ISSN 2039-1676


12 maggio 2013 |

Il pubblico funzionario che fa uso del cellulare di servizio per fini privati risponde di peculato d'uso

Nota a Cass., Sez. un., 20 dicembre 2012 (dep. 2 maggio 2013), n. 19054, Pres. Lupo, Rel. Cortese, Ric. V.

 

1. Le Sezioni unite, con l'inattesa pronuncia qui segnalata, avallando il primo e più remoto orientamento interpretativo, qualificano come «peculato d'uso» l'utilizzo da parte di un pubblico funzionario di un'utenza cellulare, posseduta per ragioni d'ufficio, per l'effettuazione di numerose telefonate di carattere privato intercorse nell'arco di un biennio e per importi consistenti. Dunque, delle possibili soluzioni interpretative - già analiticamente esaminate su questa rivista in occasione del commento dell'ordinanza n. 36760 del 18 luglio-24 settembre 2012 della Sesta sezione penale della Cassazione con cui veniva rimesso il processo alle Sezioni unite ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen. (v. Benussi, Uso improprio del telefono in dotazione al pubblico funzionario per ragioni d'ufficio: le Sezioni unite chiamate a pronunciarsi, 9 novembre 2012) -, l'alto Consesso ha ritenuto più appropriata quella che riconduce l'uso indebito del telefono d'ufficio alla fattispecie del peculato d'uso, enucleando il seguente principio di diritto:

«la condotta del pubblico agente che, utilizzando illegittimamente per fini personali il telefono assegnatogli per ragioni di ufficio, produce un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione o di terzi o una concreta lesione alla funzionalità dell'ufficio, è sussumibile nel delitto di peculato d'uso di cui all'art. 314, comma secondo, cod. pen.».

 

2. Questo il percorso giustificativo dell'approdo ermeneutico al quale sono pervenute le Sezioni unite, dopo aver attentamente ed esaustivamente esaminato le diverse proposte interpretative della fattispecie in esame (truffa aggravata, peculato ordinario e abuso d'ufficio):

«la nozione di appropriazione, nello stesso ambito del delitto di cui all'art. 646 cod. pen., ha assunto, nel tempo, un significato sempre più ampio, comprensivo anche dell'uso indebito della cosa, ove esso si connoti per l'eccedenza dai limiti del titolo in virtù del quale l'agente la detiene.

Naturalmente, in quell'ambito, nel quale non è prevista l'ipotesi dell'uso momentaneo, si richiede l'effetto della perdita della cosa stessa da parte dell'avente diritto. Questa conseguenza è chiaramente incompatibile con un uso strutturalmente e programmaticamente (come sottolineato anche da Corte Cost., n. 2 del 1991) momentaneo, quale quello previsto nel capoverso dell'art. 314 cod. pen.; il quale, quindi, non potrà mai integrare un'appropriazione, nel senso specifico di cui al primo comma della norma codicistica, consistendo ed esaurendo la sua portata nel fatto di distogliere temporaneamente la cosa dalla sua originaria destinazione, per piegarla a scopi personali.

Si tratta, in altre parole, di un abuso del possesso, che non si traduce, e non può per definizione tradursi, nella sua stabile inversione in dominio. La ratio dell'introduzione della fattispecie in esame è stata in effetti proprio quella di impedire, con una repressione di tipo penale, il grave fenomeno dell'utilizzo improprio dei beni della pubblica amministrazione. Ma se così è, e se non si vuole vanificare tale ragione storica e logica della fattispecie, è giocoforza ritenere che, per la sua integrazione, l'elemento qualificante e sufficiente è dato dalla violazione del titolo del possesso, che l'agente compie distraendo il bene dalla sua destinazione pubblicistica e piegando verso fini personali. In questo modo egli si rapporta con esso, in pendenza dell'utilizzo indebito, in veste di dominus (per quanto provvisorio e funzionale), con contestuale disconoscimento dell'altrui maggior diritto. In tale schema ricostruttivo si palesa all'evidenza non essenziale, in quanto estraneo allo specifico scopo perseguito dal legislatore, l'elemento della "fisica" sottrazione della res alla sfera di disponibilità e controllo della pubblica amministrazione. E quando tale sottrazione manchi, la "restituzione" della cosa si risolverà logicamente nella cessazione del suo uso arbitrario, con la conseguente riconduzione della stessa alla sua destinazione normale (come già efficacemente rilevato da Sez. 6, n. 7364 del 24/06/1997, Guida, Rv. 209746).

Così correttamente puntualizzata la portata e la natura del peculato d'uso, è evidente che l'utilizzo per fini personali, da parte del pubblico agente, del telefono assegnatogli per le esigenze d'ufficio, vi diviene pienamente sussumibile. Con tale condotta, infatti, il soggetto distoglie precisamente il bene fisico costituito dall'apparato telefonico, di cui è in possesso per ragioni di ufficio, dalla sua destinazione pubblicistica, piegandolo a fini personali, per il tempo del relativo uso, per restituirlo, alla cessazione di questo, alla destinazione originaria. E rimane irrilevante, per quanto detto, la circostanza che il bene stesso non fuoriesca materialmente dalla sfera di disponibilità della p.a.».

