29 aprile 2016 |
Le Sezioni Unite sull'applicabilità del nuovo art. 131-bis c.p. alle contravvenzioni stradali (art. 186, commi II e VII, C.d.S.)
Nota a Cass. SSUU, sent. 25 febbraio 2016 (dep. 6 aprile 2016), n. 13681, Pres. Canzio, Rel. Blaiotta, Imp. Tushaj ed a Cass. SSUU, sent. 25 febbraio 2016 (dep. 6 aprile 2016), n. 13682, Pres. Canzio, Rel. Blaiotta, Imp. Coccimiglio
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1. Con le sentenze in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulle questioni - sollevate con le ordinanze di rimessione n°49824/15 e n°49825/15 del 3 dicembre 2015[1] - relative alla possibilità di applicare la nuova causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) alle fattispecie contravvenzionali previste dall'art. 186, comma II, lettere b) e c), Codice della Strada nonché dall'art. 186, comma VII, Codice della Strada. Tali reati, com'è noto, puniscono rispettivamente le condotte di coloro che si pongano alla guida in stato di ebbrezza alcolica (corrispondente a quantità di alcool nel sangue superiori a 0,8 g/l, per la lettera b), ed a 1,5 g/l, per la lettera c)) o che si rifiutino di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici previsti dai commi III, IV e V della medesima norma.
Come già segnalato dalla nostra Rivista, la soluzione adottata dal Supremo Collegio per entrambe le questioni è stata di segno positivo.
2. In entrambe le pronunce - sostanzialmente identiche nel contenuto - la Corte si è innanzitutto premurata di riassumere le perplessità evidenziate dalla sezione rimettente in merito alla possibilità di applicare la nuova causa di non punibilità alle contravvenzioni in questione.
2.1. Con particolare riferimento alla problematica relativa al reato di guida in stato di ebbrezza, l'ordinanza della Quarta Sezione Penale si era posta in contrasto con una precedente sentenza di legittimità[2] - pronunciata, peraltro, dalla medesima sezione - che aveva ritenuto la compatibilità del nuovo istituto con il reato qui di interesse.
Il collegio rimettente, nello specifico, aveva criticamente segnalato quanto segue:
- l'art. 186, comma II, C.d.S. prevede - alla lettera a) - un illecito amministrativo, configurabile nei casi di guida in stato di ebbrezza con quantità di alcool nel sangue compresa tra gli 0,5 e gli 0,8 g/l: la natura di tale illecito, dunque, comporterebbe una palese disparità di trattamento, data dal fatto che colui che venisse colto alla guida in un "minimo" stato di ebbrezza alcolica sarebbe sottoposto ad una sicura sanzione (seppur di natura amministrativa), non emendabile da alcuna causa di non punibilità; diversamente, i conducenti sorpresi con un tasso alcolemico penalmente rilevante (ai sensi delle lettere b) e c) della medesima norma) potrebbero "sfuggire" ad ogni censura attraverso l'applicazione del nuovo art. 131-bis c.p.;
- la valutazione di maggiore o minore pericolosità sarebbe già stata effettuata dal legislatore, il quale - con la previsione delle progressive soglie di punibilità - avrebbe già imposto una connotazione di tenuità alle condotte punite con la sola sanzione amministrativa: il giudice, applicando la nuova normativa, si sostituirebbe dunque al legislatore, non avendo alcun parametro a cui ancorare il giudizio di tenuità diverso dal dato quantitativo di superamento della soglia;
- la fattispecie penale in questione si pone a tutela dei beni giuridici della "regolarità della circolazione e della sicurezza stradale", beni autonomi e distinti da quelli della vita e della incolumità fisica dei singoli: in relazione ai beni protetti, dunque, non sarebbe ipotizzabile alcuna gradualità dell'offesa né alcuna rilevanza delle concrete modalità della condotta di guida, posto che lo stesso legislatore ha opportunamente previsto due circostanze aggravanti (la guida in orario notturno e la causazione di un incidente stradale) a tutela delle fattispecie concrete caratterizzate da maggior allarme sociale;
- da ultimo, non sarebbe condivisibile la conclusione prospettata dalla sentenza Longoni in punto di sanzioni amministrative accessorie: se tale sentenza, infatti, aveva concluso per l'obbligo di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie anche in caso di pronuncia assolutoria per particolare tenuità del fatto, l'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite ha evidenziato l'insormontabile dato testuale dell'art. 186, comma II-quater, C.d.S., il quale postula l'applicazione di dette sanzioni solamente in caso di sentenza di condanna o di applicazione della pena.
