ISSN 2039-1676


15 aprile 2015 |

La prima pronuncia della Cassazione in materia di usura in concreto

Nota a Cass. Pen., Sez. II, 25 marzo 2014, n. 18778, Pres. Esposito, Rel. Beltrani

 

1. La sentenza in commento rappresenta il primo e, a quanto ci consta, ad oggi unico intervento della Cassazione in materia di usura in concreto, sebbene siano trascorsi quasi vent'anni dall'introduzione di questo delitto nel nostro ordinamento.

Occasione della trattazione è stata fornita dalla nota vicenda giudiziaria che ha coinvolto (e travolto), negli ultimi anni, il Monte dei Paschi di Siena (MPS). Più in particolare, il filone d'inchiesta - uno dei molti - sfociato nel provvedimento in esame ruotava intorno alla realizzazione di due specifiche operazioni, aventi ad oggetto l'acquisto di strumenti finanziari ad alto rischio.

Con la prima operazione, nel 2005, il MPS aveva infatti acquistato da Nomura International, un intermediario finanziario, le cc.dd. notes Alexandria. Questo titolo, altamente aleatorio, nel corso del tempo si era drasticamente deprezzato, producendo per il MPS una perdita stimabile in circa 220 milioni di euro. Quattro anni più tardi, il MPS e Nomura International avevano portato a compimento una seconda e ancor più complessa negoziazione, con cui l'istituto di credito senese aveva acquistato un diverso strumento finanziario. Anche questa volta l'operazione si rivelava aleatoria e speculativa, e anche questa volta particolarmente onerosa per MPS.

Secondo la ricostruzione accusatoria, le due operazioni erano da considerarsi fra loro collegate. In particolare, la seconda sarebbe stata finalizzata a nascondere le perdite riportate per effetto dell'andamento negativo delle notes Alexandria. Nomura International, infatti, accettava, con il secondo accordo, di farsi carico della resa negativa delle notes in cambio della stipula - nell'ambito del nuovo strumento derivato - di clausole nettamente sbilanciate in suo favore.

Obiettivo finale di questo garbuglio finanziario ideato dai vertici di MPS sarebbe stato, secondo l'accusa, evitare - nell'imminenza del rinnovo delle cariche sociali - l'evidenza della grave perdita gestionale causata dalle notes Alexandria, in modo da permettere loro di mantenere i vantaggi e le posizioni di privilegio fino ad allora godute.

 

2. Così ricostruiti i fatti, la Procura decideva di procedere nei confronti dei vertici di MPS per diverse fattispecie di reati societari (peraltro non oggetto della sentenza in commento), e nei confronti di Nomura International per i delitti di truffa e di usura in concreto, commessi ai danni dell'istituto di credito senese. L'analisi della sentenza si concentrerà su quest'ultima norma, stante l'assoluta novità dei principi enunciati sul punto dalla Cassazione.

 

3. La Corte, che interviene nella complessa vicenda nella sua funzione di giudice cautelare, inizia ricordando come l'art. 644 c.p. preveda, al comma 1, la fattispecie di usura c.d. presunta, per la cui integrazione è sufficiente la pattuizione di un tasso di interesse che ecceda il limite consentito dalla legge, anche in assenza della prova che il soggetto attivo abbia approfittato di uno stato di difficoltà della vittima; al comma 3, la diversa fattispecie di usura c.d. in concreto.

Introdotta per colmare possibili vuoti di tutela in relazione a casi in cui la vittima, in stato di difficoltà, sia stata costretta ad accettare prestiti a un tasso di interesse di poco inferiore a quello che per legge è usurario, questa seconda, autonoma fattispecie poggia su due elementi essenziali.

È necessario, in primo luogo, che gli interessi pattuiti, pur se inferiori al tasso soglia di cui al comma 1 - rispetto al quale l'usura in concreto si pone, dunque, in rapporto di sussidiarietà - risultino sproporzionati avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari.

In secondo luogo, si richiede che il soggetto passivo versi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria. Proprio su questo secondo elemento si concentra lo sforzo interpretativo della Corte, ben consapevole che la ratio della norma risieda nell'esigenza di assicurare una particolare tutela a chi si trovi, al momento dell'accesso al credito, in condizioni svantaggiate. È proprio nell'approfittamento delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria della vittima, in altre parole, che risiede il disvalore della condotta che caratterizza la fattispecie di reato.

I giudici sottolineano, in primis, la differenza intercorrente tra i due tipi di difficoltà. Mentre per difficoltà economica si deve infatti intendere una carenza anche solo momentanea di liquidità, a fronte di una situazione patrimoniale di base nel complesso sana, la difficoltà finanziaria investe l'insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo, ed è caratterizzata da una più generale e complessiva carenza di risorse e beni.

La Corte esclude, quindi, che l'espressione "difficoltà economiche o finanziarie" costituisca un'endiadi, e ravvisa, al contrario, nelle seconde, uno stadio di difficoltà molto più avanzato del soggetto passivo, tale da coinvolgerne l'intera situazione patrimoniale.

