ISSN 2039-1676


07 maggio 2012 |

La sentenza della Cassazione sul caso Dell'Utri: una prima guida alla lettura

Cass., Sez. V, 9 marzo 2012 (dep. 24 aprile 2012), n. 15727, Pres. Grassi, Rel. Vessichelli, ric. Dell'Utri

 

Il 24 aprile 2012 sono state depositate le motivazioni della sentenza n. 15727/12 con la quale la V Sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d'appello di Palermo di condanna del senatore Marcello Dell'Utri quale concorrente esterno nel delitto di associazione di stampo mafioso (clicca qui per accedere al testo integrale della sentenza della Cassazione; per accedere a una precedente scheda relativa alle due decisioni di merito, clicca qui)

Prima di riferire da vicino gli specifici rilievi che sono stati mossi dai giudici di legittimità alla sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Palermo, pare opportuno, in via preliminare, riassumere sinteticamente le principali osservazioni svolte dalla Corte di Cassazione sulla fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa.

 

1. Il punto sui principi di diritto in materia di concorso esterno in associazione mafiosa.

A questo proposito, la sentenza in esame osserva anzitutto che "sul tema della configurabilità, in linea di principio, del concorso esterno in associazione per delinquere semplice e poi, a partire dal 1982, di stampo mafioso non sono stati sollevati dubbi dogmatici neppure dalla difesa né vi è motivo di sollevare specifiche perplessità" (pag. 110). 

Per ciò che concerne gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa non si segnalano particolari novità rispetto agli approdi della più recente giurisprudenza di legittimità, la pronuncia in parola sostanzialmente ribadendo quanto già affermato dalle Sezioni Unite, da ultimo, con la sentenza Mannino.

Sotto il profilo oggettivo, la Corte di Cassazione conferma la necessità, ai fini della configurazione del reato, che la pubblica accusa fornisca la dimostrazione che la condotta dell'imputato ha determinato "la conservazione o il rafforzamento dell'associazione", a nulla rilevando, peraltro, la circostanza che l'associazione avrebbe potuto raggiungere il medesimo risultato vantaggioso anche senza l'apporto fornito dall'agente (pag. 114-115).

L'elemento soggettivo, invece, viene ricostruito, ancora una volta in linea con le indicazioni della sentenza Mannino, come dolo diretto, nel senso "della coscienza e volontà, che l'agente deve avere, di dare il proprio contributo al conseguimento degli scopi dell'associazione, tramite il rapporto col soggetto qualificato" (pag. 124). Osservano in particolare i giudici di legittimità che "occorre che il dolo investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell'agente alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione, agendo il soggetto, nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio" (pag. 124).

Nella sentenza si precisa altresì che "non rileva accertare perché l'agente abbia agito nel modo rilevante ex art. 110 e 416 o 416 bis cp", essendo al contrario "sufficiente e decisivo dimostrare, con ragionamento completo e logico, quello che le Sezioni Unite hanno definito il 'doppio coefficiente psicologico', ossia quello che deve investire, perché possa dirsi sussistente il reato, il comportamento dell'agente e la natura di esso come contributo causale al rafforzamento dell'associazione" (pag. 123).

Alla luce di tali osservazioni, appare allora "evidente che non può esservi spazio per la figura del 'dolo eventuale', esplicitamente esclusa nella sentenza delle SSUU del 2005 - come esattamente sottolineato anche dalla difesa e dal Procuratore Generale - così però come deve negarsi spazio alla figura del 'dolo intenzionale'", che pure era stata evocata dal Cons. Iacoviello nella requisitoria, e che invece attiene "a figure di reato come l'abuso di ufficio ove il legislatore, facendo ricorso all'avverbio 'intenzionalmente' ha espresso la necessità che l'evento del reato sia oggetto di rappresentazione e volizione come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito" (pag. 124).

Viene infine in rilievo la natura del delitto in parola, a proposito della quale la Suprema Corte afferma che "il reato di concorso esterno in associazione per delinquere oppure in quella specificatamente mafiosa si atteggia, al pari della partecipazione, di regola, come reato permanente" (pag. 116).