2.2 Diversamente, con riferimento alla fattispecie di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti acolimetrici, l'ordinanza di rimessione - sempre della Quarta Sezione Penale - si era posta in contrasto con un'altra sentenza di legittimità[3] - pronunciata, ancora una volta, dalla medesima Sezione - che aveva ritenuto la compatibilità del nuovo istituto con il reato di cui all'art. 186, comma VII, Codice della Strada.
Il collegio rimettente, in questo secondo caso, aveva criticamente segnalato quanto segue:
- la fattispecie penale in questione, costituita - come detto in premessa - dal rifiuto di sottoporsi agli esami alcolimetrici da parte del conducente di un veicolo, si risolverebbe in una condotta di dissenso "sempre uguale a se stessa": tale condotta, in particolare, delineerebbe un reato istantaneo per il quale sembrerebbe impossibile procedere ad una graduazione dell'offensività nel senso richiesto dall'art. 131-bis c.p.;
- il nuovo istituto, poi, richiede di valutare la sola condotta, non consentendo di apprezzare se essa abbia o non abbia dato luogo ad una situazione concretamente pericolosa: ciò posto, dunque, non sarebbe possibile condividere la soluzione prospettata dalla sentenza Pasolini, che aveva ritenuto di riconoscere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto proprio in ragione del mancato riscontro di concreta pericolosità;
- il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, infine, dovrebbe individuarsi nel regolare andamento dei controlli di polizia: in relazione a tale bene, secondo l'opinione dei Giudici rimettenti, non sarebbe ipotizzabile alcuna graduazione dell'offesa.
3. Successivamente, introducendo la parte motivazionale in diritto, la Corte ha in primo luogo affrontato - ed agevolmente superato, in entrambe le sentenze - la questione relativa alla possibilità di applicare direttamente nel giudizio di legittimità il nuovo art. 131-bis c.p.: in particolare, si è richiamata giurisprudenza di legittimità oramai consolidata[4], secondo la quale la nuova norma costituisce un'innovazione di diritto sostanziale in termini più favorevoli per l'imputato.
Dunque, correndo l'obbligo per il giudice di applicare la lex mitior anche nel giudizio di legittimità[5], con particolare riferimento all'applicabilità diretta dell'art. 131-bis c.p. in relazione alle fattispecie già definite in grado d'appello prima dell'entrata in vigore della norma stessa la Corte di Cassazione avrà pieno titolo di pronunciarsi e - dove ravvisasse nella motivazione della sentenza impugnata gli estremi per l'applicabilità del nuovo istituto - potrà financo pervenire ad una sentenza di annullamento senza rinvio ai sensi dell'art. 620, comma I, lettera L), c.p.p.[6].
4. Chiarito quanto sopra, le Sezioni Unite si sono dunque approcciate alla soluzione dei quesiti loro proposti, ovverosia «se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sia compatibile con il reato di guida in stato di ebbrezza» e «se l'art. 131-bis c.p. sia applicabile al reato [di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici]».
La decisione ha preso le mosse proprio dalle sentenze Longoni e Pasolini, che le ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite avevano ampiamente criticato: la Corte, in particolare, ha evidenziato come le citate sentenze siano addivenute ad una soluzione positiva dei quesiti in esame mediante un approccio privo di aspetti critici.
