Il creditore di una somma di denaro che sequestri il debitore allo scopo di conseguire l’adempimento di una prestazione non risponde del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), qualora il precedente rapporto di credito, oggetto del dolo specifico di profitto, avesse natura lecita: in tal caso, infatti, il profitto non può in alcun modo qualificarsi come “ingiusto”, trattandosi di pretesa creditoria tutelata dall’ordinamento. (1)
La condotta di chi sequestri un soggetto, allo scopo di costringerlo ad adempiere a una prestazione avente la propria causa in un contratto lecito, precedentemente contratto, integra i reati di sequestro di persona (art. 605 c.p.) e di tentata estorsione (artt. 56, 629 c.p.), e non già quelli di sequestro di persona (art. 605 c.p.) e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.) qualora la violenza o minaccia utilizzate al fine di coartare la volontà della vittima siano dotate di tale forza intimidatoria da oltrepassare ogni ragionevole intento di far valere un proprio diritto. (2)
(1) La pronuncia in esame costituisce uno sviluppo interpretativo di quanto affermato da Cass. pen., S.U., 17.12.2003-20.1.2004, n. 962, RV 226489, secondo cui «la condotta criminosa consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire come prezzo della liberazione una prestazione patrimoniale, pretesa in esecuzione di un precedente rapporto illecito, integra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all'art. 630 cod. pen. e non il concorso del delitto di sequestro di persona (art. 605) con quello di estorsione, consumata o tentata (artt. 629 e 56 stesso codice)». Conformi al principio di diritto delle Sezioni Unite, più recentemente, anche Cass. pen., sez. I, 1.4.2010-10.5.2010, n. 17728, RV 247071, e Cass. pen., sez. I, 11.2.2010-26.4.2010, n. 16177, RV 247230. Per un orientamento difforme, precedente all’intervento delle Sezioni Unite, cfr. ex plurimis Cass. pen., sez. I, 12.11.2002-20.3.2003, n. 12992, RV 224080: «la condotta consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione integra il delitto previsto dall'art. 630 cod. pen. solo allorché manchi un preesistente rapporto, quantunque illecito, con la vittima del reato, che abbia dato causa a quella privazione, mentre, quando quel rapporto sussista e ad esso siano collegabili il sequestro e il conseguimento del profitto, ricorre un'ipotesi di concorso tra il reato previsto dall'art. 605 cod. pen. e quello di estorsione».
(2) Nello stesso senso della pronuncia cfr. anche Cass. pen., sez. VI, 23.11.2010-23.11.2010, n. 41365
con nota contraria di A. Verri, in questa Rivista; Cass. pen., sez. V, 14.4.2010-20.7.2010, n. 28539, RV 247882; Cass. pen., sez. VI, 28.10.2010-23.11.2010, n. 41365, RV 248736; Cass. pen., sez. II, 1.10.2004-10.12.2004, n. 47972, RV 230709; con riguardo, invece, alla giurisprudenza che indaga la natura del rapporto negoziale intercorrente tra agente e vittima, rinvenendo il delitto di cui all’art. 629 c.p., e non quello di cui all’art. 393 c.p. qualora tale rapporto sia di natura illecita, cfr. per es. Cass. pen., sez. II, 29.10.2009-20.11.2009, n. 44712, RV 245693. (Massime e note a cura di
Paolo Caccialanza).