I giudici di legittimità si soffermano, in particolare, sull'ipotesi in cui taluno si faccia promotore di un accordo con il sodalizio criminale - accordo che può consistere nella promessa di un aiuto elettorale in cambio di favori da parte del candidato eletto grazie ai voti della mafia, così come nell'offerta di protezione a un imprenditore in cambio del pagamento di somme di denaro (ciò che per l'appunto è avvenuto nel caso di specie) -, e affermano che, sebbene la stipulazione dell'accordo ben possa assurgere ex se a momento consumativo del reato (pag. 117), "tuttavia - ed a prescindere dai rilievi di parte della dottrina sulla figura del reato 'eventualmente' permanente - fintantoché il concorrente esterno protragga volontariamente la esecuzione dell'accordo che egli ha propiziato e di cui quindi si fa, di fatto, garante, presso i due poli dei quali si è detto, si manifesta il carattere permanente del reato che ha posto in essere, evenienza che la giurisprudenza riassume nella locuzione secondo cui 'la suddetta condotta partecipativa (esterna) si esaurisce, quindi, con il compimento delle attività concordate'" (pag. 117-118).

 

2. Le censure contro la sentenza della Corte d'appello di Palermo.

Alla luce di tali premesse, si tratta a questo punto di osservare più da vicino quanto affermato dalla Corte di Cassazione con specifico riferimento al contenuto della sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Palermo.

 

2.1 Correlazione tra accusa e sentenza e sulla (presunta) assenza dell'imputazione: infondatezza delle relative censure.

A questo proposito, va subito messo in luce che le censure formulate dai giudici di legittimità non hanno investito la struttura complessiva della sentenza di merito, non avendo trovato accoglimento i motivi di ricorso di respiro più generale che erano stati formulati dalla difesa dell'imputato e ripresi dal Procuratore Generale della Cassazione.

Si fa riferimento, in particolare, all'asserita violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, contestata in origine dalla difesa di Dell'Utri e ripresa in sede di requisitoria dal Cons. Iacoviello, il quale - com'è noto - ha duramente stigmatizzato il lavoro dei Giudici palermitani, affermando, in estrema sintesi, che "in questo processo la cosa più difficile è trovare l'imputazione".

Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto entrambe le doglianze infondate, in ragione del fatto che "Dell'Utri è stato tratto a giudizio per rispondere del concorso esterno nella associazione criminosa, che agiva con metodi mafiosi, capeggiata da Bontade, fino a Riina, avvalendosi, sin da prima del 1982, dei poteri che gli derivavano dalla sua importante posizione nel mondo imprenditoriale e intrattenendo rapporti (evidentemente, di rilievo penale) con Bontade, Teresi, Pullarà, Mangano, Cinà e numerosi altri, che gli avevano consentito di far rafforzare il sodalizio, da un lato, influenzando, dall'altro, 'individui' operanti nel mondo finanziario e imprenditoriali ed è stato condannato, in primo luogo, proprio per aver determinato il suddetto rafforzamento, con riferimento alla cronologia, al sodalizio e alle figure di vertice individuate nella imputazione, esercitando i poteri di influenza che gli derivavano dalla precisa collocazione nel mondo imprenditoriale dell'epoca e dei rapporti personali con i detti vertici di cosa nostra in almeno un incontro [...]  di pianificazione, conseguendo un risultato concreto, cioè quello dell'esborso, da parte dell'area Fininvest, di somme cospicue, versate reiteratamente - esso stesso tramite - per almeno un certo numero di anni alla consorteria criminale e mafiosa Cosa nostra".

Insomma, dicono i giudici, "non è chi non veda [...] come il fatto ritenuto in sentenza non è 'altro', non è 'diverso' da quello contestato (il quale, a sua volta, non è affatto mancante, diversamente da quanto affermato dal PG di udienza)" (pag. 90-91).

 

2.2. Il 'cuore' della sentenza: la valutazione della Cassazione sulla responsabilità del Sen. Dell'Utri per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa.

Veniamo, a questo, a esaminare quello che costituisce il vero e proprio "cuore" della sentenza in parola, ovverosia la parte in cui i giudici di legittimità vagliano la logicità della motivazione della pronuncia impugnata sotto il profilo della ricostruzione probatoria dei comportamenti dell'imputato che sono stati ritenuti idonei a integrare il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa.

