ISSN 2039-1676


03 luglio 2012 |

Secondo la Corte costituzionale il lavoro di pubblica utilità  è applicabile anche nei casi di cui all'art. 186 bis cod. str.

Corte cost., 27 giugno 2012, n. 167, Pres. Quaranta, Rel. Frigo (l'art. 186-bis C.d.s., concernente le categorie di guidatori «a rischio», configura una circostanza aggravante del reato di guida in stato di ebbrezza, cui si applica l'intero trattamento sanzionatorio previsto dalla norma base)

1. Con la sentenza n. 167 del 2012,  la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 186 bis, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata con riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., nella parte in cui, nel prevedere che alle fattispecie di guida in stato di ebbrezza dei conducenti «a rischio elevato», indicati dal comma 1 di tale articolo, si applicano le disposizioni di cui ai commi da 3 a 6, 8 e 9 dello stesso art. 186 C.d.S., non richiama anche il comma 9-bis della citata disposizione, in forza del quale la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, qualora non sussista l'opposizione dell'imputato, con quello del lavoro di pubblica utilità, di cui all'art. 54 del d.lgs. 28 agosto 2008, n. 274.

 

2. I fatti a base dell'ordinanza di rimessione possono così riassumersi. Gli imputati erano stati fermati, in ora notturna, dalla Polizia Stradale. Gli agenti avevano poi accertato, sulla persona del guidatore, mediante l'utilizzo dell'etilometro, un tasso alcoolemico superiore all'1,5 (g/l), così che l'interessato veniva sottoposto a procedimento per il reato di cui all' art. 186, comma 2, lett. c), C.d.S., con applicazione anche dell'art. 186-bis, comma 1, lett. a) C.d.S., avendo al momento del fatto un'età inferiore a ventuno anni.

Il giudice a quo, su richiesta del P.M., emetteva decreto penale con condanna alla pena di euro 20.900. Avverso il decreto, la difesa proponeva opposizione, chiedendo ex art. 444 c.p.p., l'applicazione della pena di mesi tre e giorni diciassette di arresto e di euro 1.200 di ammenda, subordinando la richiesta alla sostituzione della pena con un corrispondente numero di ore di lavoro di pubblica utilità, ex art. 186, comma 9-bis, C.d.S.

Ad avviso del giudice a quo, la richiesta della difesa non poteva tuttavia essere accolta, non essendo la disciplina dell'art. 186 C.d.S., comma 9-bis, applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio a quo. Infatti, l'art. 186 bis, nel dettare una disciplina speciale, al comma 6 prevede espressamente che per specifiche categorie di conducenti (minori di anni ventuno e per chi esercita professionalmente l'attività di trasporto di persone o di cose) si applichino «le disposizioni di cui ai commi da 3 a 6, 8 e 9 dell'articolo 186», omettendo, però, ogni richiamo al comma 9-bis del medesimo art. 186.

Invero, secondo il giudice rimettente, per poter accogliere l'istanza della difesa si sarebbe dovuto accedere a quella interpretazione che qualifica l'ipotesi di cui all' art. 186 bis C.d.S. come una circostanza aggravante del reato di cui all'articolo precedente, che disciplina in generale la guida in stato di ebbrezza: una interpretazione, però, che lo stesso rimettente non condivide, posto che, nel caso in esame, si dovrebbe piuttosto configurare un'autonoma figura di reato.  

Le ragioni fondanti un simile convincimento sono molteplici: in primis,  l'evidente significato del mancato richiamo al comma 9-bis pur nell'ambito della specifica citazione di altri commi dello stesso art. 186 C.d.s.; in secondo luogo, l'unico modo per dare un significato giuridico al comma 8 dell'art. 186-bis, secondo il giudice rimettente, sarebbe ritenere che il legislatore abbia voluto creare un'autonoma figura di reato, escludendo consapevolmente che le disposizioni non richiamate possano trovare applicazione alle fattispecie in oggetto. Il mancato richiamo della norma regolante il lavoro di pubblica utilità non potrebbe, d'altra parte, ritenersi il frutto di un difettoso coordinamento di norme succedutesi nel tempo, posto che sia il comma 9- bis che l'art. 186-bis sono stati introdotti dalla medesima legge n. 120/2010.

