ISSN 2039-1676


21 maggio 2015 |

La particolare tenuità del fatto (art. 131-bis): tre prime applicazioni da parte del Tribunale di Milano

Trib. Milano, 9 aprile 2015, n. 3937, giud. Tremolada (maltrattamento di animali); Trib. Milano, 9 aprile 2015, n. 3936, giud. Tremolada (tentato furto in supermercato); Trib. Milano, 16 aprile 2015, n. 4195, giud. Tremolada (truffa e sostituzione di persona)

1. Segnaliamo ai lettori tre sentenze del Tribunale di Milano, che rappresentano alcune tra le prime applicazioni del nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.), introdotto dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28. Si tratta, in particolare, di due sentenze predibattimentali di non doversi procedere, pronunciate ai sensi dell'art. 469 c.p.p., e di una sentenza di assoluzione, pronunciata all'esito del dibattimento. Le sentenze condividono l'impianto della motivazione (medesimo è il giudice estensore), che dopo aver inquadrato e ricostruito la disciplina del nuovo istituto individua molti problemi interpretativi, ben presto emersi nella prassi.

 

2. Le tre sentenze, che possono qui leggersi in allegato, riguardano i seguenti casi:

a) maltrattamento di animali (art. 544-ter c.p.): l'imputato sferra alcuni calci ad un cane, che aveva sporcato, urinando, l'espositore dei giornali della sua edicola, cagionandogli lesioni lievi (sent. n. 3937/2015, per il testo della sentenza clicca qui).

b) tentato furto in supermercato (artt. 56, 624, aggr. ex art. 625 n. 2 c.p.): l'imputato si introduce in un supermercato, sottrae alcuni generi alimentari di modesto valore e, nascondendoli sotto il giubbotto, cerca di uscire senza pagare ma viene fermato dal personale addetto al servizio antitaccheggio (sent. n. 3936/2015, per il testo della sentenza clicca qui).

c) truffa e sostituzione di persona (artt. 81 cpv, 110, 640, 494 aggr. ex art. 61 n. 2 c.p.): l'imputato attiva una fornitura di energia elettrica telefonando al call center dell'ente erogatore, fingendosi la persona offesa mediante indicazione dei suoi dati anagrafici, e inducendo così in errore l'operatore, con conseguente profitto per sé e la convivente (imputata a titolo di concorso) e corrispondente danno patrimoniale per la persona offesa, di lieve entità (sent. n. 4195/2015, per il testo della sentenza clicca qui).

 

3. Dalla lettura delle tre sentenze emergono svariati profili d'interesse, sostanziali e processuali.

3.1. Un primo nodo interpretativo affrontato dal Tribunale riguarda l'inquadramento sistematico dell'istituto. L'art. 131-bis - si legge nelle sentenze - introduce nell'ordinamento una causa di esclusione della punibilità in senso stretto, che presuppone la sussistenza di un reato, integrato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi ed esprime considerazioni attinenti alla non opportunità di punire fatti non 'meritevoli' di pena, nel rispetto dei principi di proporzione e sussidiarietà della sanzione penale[1]. Il tribunale esclude, quindi, che si tratti di una condizione di procedibilità[2].

 

3.2. Un secondo profilo affrontato nella motivazione delle tre sentenze del Tribunale di Milano riguarda l'ambito di applicazione dell'istituto, individuato dall'art. 131-bis c.p. facendo riferimento all'entità della pena. La norma si applica ai reati puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni ovvero con la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva. L'art. 131-bis però non contempla l'ipotesi del delitto tentato. Tuttavia - precisa il Tribunale - l'art. 131-bis deve ritenersi applicabile anche ai casi di tentativo, in ragione del fatto che il delitto tentato è, per giurisprudenza costante, un'autonoma figura di reato. Il calcolo dell'entità della pena prevista in astratto, al fine di verificare l'applicabilità dell'art. 131-bis, andrà, quindi, coerentemente effettuato con riferimento alla cornice edittale del delitto tentato e non della corrispondente fattispecie di delitto consumato.