Com'è noto, la sentenza d'appello aveva ritenuto che la condotta di illecita contiguità ai vertici di Cosa nostra da parte di Dell'Utri si fosse protratta per quasi un ventennio, dal 1974 al 1992. Ebbene, la Corte di Cassazione suddivide quest'arco temporale in tre diversi periodi - un primo periodo, dal 1974 al 1977; un secondo periodo, dal 1978 al 1983; un terzo periodo, dal 1983 al 1992 - e, in estrema sintesi, afferma che:

- per il primo periodo (1974-1977), la Corte d'appello ha adeguatamente motivato la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di cui agli artt. 110 e 416 c.p.;

- per il secondo periodo (1978-1983), nella motivazione della sentenza di merito mancano argomenti sufficienti a dimostrare sia l'elemento oggettivo sia l'elemento soggettivo del concorso esterno contestato all'imputato;

- per il terzo periodo (1983-1992), la sentenza d'appello motiva adeguatamente solo con riferimento all'elemento oggettivo del reato, mancando, al contrario, la logica dimostrazione in merito alla sussistenza del dolo richiesto al concorrente esterno.

 

 

2.2.1 Le statuizioni della Cassazione sul periodo 1974-1977.

La Corte di Cassazione conferma la sentenza impugnata nella parte in cui quest'ultima aveva ritenuto sussistente la prova che Dell'Utri, nel 1974, avesse promosso un incontro tra Berlusconi e gli allora vertici di Cosa nostra (i boss Bontade e Teresi), nel corso del quale sarebbe stato raggiunto un accordo in forza del quale il sodalizio criminale avrebbe offerto protezione alla famiglia di Berlusconi in cambio della dazione periodica, per il tramite dello stesso Dell'Utri, di cospicue somme di denaro.

Non solo. I giudici di legittimità affermano altresì che la Corte d'appello ha correttamente motivato anche in merito alla sussistenza della prova che, una volta concluso il suddetto patto, Berlusconi avrebbe effettivamente provveduto a effettuare i pagamenti concordati a favore di Cosa nostra; e che sarebbe stato lo stesso Dell'Utri a occuparsi di far pervenire le somme di denaro all'associazione mafiosa. 

Nessun dubbio, peraltro, secondo la Cassazione, sulla penale rilevanza ai sensi degli artt. 110 e 416 c.p. dei comportamenti posti in essere da Dell'Utri: "è infatti indubbio e costituisce espressione del concorso esterno da parte dell'imputato nella associazione criminale denominata Cosa nostra, facente capo - per quello che qui interessa - nella metà degli anni '70, anche a Bontade e Teresi, il comportamento consistito nell'avere favorito e determinato - avvalendosi dei rapporti personali di cui già a Palermo godeva con i boss [...] e di una amicizia in particolare che gli aveva consentito di caldeggiare la propria iniziativa con speciale efficacia presso quelli - la realizzazione di un incontro materiale e del correlato accordo di reciproco interesse, tra i boss mafiosi - nella loro posizione rappresentativa - e l'imprenditore amico (Berlusconi)" (pag. 113)

Correttamente, dunque, "la Corte territoriale valorizza e impernia la propria decisione sul rilievo dell'attività di 'mediazione' che Dell'Utri risulta aver svolto nel creare il canale di collegamento o, se si vuole, di comunicazione e di transazione che doveva essere parso, a tutti gli interessati e ai protagonisti della vicenda, fonte di reciproci vantaggi per i due poli: il vantaggio, per l'imprenditore Berlusconi, della ricezione di una schermatura rispetto a iniziative criminali (essenzialmente sequestri di persona) che si paventavano a opera di entità delinquenziali non necessariamente e immediatamente rapportabili a Cosa nostra o quanto meno alla articolazione palermitana di Cosa nostra di cui veniva, in quel frangente, sollecitato l'intervento, e quello di natura patrimoniale per la stessa consorteria mafiosa" (pag. 113).