L'applicabilità del comma 9-bis non potrebbe determinarsi neanche ricorrendo all'analogia in bonam partem, atteso che nel caso di specie non vi sarebbe alcun vuoto normativo da colmare. L'omissione del richiamo alla norma, anzi, sarebbe espressione del preciso intento del legislatore di inasprire il regime sanzionatorio per le condotte di guida in stato di ebbrezza poste in essere dai conducenti "a rischio".

 

La discriminazione così operata, per altro, pare al giudice a quo incompatibile con il dettato costituzionale.

 

3. Le censure sollevate si sostanziano nella denuncia di una irragionevole disparità di trattamento tra coloro che si pongano alla guida dopo avere assunto alcolici e siano compresi tra le categorie di conducenti "a rischio", e la generalità dei conducenti, nonché coloro che, appartenendo alle stesse categorie, conducono veicoli in stato di alterazione da stupefacenti. Tale discriminazione escluderebbe gli interessati anche dalla piena applicazione del principio di finalismo rieducativo della pena.  

In particolare, la questione sollevata dal G.I.P. del Tribunale di Bolzano si fonda sulla considerazione che il lavoro di pubblica utilità rappresenta la perfetta espressione della funzione  rieducativa che deve essere assicurata dalla pena, motivo per il quale non si comprende perché il comma 9-bis dell'art. 186 C.d.S. non sia richiamato ai fini applicativi anche per le ipotesi di guida in stato di ebbrezza e relativi reati posti in essere dalle c.d. categorie "deboli".

Le norme costituzionali di cui si prospetta la violazione sarebbero, quindi, l'art. 27, terzo comma, e l'art. 3La fattispecie di cui all'art. 186-bis C.d.S. è, infatti, omologa, sotto il profilo del disvalore del fatto, a quella di cui al terzo periodo del comma 1 dell'art. 187 C.d.S., norma quest'ultima che, avuto riguardo alla guida in stato di alterazione da stupefacenti, richiama le medesime categorie di guidatori, introduce lo stesso inasprimento delle sanzioni e manifesta uguale volontà di sottrarre il predetto inasprimento al bilanciamento con altre circostanze.

In sostanza, non avrebbe senso che per i conducenti "a rischio" il lavoro di pubblica utilità possa essere applicato se guidano dopo l'assunzione di stupefacenti, e non possa invece trovare applicazione, data la natura di autonomo reato delle relativa fattispecie, quando conducono un mezzo a seguito della assunzione di sostanze alcoliche.

Come si vede, assume importanza decisiva, ai fini della dichiarazione o meno della relativa illegittimità, la natura della norma tipizzante la guida in stato di ebbrezza dei conducenti "a rischio": si tratta di una circostanza aggravante dell'art. 186 C.d.S. o di una figura autonoma di reato? 

 

4. La Consulta conclude per l'infondatezza dell'eccezione di illegittimità. Nella sentenza in esame, infatti, la Corte osserva come l'eccezione in parola si fondi sul presupposto  che il comma 3 dell'art. 186 bis C.d.S., per la parte in cui, richiamando le lettere b) e c) dell'art. 186, comma 2, C.d.S., commina sanzioni penali nei confronti dei conducenti "a rischio" che guidino sotto l'influenza di alcool, delinei una fattispecie autonoma di reato, così che sarebbe impossibile applicare a tale illecito le disposizioni dettate dall'art. 186 per altre figure di reato.