4.1. Nei nodi motivazionali in commento, in primo luogo, la Corte ha censurato le osservazioni del collegio rimettente nel punto in cui esse legano il nuovo istituto al principio di offensività, rimarcando il fatto che tale principio generale attiene «all'essere o non essere di un reato», mentre la nuova causa di non punibilità «riguarda per definizione fatti senza incertezze pienamente riconducibili alla fattispecie legale».
4.2. Immediatamente, poi, le Sezioni Unite hanno ricordato che il dato normativo del nuovo art. 131-bis c.p. investe il giudice di una «valutazione complessa che ha oggetto le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, c.p.»: il compito del giudice, in sostanza, non deve limitarsi alla considerazione della sola "quantità" di aggressione al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ma deve estendersi all'analisi di tutte le peculiarità della fattispecie concreta.
In particolare, secondo la Corte, «non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipica; è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore»: adottando quest'ottica interpretativa, dunque, il Supremo Collegio ha rimarcato la necessità di operare una corretta distinzione tra fatto tipico e fatto storico, ove solo quest'ultimo assume rilevanza ai fini del giudizio di tenuità (o non tenuità) del fatto.
Su queste basi, dunque, le Sezioni Unite hanno enucleato il seguente principio di diritto: «essendo in considerazione la caratterizzazione del fatto storico nella sua interezza, non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l'applicazione del nuovo istituto».
L'opinione contraria - a detta della Corte - dovrebbe considerarsi certamente deviata da un'impropria sovrapposizione tra fatto tipico e fatto storico; il collegio ha inoltre affermato - incidenter tantum - che la medesima tesi contraria condurrebbe peraltro alla paradossale conseguenza dell'inapplicabilità del nuovo istituto all'intera categoria dei c.d. "reati bagatellari", sovente caratterizzati dalla mera omissione di una prescrizione.
4.3. Sempre con riferimento alla valutazione circa le modalità della condotta, inoltre, la Corte ha evidenziato come il richiamo dell'art. 131-bis c.p. all'art. 133, comma I, c.p. attribuisca rilevanza anche ai profili relativi all'intensità del dolo o al grado della colpa del soggetto attivo: il giudice, dunque, dovrà assumere le proprie determinazioni sulla possibile tenuità del fatto anche valutando il concreto incidere sulla fattispecie concreta dell'elemento volitivo del reo.
4.4. A conclusioni non dissimili la Corte è pervenuta anche in relazione alla valutazione sull'entità del danno o del pericolo: in particolare, il Supremo Collegio ha ribadito la scorrettezza di preclusioni precostituite, indicando nuovamente la necessità di effettuare analisi mirate sulla manifestazione del reato e dunque - in relazione al parametro relativo all'entità del danno o del pericolo - sulle conseguenze dannose o pericolose della condotta.
Secondo le Sezioni Unite, quindi, «emerge un dato di cruciale rilevo, che deve essere con forza rimarcato: l'esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza».
In particolare, la circostanza per cui la valutazione inerente all'entità del danno/pericolo non è da sola sufficiente a completare il giudizio di tenuità del fatto è desunta - per la Corte - non solo dal dato testuale dell'art. 131-bis c.p. ma anche da due ulteriori e specifici argomenti:
- da un parte, il legislatore ha espressamente previsto che la nuova disciplina sia applicabile anche quando la legge prevede la speciale tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante, così suggerendo che la valutazione di particolare tenuità del fatto deve essere ancorata agli indicatori relativi alla condotta ed alla colpevolezza anche in presenza di un danno di speciale tenuità;
- d'altro canto, per evitare che i reati di più grave graduazione possano essere travolti dall'applicazione della nuova causa di non punibilità, il legislatore ha espressamente previsto clausole di esclusione; l'offesa, infatti, non può essere ritenuta particolarmente tenue qualora la condotta abbia cagionato - quali conseguenze non volute dall'agente - la morte o le lesioni gravissime della persona offesa oppure nei casi in cui l'autore abbia agito per motivi abbietti o futili, con crudeltà, adoperando sevizie o approfittando delle condizioni di minorata difesa della vittima (art. 131-bis, comma II, c.p.).