In sintesi: "i giudici hanno adeguatamente rappresentato come la condotta dell'agente, riferita agli anni che vanno dal 1974 fino alla fine del 1977, abbia costituito un antecedente causale quantomeno della conservazione, se non del rafforzamento del sodalizio criminoso Cosa nostra, posto che tale sodalizio si fonda notoriamente sulla sistematica acquisizione di proventi economici che utilizza per crescere e moltiplicarsi e anche per il mantenimento della sua stessa 'forza lavoro' e quindi della organizzazione attraverso la quale opera e si rafforza. Ed è indubbio che l'accordo di protezione mafiosa propiziato da Dell'Utri, con il sinallagma dei pagamenti sistematici in favore di Cosa nostra, vada a inserirsi in un rapporto di causalità, nella realizzazione dell'evento del finale rafforzamento di Cosa nostra, dovendosi anche escludere rilievo al fatto che Cosa nostra comunque si arricchisce di mille altri affari anche più lucrosi" (pag. 115-116).

Per ciò che concerne l'elemento soggettivo, poi, la Cassazione ritiene che la circostanza che il Dell'Utri avesse promosso l'incontro di Milano del 1974 con i capi mafiosi, e che lo stesso imputato negli anni successivi si fosse più volte incontrato con altri personaggi di spessore mafioso, siano "ampiamente dimostrativ[e], sul piano logico, anche del fatto che il ricorrente avesse accettato di risultare aderente al fine perseguito dal sodalizio, il quale traeva il vantaggio patrimoniale finale dall'intera operazione" (pag. 126).

In altre parole, i giudici di legittimità ritengono che la Corte d'appello, "citando le circostanze dei significativi incontri tra Dell'Utri e soggetti di vertice di quel sodalizio", abbia adeguatamente motivato circa la sussistenza, in quest'arco temporale, di "un genere di dolo che [...] appare connotato [...] dalla consapevolezza e volontà che la condotta in questione si sarebbe posta nella linea del perseguimento dei fini ultimi della associazione criminale" (pag. 125).

Prima di spostare l'attenzione sul secondo periodo preso in considerazione dalla sentenza qui in esame, merita sottolineare come i giudici di legittimità abbiano ritenuto infondato l'argomento centrale sul quale si era imperniata la critica del Cons. Iacoviello alla sentenza di secondo grado, e che suonava sostanzialmente così: dal momento che Berlusconi era stato costretto a pagare soldi a Cosa nostra in quanto vittima di un'estorsione, o si ipotizza che Dell'Utri abbia concorso nell'estorsione ai danni del suo amico imprenditore - ciò che tuttavia la Procura di Palermo non ha ritenuto di ipotizzare - oppure si deve giungere alla paradossale (e illogica) conclusione secondo cui l'imputato "ha posto in essere una condotta che è un quid minus rispetto all'estorsione ma è sufficiente a integrare il concorso esterno" (pag. 3 degli appunti della requisitoria del Cons. Iacoviello).

Orbene, la Corte di Cassazione ritiene che il ragionamento formulato dal Procuratore Generale sconti un vizio di fondo, ovverosia l'erronea convinzione che nel caso di specie ci si muova all'interno di una vicenda estorsiva. Al contrario, dicono i giudici di legittimità, i fatti così come ricostruiti dalla Corte d'appello (secondo una ricostruzione ritenuta logica e in quanto tale non censurabile) dimostrano inequivocabilmente che Cosa nostra - grazie all'intermediazione di Dell'Utri - aveva concluso con Berlusconi un accordo che non era "connotato e tantomeno sollecitato da proprie iniziative intimidatorie", ma era piuttosto "finalizzato alla realizzazione di evidenti risultati di arricchimento: un patto che, peraltro, risentiva di una certa, espressa [...] propensione dell'imprenditore Berlusconi a 'monetizzare', per quanto possibile, il rischio cui era esposto e a spostare sul piano della trattativa economica preventiva, l'azione delle fameliche consorterie criminali che invece si proponevano con annunci intimidatori" (pag. 113).