Secondo la Corte Costituzionale, tale presupposto sarebbe errato. Si ritiene, infatti, l'esegesi assunta dal giudice a quo in netto contrasto con la lettera della norma, poiché la formula utilizzata dal legislatore nel comma 3 dell'art. 186-bis C.d.S. - che si sostanzia nella previsione di incrementi percentuali sulle pene previste dall'art. 186 - non potrebbe che corrispondere a una circostanza aggravante. Tale conclusione sarebbe avvalorata anche dal successivo comma 4, norma che qualifica come circostanze aggravanti le fattispecie regolate dal comma precedente, e la cui funzione consiste proprio nel sottoporle a un regime speciale e derogatorio rispetto a quello ordinario del bilanciamento tra circostanze eterogenee.

Al riguardo, la Corte precisa che sarebbe errato desumere, a contrario, l'autonomia della fattispecie di cui all'art. 186-bis proprio dalla sottrazione all'ordinaria disciplina inerente al bilanciamento, sulla base del rilievo che il carattere essenziale della circostanza di un reato consisterebbe proprio nella possibilità di concorrere con tutte le altre sussistenti nel caso specifico. La Consulta definisce "fallace", infatti,  un simile assunto, esistendo, nel sistema, molteplici ipotesi di circostanze aggravanti sottoposte allo stesso regime "in deroga", tra le quali la previsione concernente la guida in stato di ebbrezza nella fascia oraria tra le 22 e le 7 (art. 186, comma 2-septies, C.d.S.).

L'ulteriore dato riportato nella sentenza in commento a sostegno delle relative conclusioni, è il comma 3-quater dell'art. 219 C.d.S., in tema di revoca della patente. Secondo la Corte, infatti, la formulazione di tale disposizione sarebbe tale da rendere palese che, nell'idea del legislatore, la norma incriminatrice della guida sotto l'influenza dell'alcool, anche quanto ai conducenti "a rischio elevato" è quella di cui all'art. 186, comma 2, C.d.S. e non già quella di cui all'art. 186-bis: se quest'ultima norma costituisse una fattispecie autonoma di reato, lo stesso art. 219 non richiamerebbe la disposizione di cui all'art. 186 bensì quella di cui all'art. 186-bis C.d.S. Va detto che tale richiamo in realtà sussiste, anche se al comma 3-ter, ma la Corte lo spiega in base alla necessità che la disciplina della revoca della patente comprenda anche una fattispecie compresa solo nel citato art. 186-bis, e cioè l'illecito amministrativo di cui al secondo comma della norma (guida dopo l'assunzione di minime quantità di alcool).

La Consulta insomma, evidenziando nella sentenza de qua che dalla disposizione denunciata non può trarsi la sicura conclusione che il legislatore abbia voluto escludere l'applicabilità alla fattispecie criminosa considerata di tutte le disposizioni dell'art. 186 non espressamente richiamate, conclude ritenendo che il vulnus costituzionalmente denunciato dal rimettente non sussiste. Una volta qualificata correttamente come circostanza aggravante, infatti, l'ipotesi di guida in stato di ebbrezza dei conducenti "a rischio elevato" resta di per sé soggetta all'intera disciplina prevista dalla fattispecie base, cioè l'art. 186 C.d.S. Dunque, la pena potrebbe essere sostituita dal lavoro di pubblica utilità anche nei casi disciplinati dall'art. 186-bis del codice.

 

5. L'interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale non sembra, tuttavia, esente da perplessità.

In primis, l'iter argomentativo volto a invalidare le motivazioni del giudice rimettente non sembra particolarmente saldo: viene criticato l'utilizzo di un argumentum a contrario a fondamento di tale quaestio, ma a ben vedere nella sua decisione la Corte utilizza la medesima modalità. Essa, infatti, non spiega in maniera chiara e convincente il motivo per il quale debba conferirsi natura di circostanza aggravante all'art. 186-bis, se non indirettamente e a contrario, ad esempio attraverso il richiamo all'art. 219, comma 3, C.d.S.