Il Tribunale, in applicazione delle tesi sostenuta, ha infatti dichiarato non doversi procedere per particolare tenuità del fatto nei confronti di un soggetto imputato di furto tentato (per leggere la sentenza clicca qui). Il caso affrontato dal Tribunale è di particolare interesse in ragione del fatto che riguarda una delle ipotesi nella prassi più frequenti di furto di lieve entità, il furto in supermercato, aggravato dall'utilizzo di un mezzo fraudolento (art. 625 co. 1 n. 2). È il caso di rilevare che la corrispondente fattispecie consumata (e aggravata) è estranea all'ambito di applicazione dell'art. 131-bis: l'aggravante in parola comporta infatti la pena della reclusione da 1 a 6 anni (il limite massimo di pena detentiva fissato dall'art. 131-bis è - lo ricordiamo - pari a 5 anni) e, essendo ad effetto speciale, rientra nelle circostanze di cui il giudice deve tenere conto nel calcolo del massimo edittale, ai fini dell'applicabilità della causa di non punibilità in esame, per espressa previsione dell'art. 131-bis co. 4. La necessità - sostenuta dal Tribunale - di effettuare, in caso di tentativo, il calcolo dell'entità della pena con riferimento alla cornice edittale della fattispecie di delitto tentato consente di applicare alle frequenti ipotesi di furto in supermercato la causa di non punibilità di cui al nuovo art. 131-bis. La portata di questa scelta interpretativa è accentuata dal fatto che, adottando la tesi opposta, in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale, al giudice sarebbe precluso il giudizio di bilanciamento delle circostanze ex art. 69 c.p., per espressa previsione dell'art. 131-bis co. 4 c.p. e quindi risulterebbe preclusa l'applicazione dell'art. 131-bis anche per questa via. Va ricordato, inoltre, che di recente, in tema di momento consumativo del furto in supermercato, si sono pronunciate le Sezioni Unite[3], affermando che risponde di furto tentato (e non consumato) il soggetto che sottrae la merce dagli scaffali sotto la vigilanza del personale addetto e viene fermato dopo la barriera delle casse. Seguendo la tesi di tale pronuncia, che qualifica come tentato furto (e non come furto consumato) le ipotesi in cui l'autore viene fermato dagli addetti alla vigilanza - come nel caso oggetto della sentenza in commento -, unitamente alla soluzione interpretativa - adottata dal Tribunale - che impone al giudice di verificare il rispetto dei limiti di pena fissati dall'art. 131-bis con riferimento alla fattispecie di delitto tentato, è dunque possibile applicare la causa di non punibilità alle frequentissime ipotesi di tentato furto in supermercato aggravato dal mezzo fraudolento.

 

3.3. Le motivazioni delle sentenze qui allegate si soffermano poi sui presupposti applicativi del nuovo istituto. L'art. 131-bis prevede che l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto possa essere dichiarata se l'offesa è, per le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, particolarmente tenue e se il comportamento non è abituale.

3.3.1. Quanto al presupposto della particolare tenuità della condotta, la disposizione in esame specifica che la sua sussistenza va desunta dalle modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, valutati sulla base dei criteri di cui all'articolo 133 co. 1 c.p. Il Tribunale, in linea con il tenore letterale della disposizione stessa, precisa che tale valutazione deve effettuarsi sulla base di tutti i criteri di cui all'art. 133 co. 1, compreso quello attinente all'elemento soggettivo del reato, e in particolare all'intensità del dolo e al grado della colpa (art. 133 co. 1 n. 3). Tale soluzione interpretativa si basa, oltre che sul tenore letterale della norma, sul criterio ubi voluit dixit: si rileva che, se lo avesse voluto, il legislatore avrebbe espressamente escluso il criterio di cui all'art. 133 co. 1 n. 3, in linea con la volontà selettiva manifestata nella menzione del solo co. 1 dell'art. 133 e non anche del co. 2, relativo alla capacità a delinquere del colpevole. Il Tribunale valorizza poi, nella medesima direzione, la scelta del legislatore di riferirsi alle modalità della condotta e non semplicemente alla condotta, espressione che richiamerebbe valutazioni ulteriori - anche di carattere soggettivo - rispetto a quelle attinenti alla condotta così come posta in essere nella sua materialità. Tale soluzione è supportata da quanto affermato nella Relazione, nella quale si legge che "la formula adottata è ben lungi dall'escludere qualunque rilevanza dell'elemento soggettivo del reato" e "l'indice-criterio delle 'modalità della condotta' si presta benissimo e del tutto naturalmente a permettere una valutazione sia del grado della colpa, sul presupposto che la violazione delle regole cautelari concorre ad integrare il modo di manifestarsi della (tipicità della) condotta; sia dell'intensità del dolo, sul presupposto che assai spesso quest'ultima si riverbera e si traduce nell'adozione da parte dell'autore di determinate modalità esecutive della condotta".