5. La Corte, quindi, ha concluso il proprio iter argomentativo calando le argomentazioni sopra riassunte nelle fattispecie concrete portate al suo interesse.
5.1. Specificamente, in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, il collegio ha sostenuto che - pur essendo ovvio che un ampio superamento delle soglie di rilevanza penale tendenzialmente potrebbe portare ad escludere la configurabilità del nuovo istituto - in ogni caso «nessuna conclusione può essere tratta in astratto, senza considerare le peculiarità del caso concreto».
Per attribuire valore tangibile alla propria conclusione, poi, la Corte ha riportato l'esempio - già utilizzato dalla citata sentenza Longoni - di colui che, in stato di gravissima alterazione alcolica, si ponesse alla guida di un'auto all'interno di un parcheggio isolato, spostandola solo di qualche metro: appare chiaro, al di là della banalizzazione dell'esempio, che una fattispecie concreta di tal fatta - senz'altro tipica e connotata dall'offensività intrinseca dei reati di pericolo presunto - potrebbe tranquillamente essere riconosciuta come particolarmente tenue.
5.1.1. La Corte, peraltro, si è espressa negativamente anche contro le critiche relative alla ipotizzata e potenziale disparità di trattamento tra le fattispecie penali di cui alle lettere b) e c) dell'art. 186, comma II, C.d.S. e l'illecito amministrativo previsto alla lettera a) della medesima norma: sul punto, il Supremo Collegio ha semplicemente - e, forse, poco diffusamente - argomentato affermando che «l'illecito penale e quello amministrativo presentano differenze tanto evidenti quanto rilevanti, che delineano autonomi statuti», di talché la critica in questione non avrebbe nemmeno motivo di essere posta.
Si deve rilevare, peraltro, come le Sezioni Unite abbiano rinforzato le proprie considerazioni sul punto osservando che «la pena costituisce sanzione specialmente afflittiva e reca comunque un peculiare stigma»: su questo presupposto dunque, a parere della Corte, sarebbe razionalmente giustificata la possibilità per cui l'inflizione della sanzione penale venga ad essere subordinata ad una «speciale considerazione ispirata [...] dalla valutazione in ordine alla sua concreta necessità».
5.1.2. Da ultimo, le Sezioni Unite si sono pronunciate anche sulla problematica relativa all'applicabilità o meno delle sanzioni amministrative accessorie per la guida in stato di ebbrezza in caso di riconoscimento della causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p.: la Corte, in particolare, è addivenuta ad una conclusione diversa sia rispetto alla sentenza Longoni (che aveva ammesso l'applicazione delle sanzioni accessorie anche in caso di sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto) che rispetto all'ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite (che, al contrario, negava quanto sostenuto dalla predetta sentenza).
Il collegio, infatti, ha osservato che il corpus normativo del Codice della Strada - agli artt. 224 e 224-ter - disciplina l'applicazione delle sanzioni amministrative: orbene, posto che le norme in parola si occupano anche dei casi di estinzione del reato per causa diversa dalla morte dell'imputato, disponendo che in tali occasioni sia l'amministrazione pubblica ad applicare le sanzioni amministrative accessorie al reato di guida in stato di ebbrezza, secondo la Corte tali norme - dovendo considerarsi residuali e, pertanto, applicabili alla generalità delle fattispecie - devono ritenersi valide anche per il caso in esame. Dunque, «le sanzioni amministrative riprendono la loro autonomia ed entrano nella sfera di competenza dell'amministrazione pubblica».
5.2. In modo non dissimile, con riferimento al reato di rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici, la Corte ha evidenziato che la fattispecie in esame sanziona il rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici volti all'accertamento dello stato di ebbrezza rilevante ai fini del secondo comma del medesimo articolo: in conseguenza di ciò, secondo la Corte, «la lettura della ratio e dello sfondo di tutela che presiedono alla contravvenzione in esame sarebbe fallace ed astratta se non si confrontasse con l'intimo intreccio tra i due reati, enfatizzato dal fatto che uno è punito con le sanzioni previste dall'altro».
