ragionamento della Corte, tale preminenza rende manifestamente irrazionale la mancata previsione, in relazione al sequestro a scopo di estorsione, dell'attenuante del fatto di lieve entità, prevista, invece, in relazione alla fattispecie omogenea che aggredisce, però, il bene di rango più elevato.

 

6. La Corte ha fondato il proprio giudizio di illegittimità costituzionale anche sulla concorrente violazione del principio di proporzionalità della pena rispetto al fatto in concreto commesso, di cui agli artt. 3 e 27 Cost., ribadendo che una pena palesemente sproporzionata vanifica, già a livello di previsione legislativa astratta, la finalità rieducativa della pena, in quanto avvertita come ingiusta dal condannato.

Né in senso contrario assume rilievo il dato che la pena potrebbe essere mitigata attraverso l'applicazione delle circostanze attenuanti comuni (in particolare quelle di cui agli articoli 62, numeri 4, 5, e 6  e 114 , primo comma, cod. pen.), delle circostanze attenuanti generiche e di quelle speciali, connesse ad una condotta di dissociazione.

Tutte le attenuanti in questione, infatti, possono essere applicate anche al sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, con la conseguenza che, in ogni caso, rimarrebbe  una potenziale disparità del trattamento di situazioni assimilabili.