ISSN 2039-1676


12 novembre 2012 |

Sul potere del pubblico ministero di sospendere le procedure esecutive a favore delle vittime di richieste estorsive e di usura

Procura della Repubblica di Marsala, decreto 26 settembre 2012

Il decreto del Pubblico ministero presso il tribunale di Marsala qui pubblicato (clicca sotto su downolaod documento per accedervi) rappresenta uno dei primi esiti applicativi della legge 27 gennaio 2012 n. 3, che con l'art. 2 lett. d) ha modificato il comma 7 dell'art. 20 della legge 23 febbraio 1999 n. 44, Disposizioni concernenti il fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura.

In particolare, la nuova disciplina attribuisce al procuratore della Repubblica il potere di sospendere le procedure esecutive e, più in generale, i termini di pagamento derivanti da mutui e da crediti erariali; un potere che prima della novella spettava al giudice dell'esecuzione per i procedimenti espropriativi, previo parere del prefetto e sentito il presidente del tribunale. L'innovazione legislativa, nell'intento di selezionare un unico organo decidente, introduce pure una regola di individuazione della "competenza" del Pubblico ministero, ove diversi siano gli uffici inquirenti interessati dalle indagini sui fatti di usura e di estorsione.

La sospensione in oggetto costituisce un rimedio di tipo cautelare per consentire alla vittima di quei reati di ottenere l'accesso al Fondo (c.d. elargizione) senza incorrere medio tempore nei rigori processuali (e bancari) collegati ai procedimenti espropriativi sorti in base ai debiti scaturenti dai delitti di usura e di estorsione.

Il provvedimento in materia affronta in maniera argomentata i principali nodi scaturenti dal "transito" fra la precedente e la nuova regolamentazione, soprattutto in considerazione del fatto che, in assenza di disciplina transitoria, la prassi prefettizia prima seguita era quella di concedere pareri favorevoli alla "proroga" della sospensione.  

Nell'ottica legislativa riformata, l'attribuzione del potere di sospensione all'organo inquirente implicherebbe, per ratio di sistema e per carenza di specificazione normativa, la contingente inoppugnabilità del provvedimento, con la conseguenza che, a esempio, innanzi ad un diniego di sospensione, ferma la residua possibilità della vittima esecutata di domandare la sospensione dell'esecuzione «per gravi motivi» ai sensi dell'art. 624 c.p.c., la stessa resterebbe priva di un «esperibile rimedio correttivo».

La soluzione proposta suggerisce invece al giudice dell'esecuzione di recepire il decisum del rappresentante dell'accusa - a prescindere dal contenuto favorevole o sfavorevole del medesimo - con un proprio «provvedimento di presa d'atto e previa effettuazione di un vaglio limitato al controllo eziologico tra esecuzione e editto d'accusa»; una verifica, cioè, di corrispondenza normativa in ossequio alla ratio della legge n. 44 del 1999, incentrata sull'esistenza del rapporto tra la fattispecie di reato e il credito azionato in sede esecutiva.

La prospettiva ha lo scopo di evitare incontrollate sospensioni illegittime e riconoscere agli interessati - creditori, terzi ed esecutato - la possibilità di dolersi, se non del provvedimento del pubblico ministero, di quello successivo del giudice dell'esecuzione per il tramite degli ordinari rimedi oppositivi.