ISSN 2039-1676


22 aprile 2015 |

Note a margine di una prima sentenza della Cassazione in tema di non punibilità  per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)

Cass. pen., Sez. III, 8.4.2015 (dep. 15.4.2015), n. 15449, Pres. Mannino, Rel. Ramacci, ric. Mazzarotto

A pochi giorni di distanza dall'entrata in vigore del nuovo art. 131-bis c.p., la Corte di Cassazione ha pronunciato una prima sentenza, qui allegata, che si segnala per l'affermazione di alcuni rilevanti principi di diritto.

1. Un primo principio - che si ricava invero implicitamente dalla sentenza - è che la nuova disposizione sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile anche in relazione ai reati che prevedono soglie di punibilità (o di rilevanza penale dell'offesa): nel caso di specie, al reato tributario di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di ammontare superiore a 50.000 euro (art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)  E' un principio che ci sembra corretto ma non scontato: la presenza di soglie di punibilità (nei reati tributari come nei reati societari, nei reati ambientali, nei reati di guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di stupefacenti, e così via) potrebbe infatti essere intesa come una sorta di presunzione legale di rilevanza penale dei fatti che si collocano al di sopra delle soglie stesse, incompatibile con l'istituto introdotto nell'art. 131-bis c.p. Senonché, nel momento in cui si riconosce che le soglie di cui si tratta misurano l'offesa rilevante (danno o pericolo), non vi è motivo per escludere in via di principio una particolare tenuità dell'offesa, appunto, in relazione ai fatti che si collocano di poco sopra le soglie stesse. D'altra parte, a fortiori, va considerato che da tempo la giurisprudenza costituzionale ha affermato (in materia di detenzione di stupefacenti in quantità superiore a quella per uso personale) che la valutazione del giudice circa la necessaria offensività in concreto della condotta ben può portare ad escluderne la rilevanza penale in caso di "eccedenza accertata di modesta entità" rispetto al limite-soglia (Corte cost., 11 luglio 1991, n. 333. In dottrina cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, IV ed., Giuffrè, 2012, p. 211).

 

2. Un secondo principio affermato dalla sentenza annotata riguarda i profili di diritto intertemporale: la nuova disciplina, in quanto più favorevole al reo, è applicabile retroattivamente ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 131-bis c.p. (la commissione del reato tributario oggetto del giudizio della S.C. risale al 2009). L'applicabilità dell'art. 2 c.p. è argomentata dalla S.C. in ragione della natura sostanziale dell'istituto (pacifica, a noi pare, per effetto della configurazione quale causa di esclusione della punibilità, anziché come condizione di procedibilità, analogamente a quanto prevede per i reati di competenza del giudice di pace l'art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274). Va peraltro segnalato, in proposito, il richiamo al comma 4 dell'art. 2 c.p., che notoriamente contempla il giudicato quale limite all'applicabilità dello ius superveniens più favorevole. Senonché a noi pare che la questione dell'applicabilità del comma 2 dell'art. 2 c.p., cioè della disciplina dell'abolitio criminis, potrà essere affrontata ex professo dalla giurisprudenza se e quando dovesse essere presentata un'istanza di revoca ex art. 673 c.p.p. di una sentenza irrevocabile di condanna per un fatto di particolare tenuità.

 