Ciò posto, le Sezioni Unite hanno affermato che il reato qui di interesse «non punisce una mera, astratta disobbedienza, ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose», di talché «non può farsi a meno di esaminare la collaterale contravvenzione di cui al richiamato comma 2 dell'art. 186, [che] si inscrive nella categoria [...] dei reati a pericolo presunto».
Su questo presupposto, dunque, il Supremo Collegio ha ribadito - anche in relazione al rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici - la bontà dell'esempio, supra richiamato, già utilizzato nella sentenza Longoni (ovverosia la condotta di colui che rifiutasse di sottoporsi agli accertamenti dopo essere stato colto in una condotta di guida non concretamente pericolosa).
La Corte, inoltre, ha osservato che «non è certo indifferente, nella ponderazione del fatto e del bisogno di pena, se un comportamento che si estrinseca in un mero rifiuto sia accompagnato da manifestazioni di irriguardosa e violenta opposizione o sia invece dovuto ad una non completa comprensione del contesto, ovvero a concomitanti esigenze personali socialmente apprezzabili»: il Supremo Collegio, in sostanza, sembrerebbe suggerire la necessità di vagliare attentamente - ai fini del possibile riconoscimento della nuova causa di esclusione della punibilità - le modalità stesse del rifiuto ed il contesto in cui esso si estrinseca.
6. Le Sezioni Unite, peraltro, hanno rilevato che la valutazione sulla tenuità del fatto non è per nulla preclusa dalla circostanza per cui gli illeciti penali in questione hanno natura di reati di pericolo presunto: in particolare - dopo aver ricordato che per i reati afferenti a questa categoria non è richiesta alcuna indagine in ordine alla effettiva pericolosità della fattispecie concreta - la Corte ha comunque affermato, richiamando l'esemplificazione già riportata in precedenza, che «resta pur sempre spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato ed al solo fine della ponderazione in ordine alla gravità dell'illecito, quale sia [...] il concreto possibile impatto pregiudizievole rispetto al bene tutelato».
7. Le sentenze in commento, quindi, dopo aver ulteriormente esplicitato la conclusione per cui «nessuna preclusione osta all'applicazione della nuova normativa [ai reati in discussione]», in applicazione dei criteri precedentemente esposti hanno comunque rigettato i ricorsi degli imputati:
- nel primo caso, relativo al reato di guida in stato di ebbrezza, il rigetto si è giustificato per il fatto che il ricorrente appariva gravato da plurimi precedenti specifici, tali da escludere il requisito - necessario per il riconoscimento della nuova causa di esclusione della punibilità - della non abitualità del comportamento;
- nel secondo caso, relativo al reato di rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici, il rigetto è stato similmente motivato in ragione del fatto che il ricorrente - fermato dai Carabinieri - aveva evidenziato una condotta di guida e caratteristiche sintomatiche tali da escludere un giudizio di esigua pericolosità.
[1] Per la lettura delle ordinanze di rimessione, si rinvia al commento di G. Alberti, Guida in stato di ebbrezza e rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici: applicabile l'art. 131-bis c.p.? La parola alle Sezioni Unite, in questa Rivista, 15 febbraio 2016.
[2] Cass. Sez. IV, Sent. 9 settembre 2015, n. 44132, imp. Longoni
[3] Cass. Sez. IV, sent. 1 luglio 2015, n. 33821, imp. Pasolini
[4] Si veda, da ultimo, Cass. Sez. III, sent. 14 maggio 2015, n. 24358, imp. Ferretti.
[5] Si veda Cass. SSUU, sent. 26 giugno 2015, n. 46653, imp. Della Fazia, che ha esteso il dovere del giudice di legittimità di applicare la legge più favorevole all'imputato fino a ricomprendere anche i casi in cui il ricorso sia inammissibile.
[6] Si legga, ad esempio, Cass. Sez. VI, sent. 16 settembre 2015, n. 45073, imp. Barrara.