In altre parole, dice la Suprema Corte, "non vi è ragione di negare ingresso alla tesi dei giudici secondo cui i pagamenti effettuati da Berlusconi avevano, sì, natura necessitata perché ingiustamente provocati, all'origine, da spregevoli azioni intimidatorie poste in essere in danno della sua famiglia, ma non l'avevano avuta - ai tempi - in riferimento ai rapporti con Dell'Utri e con Bontade e Teresi e l'associazione che essi immediatamente rappresentavano: soggetti, dunque, che erano stati evocati in una trattativa che, all'origine, appariva concepita 'alla pari', per il conseguimento di un risultato che, così come avrebbe potuto e dovuto essere perseguito presso le istituzioni all'uopo previste, era stato invece cercato presso chi era parso capace di garantire un servizio di sicurezza di tipo privato e particolarmente efficace e affidabile".

 

2.2.2 Le statuizioni della Cassazione sul periodo 1978-1982.

La Corte di Cassazione censura invece la sentenza impugnata laddove questa afferma - senza adeguata motivazione, dicono i giudici di legittimità - che l'imputato avrebbe continuato a svolgere il ruolo di "mediatore" tra Berlusconi e Cosa nostra anche negli anni 1978-1982, sebbene in questo periodo il Dell'Utri si fosse momentaneamente allontanato dall'area imprenditoriale di Berlusconi per svolgere un'esperienza lavorativa alle dipendenze di un altro imprenditore (Rapisarda).

Sul punto, la sentenza afferma in particolare che "i giudici dell'appello non hanno tenuto conto o comunque non hanno motivato sulle ragioni in base alle quali una prima fase di cessazione [della condotta illecita] non possa essere individuata nel periodo 1978-1982) durante il quale Dell'Utri non era rimasto più alle dipendenze dell'imprenditore in favore del quale il patto di mafia era stato stipulato".

"Il vuoto argomentativo", si legge ancora, "si traduce in un evidente vizio della motivazione che la difesa, sostenuta poi dal Procuratore Generale di udienza, ha denunciato fondatamente: un vuoto che necessita di essere colmato, ove ne ricorrano gli elementi, con specifiche indicazioni di quale sia stato il comportamento, nel periodo, da parte di Dell'Utri, non potendo darsi ingresso a presunzioni basate sulla bontà dei rapporti di amicizia con Berlusconi: rapporti che da soli non provano il perdurare della intromissione di Dell'Utri in affari penetranti per la vita individuale dell'imprenditore dal quale si era allontanato, atteso che di ciò non risultano esplicitate neppure la ragione e le modalità concrete del concorso nei versamenti che si dicono comunque avvenuti, materialmente dunque anche ad opera di terzi, a partire dal 1978" (pag. 118).

 

2.2.3 Le statuizioni della Cassazione sul periodo 1983-1992.

La Suprema Corte censura infine la sentenza d'appello anche nella parte in cui essa afferma la responsabilità di Dell'Utri per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa con riferimento al periodo che va dal 1983 (anno in cui l'imputato torna alle dipendenze di Berlusconi) al 1992 (anno in cui, secondo la ricostruzione dei giudici della Corte d'appello di Palermo, sarebbero cessati i pagamenti di Berlusconi a Cosa nostra).

Va peraltro evidenziato come i giudici di legittimità mettano in luce che la sentenza di merito, con riguardo all'arco temporale in oggetto, "non si espone a censure per quanto concerne la affermazione della effettività della protrazione dei pagamenti" (pag. 121) al sodalizio criminoso da parte di Berlusconi per mezzo di Dell'Utri - pagamenti che, peraltro, a questo punto non erano più finalizzati a proteggere la famiglia Berlusconi, bensì a consentire a quest'ultimo di svolgere senza danni la propria attività imprenditoriale sul territorio siciliano - ma non offre adeguata motivazione circa la sussistenza in capo a quest'ultimo del dolo richiesto al concorrente esterno.

In tema di elemento soggettivo, la Cassazione afferma infatti che i giudici di merito non avrebbero tenuto in debito conto il "sostanziale mutamento degli equilibri esistenti quando si era raggiunto l'accordo del 1974, dovendosi registrare, nel 1981, la morte violenta o per lupara bianca dei vertici mafiosi (Bontade e Teresi) che quell'accordo avevano stipulato - rendendosene garanti - con il successivo avvento di una direzione del sodalizio caratterizzata notoriamente dalla 'cifra' notevolmente più aggressiva tanto da divenire artefice, in seguito, della stagione stragista" (pag. 122).