2.1. Sempre a proposito dei profili di diritto intertemporale, in un obiter dictum la sentenza segnalata (§ 11) afferma e precisa che, al fine della verifica delle condizioni di applicabilità della disciplina dell'art. 131-bis c.p., occorre fare riferimento, anche e in particolare per quanto riguarda i limiti di pena, alla norma incriminatrice nella versione vigente al tempo della commissione del fatto, se diversa da quella vigente al tempo del giudizio. Il reato tributario venuto in rilievo nel caso di specie, infatti, è stato riformato nel 2010, dopo la commissione del fatto. All'epoca della commissione del fatto la pena comminata per quel reato era la reclusione da sei mesi a quattro anni; dopo la riforma del 2010, la pena, nell'ipotesi di imposte di ammontare superiore a 200.000 euro (come nel caso di specie) è quella della reclusione da uno a sei anni: è cioè una pena che preclude l'applicabilità dell'istituto disciplinato dall'art. 131-bis c.p. La Cassazione - che nel caso di specie, come diremo, ha escluso l'applicabilità dell'art. 131-.bis c.p. ritenendo che il fatto oggetto del giudizio non fosse di particolare tenuità - ha di fatto ammesso in via di principio l'applicabilità dell'istituto in esame, in una simile situazione. Senonché ci sembra una soluzione quanto meno problematica in rapporto a un classico principio in tema di successione di leggi penali - il c.d. divieto di terza legge (un corollario del principio di legalità). Il giudice, infatti, deve individuare la legge le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, tra quella complessivamente vigente al tempo del fatto o al tempo del giudizio: non può combinare l'una con l'altra, selezionandone gli aspetti favorevoli (cfr., tra le altre e da ultimo, Cass., Sez. IV, 17 gennaio 2013, n. 7961, Capece, CED 255103: "In materia di successione nel tempo di leggi penali, il giudice, una volta individuata la disposizione complessivamente più favorevole, deve applicarla nella sua integralità, senza poter combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativo dell'altra legge secondo il criterio del 'favor rei', atteso che in tal modo verrebbe ad applicare una terza fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal legislatore con violazione del principio di legalità. (Nella specie, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza del Tribunale che, in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza ex art. 186, comma secondo, lett. c) C.d.S. commesso prima del 31 maggio 2010, data dell'entrata in vigore della l. n. 120 del 2010, aveva irrogato all'imputato la pena più favorevole vigente al momento del fatto sostituendola con la sanzione del lavoro di pubblica utilità, introdotta soltanto dalla legge citata)"). Se non vediamo male, ne consegue che, in relazione alla fattispecie presa in esame dalla Cassazione, risulta non applicabile la nuova disposizione di cui all'art. 131-bis c.p., atteso che lo ius superveniens, complessivamente considerato, ha comportato l'innalzamento da quattro a sei anni della pena detentiva massima, che preclude l'applicabilità della sopravvenuta causa di esclusione della punibilità.

 

3.  Un terzo principio affermato dalla sentenza annotata riguarda uno dei molti profili processuali della nuova disciplina, di particolare rilievo nell'attuale fase di prima applicazione nei giudizi già pendenti davanti alla Cassazione. Si legge infatti nella sentenza annotata che la questione della particolare tenuità del fatto può essere proposta (per la prima volta) anche nel giudizio di legittimità. Depone in tal senso, secondo la S.C., l'art. 609, co. 2 c.p.p., ai sensi del quale 2. La cognizione della Corte di Cassazione è estesa alle questioni che, come nel caso di specie, non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

3.1. Un quarto principio, strettamente correlato al terzo, riguarda infine l'oggetto del giudizio di legittimità nell'ipotesi in cui la S.C. sia chiamata, come nel caso di specie, a valutare l'applicabilità della disciplina sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto. Ebbene, secondo la S.C. la valutazione deve essere in questo caso limitata alla sussistenza in astratto dei presupposti di applicabilità dell'istituto (particolare tenuità dell'offesa e non abitualità del comportamento), attraverso un giudizio che non può che basarsi su quanto emerso nel giudizio di merito e risultante dalla motivazione della sentenza impugnata. In caso di sussistenza in astratto dei presupposti per l'applicabilità della disciplina dell'art. 131-bis c.p. la Cassazione provvederà all'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; diversamente escluderà l'applicazione dell'istituto, rigettando il ricorso. Sarà questo l'esito - sottolinea la S.C. - nell'ipotesi in cui dalla motivazione della sentenza impugnata emergano "giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto". E' proprio questo l'esito al quale approda la sentenza annotata (la questione della particolare tenuità del fatto era stata sollevata in udienza, in considerazione dello ius superveniens): il rigetto del ricorso fa infatti leva su plurimi dati presenti nella sentenza impugnata - l'inflizione di una pena superiore al minimo edittale, la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancata reiterazione dei 'benefici di legge', in presenza di un precedente penale (non specifico) -  "chiaramente indicativi di un apprezzamento sulla gravità dei fatti addebitati...che consentono di ritenere non astrattamente configurabili i presupposti per la richiesta di applicazione dell'art. 131-bis c.p.".