Le "difficoltà economiche o finanziarie", a loro volta, si distinguono dallo "stato di bisogno", previsto quale aggravante dal comma 5 della norma. Pur essendo innegabile l'affinità dei due concetti, in tal senso depongono, innanzitutto, il dato letterale, cioè la diversa terminologia utilizzata all'interno della medesima norma; questa scelta sarebbe il segno, secondo la Corte, dell'intenzione del legislatore di fare riferimento a situazioni diverse, poiché sarebbe "davvero incomprensibile l'impiego in una stessa norma di termini distinti per indicare il medesimo concetto". In secondo luogo, la Corte valorizza il dato strutturale: sono infatti elemento costitutivo della fattispecie le prime, mentre il secondo ha natura meramente circostanziale.

Se le une si definiscono, allora, come quelle condizioni, in astratto reversibili, in grado di privare la vittima di una piena libertà contrattuale, l'altro consiste in uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile che, pur non annientando qualunque libertà di scelta, comporta un impellente assillo, idoneo a compromettere fortemente la libertà contrattuale del soggetto, inducendolo a ricorrere al credito a condizioni sfavorevoli.

Non si può fare a meno di osservare, in proposito, come la scelta di individuare la linea di confine tra le due nozioni nel carattere di reversibilità o meno della situazione potrà forse creare qualche incertezza in ordine alla sussistenza o meno dell'aggravante, soprattutto in relazione alle difficoltà finanziarie che, così come definite in sentenza, sembrano descrivere una situazione non lontana da quella tipica dello stato di bisogno.

La Corte prosegue nell'esegesi della norma stabilendo come la valutazione della situazione di difficoltà debba essere fatta non in senso meramente soggettivo - ossia sulla base delle valutazioni personali della vittima, opinabili e di difficile accertamento a posteriori - bensì in senso oggettivo - ossia valorizzando "parametri desunti dal mercato". Conclusione obbligata, questa, secondo la Cassazione, stante la necessità per l'interprete di ridurre i già ampi margini di indeterminatezza della fattispecie in esame. La sentenza, peraltro, non indica quali siano questi parametri, né fornisce indicazione alcuna per la loro individuazione, lasciando la questione, più che aperta, ancora sospesa.

Così esaurita l'analisi della norma sul piano oggettivo, il provvedimento dedica solo poche righe alla trattazione dell'elemento soggettivo. I giudici si limitano infatti a precisare che nell'usura in concreto il dolo include, oltre alla consapevolezza della sproporzione degli interessi pattuiti rispetto alla prestazione di denaro, anche la consapevolezza della condizione di difficoltà economica o finanziaria del soggetto passivo.

Tale soluzione, anche se non argomentata dalla Corte (nonostante la presenza in dottrina di autorevoli posizioni contrarie), pare più che condivisibile. Ricomprendere nel fuoco del dolo l'elemento che funge da principale discrimine con l'usura presunta permette, con tutta evidenza, alla condotta tipica dell'usura in concreto di raggiungere la medesima soglia di offensività della più comune fattispecie di cui al comma 1, giustificando così la previsione di un'identica cornice edittale pur in presenza di interessi non definibili come usurari in senso oggettivo.

 

4. Dopo aver enunciato, come si è visto, numerosi e nuovi principi di diritto sulla nozione di difficoltà economica o finanziaria, la Cassazione giunge poi a confermare la decisione del Tribunale del Riesame ritenendo, invece, giustamente assorbente l'inesistenza del requisito della sproporzione tra le prestazioni corrispettive delle parti, sulla cui interpretazione - per la verità destando qualche perplessità - nemmeno una parola viene spesa nell'intero provvedimento.

Si è già ricordato che tra gli elementi costitutivi dell'usura in concreto, oltre alle condizioni di difficoltà economica o finanziaria, vi è anche la sproporzione tra le prestazioni, da valutarsi in relazione al tasso medio praticato per operazioni similari e alle concrete modalità del fatto.

A questo proposito, la Corte rileva, per prima cosa, l'impossibilità di operare positivamente la verifica con riferimento al parametro dato dal tasso medio, non essendo rinvenibile, per le operazioni di cui al capo di imputazione, un adeguato termine di paragone. In ordine al secondo parametro, la Cassazione constata invece come, nel caso in esame, la presunta vittima, il MPS, avesse ottenuto dall'operazione un rilevante vantaggio - quello della dilazione nel tempo della perdita derivante dal cattivo andamento dei titoli - che dal punto di vista contrattuale "doveva necessariamente avere un costo".

Il Supremo Collegio, dunque, si limita a verificare la sussistenza della sproporzione nel caso di specie, senza dedicare spazio alcuno alla sua esegesi - il cui esito, si osserva, non sarebbe stato per nulla scontato (complice anche la complessità dei fatti contestati). In ogni caso, l'area di indeterminatezza della norma di usura in concreto in generale, rilevata dagli stessi giudici, e del requisito della sproporzione in particolare sarebbe risultata di certo ridotta qualora la Corte avesse esteso la sua analisi a questo ulteriore elemento.

In conclusione, sembra che la Cassazione, nel provvedimento in commento, consapevole di seminare su terreno vergine, abbia ceduto alla tentazione di affermare, in relazione al requisito di difficoltà economiche o finanziarie, principi che, pur di sicuro interesse, non paiono essere strettamente necessari alla soluzione della specifica controversia, ritenendo, invece, di non doversi dilungare nella trattazione proprio dell'elemento della fattispecie che, a ben vedere, era centrale ai fini della decisione.