La conclusione nel senso della rilevanza di tutti i criteri di cui all'art. 133 co. 1 nella valutazione della particolare tenuità dell'offesa[4] e la qualificazione dell'istituto come causa di esclusione della punibilità in senso stretto porta il Tribunale ad interrogarsi sulla natura oggettiva o soggettiva della stessa, con i conseguenti risvolti in tema di estensione ai concorrenti nel reato. Nelle tre sentenze viene posto l'accento sul richiamo effettuato dall'art. 131-bis a criteri attinenti a profili sia oggettivi sia soggettivi per concludere nel senso della natura 'mista' della causa di non punibilità. Il Tribunale, infatti, sottolinea che la presenza, tra i criteri di valutazione dei presupposti applicativi, di parametri di carattere soggettivo conduce ad escludere la natura oggettiva della non punibilità per particolare tenuità del fatto. La natura mista dell'istituto fa infatti pensare che esso rispecchi, nel suo complesso, considerazioni inerenti all'opportunità di non punire la singola persona, che ha posto in essere con determinate modalità e con un certo coefficiente psicologico il fatto che costituisce reato. Il Tribunale conclude quindi per l'applicazione, in caso di concorso di persone nel reato, dell'art. 119 co. 1 c.p., in base al quale "le circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono".

Nella sent. n. 4195/2015 (per leggere il testo della sentenza clicca qui) il Tribunale ha affrontato il problema dell'estensione della causa di esclusione della punibilità ai concorrenti nel reato, in un caso di sostituzione di persona e di truffa, materialmente realizzati da uno degli imputati che, mediante una telefonata all'ente fornitore di energia elettrica, fingendosi la persona offesa, stipulava in nome di quest'ultima un contratto di fornitura relativo all'utenza dell'appartamento di cui era inquilino, di proprietà della persona offesa stessa. In esecuzione di questo contratto l'energia è stata erogata per un mese, dopo di che la persona offesa si è accorta della truffa perpetrata a suo danno e ha richiesto all'Enel la cessazione della fornitura. Il Tribunale ha riconosciuto l'esistenza dei presupposti del concorso morale in capo alla convivente dell'autore materiale dei reati contestati e si è posto il problema di analizzare separatamente le posizioni dei due imputati, in relazione all'applicabilità dell'art. 131-bis, osservando che le considerazioni effettuate a proposito dell'autore materiale potevano essere estese anche al partecipe, in ragione del fatto che quest'ultimo ha tenuto una condotta solamente rafforzativa del proposito criminoso dell'autore, non connotata da un diverso e particolare disvalore.

L'art. 131-bis, al co. 2, prevede dei casi di esclusione della particolare tenuità dell'offesa ed in particolare dispone che "L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona".  Il Tribunale, in proposito, sottolinea che si tratta di ipotesi pleonastiche che, in considerazione della loro gravità, verrebbero comunque escluse dall'ambito di applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, in sede di valutazione delle modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo. L'unica ipotesi che potrebbe avere ragione di essere menzionata è quella relativa all'aver agito per motivi abietti o futili, in quanto i motivi a delinquere (art. 133 co. 2 n. 1 c.p.) non rilevano ai fini della valutazione della tenuità dell'offesa, dal momento che l'art. 131-bis richiama il solo co. 1 dell'art. 133 e non anche il co. 2. In relazione alla precisazione per cui l'offesa non può ritenersi particolarmente tenue quando il soggetto ha agito con crudeltà "anche in danno di animali" va rilavato che ciò non esclude l'applicabilità dell'art. 131-bis ai maltrattamenti di animali, ma soltanto quando questi sono commessi con crudeltà. Il Tribunale ha infatti dichiarato, con sent. n. 3937/2015 (per leggere il testo della sentenza clicca qui), la non punibilità per particolare tenuità del fatto in relazione a un caso in cui è stato contestato il delitto di maltrattamento di animali di cui all'art. 544-ter c.p.

 

3.3.2. In relazione al presupposto della non abitualità del comportamento, il Tribunale valorizza la volontà del legislatore, espressa chiaramente nella Relazione, di utilizzare un concetto diverso e più ampio rispetto a quello della occasionalità del comportamento, utilizzato altrove, come ad esempio nell'art. 27 d.P.R. n. 448/1988, che prevede, nel processo penale minorile, la possibilità di pronunciare una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, sulla base dei presupposti della tenuità del fatto e dell'occasionalità del comportamento, quando l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne.