La Corte territoriale, in particolare, avrebbe trascurato del tutto "quello che apparirebbe un rapporto estremamente teso tra Dell'Utri riluttante ai pagamenti e i vertici mafiosi del dopo-Bontade, in particolare i Pullarà descritti come fonti di vessazione dall'interlocutore (lo 'tartassavano') e poi Riina autore di repliche perentorie e/o di attentati" (pag. 122).

Alla luce di tali considerazioni, i giudici di legittimità ritengono che "il dolo del reato in esame, così come apprezzato in relazione ai comportamenti dell'imputato fino agli inizi del 1978, non ha formato oggetto di una disamina ugualmente convalidabile per il periodo successivo".

Per ciò che riguarda, nello specifico, l'arco temporale che decorre dal ritorno dell'imputato alle dipendenze di Berlusconi, "i comportamenti riluttanti di Dell'Utri verso Cosa nostra nonché gli attentati realizzati ai danni di beni privati e inerenti alla attività di Berlusconi, richiedono una valutazione e una motivazione non solo parcellizzante ma anche [...] unitarie e complessive: tali cioè da dare il senso compiuto, sul piano argomentativo, di elementi probatori e normativi apparentemente contrapposti. Da un lato, cioè, la registrazione di una condotta, da parte di Dell'Utri, che si risolve, oggettivamente, in un arricchimento di Cosa nostra ma che, negli anni '80 appare divenuta riottosa e recalcitrante, oltre che punteggiata da recriminazioni e atteggiamenti ostruzionistici nei riguardi degli esponenti o emittenti del sodalizio e per giunta in un contrappunto alquanto equivoco con gli attentati anche dinamitardi dalla evidente carica intimidatoria. Dall'altro lato, il rigore della prova del dolo diretto che non ammette presunzioni e che richiederebbe che, anche in ordine ai comportamenti appena rievocati, potesse darsi una spiegazione compatibile e in linea con la tesi di avere Dell'Utri accettato e perseguito l'evento del rafforzamento del sodalizio mafioso, recando un contributo alla realizzazione del programma comune" (pag. 127).

In estrema sintesi, la Corte di Cassazione ritiene che gli elementi di fatto messi in luce nella sentenza della Corte d'appello palermitana per il periodo 1983-1992 dimostrerebbero che, a seguito del mutamento dei vertici di Cosa nostra verificatosi nel 1981 (quando i corleonesi presero il comando dell'associazione mafiosa, subentrando con la violenza a Bontade e Teresi), i rapporti tra questi ultimi e l'imputato si sarebbero fatti più tesi, e, in particolare, sarebbe venuta meno quella "comunione di intenti" che si era invece registrata nel periodo 1974-1978.

A ben vedere, dunque, è proprio questa "comunione di intenti" con il sodalizio criminale ad assurgere, nell'ottica della Corte di Cassazione, a elemento decisivo e imprescindibile per poter ritenere sussistente il dolo diretto richiesto dal delitto di concorso esterno in associazione mafiosa e, nel caso di specie, a determinare gli esiti opposti del giudizio di legittimità in merito alla sussistenza del reato in capo all'imputato con riferimento, da un lato, al periodo 1974-1978, e, dall'altro lato, al successivo periodo 1983-1982.

Se e in che misura una simile lettura - che sembra subordinare la sussistenza del dolo del concorrente esterno non solo alla certezza che il proprio comportamento avrà come effetto quello di determinare la conservazione e/o il rafforzamento dell'associazione, bensì anche a una  vera e propria condivisione, anche a livello "emotivo", delle finalità perseguite dal sodalizio criminale - sia davvero coerente con la premessa in diritto secondo cui ai fini del riconoscimento del concorso esterno sarebbe sufficiente un "dolo diretto", ricostruito secondo le cadenze di cui si è detto poc'anzi, sarà evidentemente compito dei commentatori di questa sentenza esplorare..

 

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