Non una parola risulta spesa per considerare che la norma censurata contiene una autonoma previsione, anche come "sede codicistica": qualora il legislatore avesse voluto conferire alla stessa previsione la natura di circostanza aggravante, avrebbe plausibilmente inserito un ulteriore comma nell'art. 186 C.d.S., senza elaborare una norma autonoma rispetto a quest'ultima. D'altronde, la giurisprudenza di legittimità ha affermato costantemente che ai fini dell'individuazione degli elementi specializzanti costitutivi o della circostanza di un reato occorre, caso per caso, accertare, avendo riguardo alla struttura della norma e alla correlazione tra le diverse disposizioni, se il legislatore abbia inteso attribuire a un elemento il valore di semplice accidentalità, con conseguente incidenza sulla sanzione, oppure un significato così rilevante da incidere sul precetto, nel senso che l'elemento, per la sua sostanziale natura costitutiva, determina la configurazione di un'autonoma ipotesi di reato.

La previsione di un irrigidimento sanzionatorio non può peraltro considerarsi, indirettamente, "a contrario" appunto,  l'unico elemento in grado di qualificare la fattispecie in esame come una circostanza aggravante. Potrebbe, infatti, ritenersi che corrisponda a una precisa volontà legislativa aver stabilito, per categorie di guidatori ritenuti maggiormente "a rischio", un trattamento sanzionatorio più severo, impedendo tra l'altro di estinguere il reato tramite la positiva effettuazione di lavori di pubblica utilità, così che l'inasprimento del regime generale rappresenterebbe una scelta discrezionale del legislatore.

In dottrina non si rinvengono molti sostenitori del carattere circostanziale dell'ipotesi di cui all'art. 186-bis C.d.S., così come è da evidenziarsi che in giurisprudenza non si riscontrano ancora pronunce edite. Pur tuttavia, una dottrina minoritaria[1] opta per la natura di circostanza aggravante dell'art. 186-bis C.d.S., sul presupposto che, pur non essendo espressamente previsto un richiamo da parte della norma in esame al comma 9-bis dell'art. 186 C.d.S., non sussisterebbero ragioni impeditive ad un'applicazione analogica della suddetta sanzione sostitutiva anche alle fattispecie contemplate dai commi 3 e 6 dell'art. 186-bis.

 

6. Se dovesse consolidarsi un orientamento difforme da quello accreditato dalla Corte, ed affine a quello presupposto dal rimettente, la questione di legittimità si riproporrebbe in tutta la sua portata.

È vero che le scelte sanzionatorie del legislatore sono suscettibili di sindacato, da parte della Consulta, solo nel caso di manifesta irragionevolezza[2]. Tuttavia la concreta fattispecie in esame potrebbe ben difficilmente sottrarsi ad una siffatta qualificazione, avuto particolare riguardo alla disparità di trattamento tra l'art. 186-bis C.d.S. e l'affine delitto di cui all'art. 187 C.d.S.

Se, infatti, da un lato potrebbe essere ritenuta ragionevole la previsione legislativa di escludere la sostituzione della pena con l'effettuazione di lavori di pubblica utilità per determinate categorie di guidatori, non si comprende perché la legge n. 120 del 2010, nel modificare l'art. 187 C.d.S., abbia previsto il beneficio per le stesse categorie di conducenti: in tal caso la disparità di trattamento si mostra più che evidente. Le due fattispecie, infatti, appaiono perfettamente omologhe sotto il profilo del disvalore del fatto e nel contempo per entrambe è previsto che l'aggravamento della pena sia sottratto al bilanciamento con altre circostanze.

L'identità di ratio dovrebbe, dunque, condurre secondo tale impostazione, a ritenere costituzionalmente necessaria la applicabilità del lavoro di sostitutivo anche per l'ipotesi in cui tale opzione non sia espressamente prevista. D'altronde, come giustificare che condotte del tutto sovrapponibili possano legittimamente ricevere trattamenti sanzionatori differenziati?

 

 


[1] Così Gallone, Artt. 186-187, in Codice della strada, Piacenza, 2011, 361 ss.

[2] Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 68 del 2012; ex plurimis, sentenze n. 161 del 2009, n. 324 del 2008, n. 22 del 2007 e n. 394 del 2006