In altri termini, il reato si realizzerebbe non già in relazione alla fruizione di un servizio non dovuto, insuscettibile, per la sua immaterialità, di essere inquadrato nella fattispecie astratta, bensì in relazione all'interversione momentanea del possesso correlata all'uso deviato, imprescindibile per fruire di quel servizio, dell'apparecchio telefonico affidato alla disponibilità materiale dell'agente. A configurare il reato - ricordano le Sezioni unite nel riportare il precedente e remoto orientamento interpretativo - sarebbe perciò «l'esercizio di un possesso a fini propri e, quindi, in nome proprio, che, caratterizzato da un animus rem sibi habendi diverso da quello dovuto, denunzia l'appropriazione di un bene pubblico, destinata a breve durata perché connotata appunto dal fine di "fare uso momentaneo della cosa" (affidata all'agente in ragione del suo ufficio o servizio), ma pur sempre di rilevanza penale».

 

3. Sempre con la pronuncia in esame, le Sezioni unite, allo scopo di evitare che la finalità attenuatrice della pena assegnata alla previsione di cui all'art. 314, comma 2, possa comportare un'eccessiva dilatazione della responsabilità penale, hanno poi ritenuto opportuno rimarcare il principio già consolidato nella giurisprudenza (v., per tutte, Cass., Sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 5010, Borgia, CED 251786), secondo il quale per il raggiungimento della soglia della rilevanza penale è comunque necessaria «l'offensività del fatto, che, nel caso di peculato d'uso, si realizza con la produzione di un apprezzabile danno al patrimonio della p.a. o di terzi ovvero (ricordando la plurioffensività alternativa del delitto di peculato.....) con una concreta lesione della funzionalità dell'ufficio: eventualità quest'ultima che potrà, ad esempio, assumere autonomo determinante rilievo nelle situazioni regolate da contratto c.d. "tutto incluso". L'uso del telefono d'ufficio per fini personali, economicamente e funzionalmente non significativo, deve considerarsi, quindi (anche al di fuori dei casi d'urgenza, espressamente previsti dall'art. 10, comma 3, del d.m. 28 novembre 2000, o di eventuali specifiche legittime autorizzazioni), penalmente irrilevante».

 

4. La decisione, peraltro, non persuade. Come si è già avuto occasione di sottolineare su questa Rivista nell'articolo sopra citato, l'uso del cellulare (o meglio l'utilizzazione delle onde magnetiche) dà luogo solo ad un addebito a carico della p.a. delle somme corrispondenti all'entità delle utilizzazioni di volta in volta effettuate. Il telefono, dunque, rileva non già quale oggetto materiale della condotta, ma come mero strumento di utilizzazione delle onde magnetiche che, si noti, non sono neppure valutabili economicamente, essendo valutabile sul piano economico solo il servizio di telefonia reso dal gestore telefonico attraverso la sua struttura organizzativa che consente la ricezione, lo smistamento e la trasmissione dei segnali elettromagnetici. Ergo, l'indebita utilizzazione dell'utenza telefonica (intestata alla p.a.) per l'effettuazione di conversazioni personali non può integrare né gli estremi del peculato comune, né quelli del peculato d'uso. Non v'è, infatti, alcuna «appropriazione»: le onde magnetiche che vengono utilizzate nel corso della telefonata - oltre a non costituire entità materiale suscettibile di appropriazione - non sono né nella disponibilità del pubblico funzionario né in quella della p.a.

Manca, quindi, l'atto appropriativo e, in ogni caso, manca il perfezionamento «negativo» dell'appropriazione, ossia l'esclusione totale del proprietario dal rapporto con la cosa. In altri termini, l'uso indebito del telefono investe esclusivamente un «diritto di utenza», rientrante nel novero dei beni immateriali e, come tale, insuscettibile di apprensione. Con la consegna dell'apparecchio telefonico e la conseguente concessione della facoltà di utilizzo, si trasferisce in sostanza ad un soggetto il diritto di usufruire del servizio prestato, dietro compenso, dalla società telefonica alla p.a.. L'oggetto della condotta, resta, quindi, il solo uso dell'utenza telefonica. In questa prospettiva, chi fa uso in modo improprio del telefono in dotazione dell'ufficio limitandosi a disporre illecitamente di un diritto che gli è stato concesso, non si appropria né di energie né del mezzo fisico dell'apparecchio telefonico, e ciò anche se l'uso indebito avvenga con assiduità e in via continuativa. In capo al pubblico funzionario graverà solo un obbligo di natura civilistica di rimborso delle telefonate di natura privata.

 

5. Infine, un'ulteriore perplessità destano le scarne argomentazioni con cui le Sezione unite hanno escluso un possibile inquadramento della fattispecie in esame nel reato di abuso di ufficio. Nelle more del deposito della decisione, infatti, il Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2013 ha approvato in via definitiva lo schema di d.P.R. recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici (così come sostituito dall'art. 1, comma 44, L. 6 novembre 2012 n. 190) che, all'art. 11, vieta l'utilizzo per fini personali del telefono se non per ragioni di urgenza. Tale disposizione che, al momento della pubblicazione del d.P.R. nella Gazzetta Ufficiale, assumerà vera e propria natura regolamentare, entrerà di pieno diritto fra le "fonti normative" previste dall'art. 323 cod. pen.. Orbene, integrando l'uso indebito del telefono d'ufficio da parte del pubblico funzionario la violazione di una norma regolamentare, tale circostanza avrebbe meritato una giusta considerazione, potendo giustificare un possibile inquadramento nella diversa fattispecie del reato di abuso d'ufficio, qualora ne sussistano tutti gli elementi costitutivi (dolo intenzionale, ecc.).