Il Tribunale, poi, propone una dettagliata interpretazione delle ipotesi di esclusione della non abitualità del comportamento previste dall'art. 131-bis co. 3, concentrandosi, in particolare: a) sull'ipotesi della commissione di più reati della stessa indole "anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità" e b) sul caso della commissione di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Preliminarmente, il Tribunale individua, in prima approssimazione, i casi che possono ritenersi richiamati dalle due ipotesi. In particolare, alla prima vengono ricondotti quelli in cui l'agente, pur non essendo stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ha commesso più reati della stessa indole ai sensi dell'art. 101 c.p. Di fronte alla maggiore complessità dell'individuazione dei casi che rientrano nella seconda ipotesi - commissione di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate -, il Tribunale distingue invece due categorie: da un lato, la norma richiamerebbe singole fattispecie che prevedono la necessità che l'agente ponga in essere una pluralità di condotte, affinché il reato possa essere integrato (reati abituali, reati permanenti e reati complessi), e, dall'altro lato, si riferirebbe alla commissione di più reati uniti dal vincolo della continuazione o in concorso formale.

Dopo questa prima operazione classificatoria, il Tribunale espone la propria soluzione interpretativa in relazione alla questione problematica, venuta in rilievo in uno dei casi in esame (deciso con la sent. n. 4195/2015, per leggere il testo della sentenza clicca qui), della disciplina del caso di più reati della stessa indole uniti dal vincolo della continuazione o in concorso formale: in particolare si tratta di stabilire se questo caso ricada nell'ipotesi dei "più reati della stessa indole" ovvero in quella dei "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate". La differenza tra le due ipotesi è significativa e risiede nella possibilità per il giudice di effettuare un'ulteriore valutazione dei singoli reati o delle singole condotte e, ritenendoli di particolare tenuità, applicare l'art. 131-bis. Il legislatore ha infatti deciso di non ripetere, per l'ipotesi di "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate", l'inciso - invece inserito per il caso di più reati della stessa indole - "anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di lieve entità".

Di fronte al dato letterale, che sembrerebbe deporre nel senso di considerare l'ipotesi in esame - più reati della stessa indole uniti dal vincolo della continuazione - come ricompresa nella previsione che fa riferimento a "più reati della stessa indole" - con conseguente esclusione automatica dell'applicabilità dell'art. 131-bis -, il Tribunale sostiene la tesi opposta, valorizzando, innanzitutto, la citata scelta del legislatore di non ripetere l'inciso, con la conseguente possibilità, in caso di "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate" di applicare l'art. 131-bis all'esito di una valutazione di particolare tenuità delle singole condotte o dei singoli fatti. Questa differenza di disciplina tra le due ipotesi - si legge nella motivazione - rispecchia una diversa valutazione del legislatore dei casi ad esse riconducibili, in termini di disvalore della condotta e di capacità a delinquere dell'agente: ben più grave è la condotta di chi commette più reati della stessa indole isolati e indipendenti, rispetto a chi li commette nell'ambito di un medesimo disegno criminoso o nel medesimo contesto spazio-temporale (a fini esplicativi della soluzione interpretativa adottata il Tribunale propone alcuni interessanti esempi, per i quali si veda p. 10 della motivazione). Non sarebbe ragionevole - sostiene il Tribunale - che questi due casi - connotati da un diverso disvalore - fossero sottoposti allo stesso trattamento, consistente nell'impossibilità per il giudice di valutare la particolare tenuità dei singoli fatti per poter applicare l'art. 131-bis. Tale diversità imporrebbe allora un diverso trattamento, possibile solamente ricomprendendo la commissione di più reati della stessa indole uniti dal vincolo della continuazione (o in concorso formale) nell'ipotesi di "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate", in relazione alla quale al giudice è consentito, all'esito della valutazione di particolare tenuità dei singoli fatti o delle singole condotte, escludere la punibilità, in presenza di tutti gli altri presupposti. Il Tribunale motiva la propria scelta anche sulla base del rilievo che, nell'ottica della volontà del legislatore di attribuire al requisito nella 'non abitualità' un concetto più ampio rispetto a quello di 'occasionalità', "le tre eccezioni limitanti devono essere interpretate restrittivamente, in ossequio al principio di stretta interpretazione delle norme che costituiscono eccezione, nonché in ragione del principio del favor rei, dato che ci si trova a limitare un istituto favorevole all'imputato"[5].

Come anticipato, il Tribunale ha fatto applicazione del principio sopra esposto, nella sentenza n. 4195/2015, ad un caso di sostituzione di persona e di truffa, reati commessi nell'ambito di un medesimo disegno criminoso. Il Tribunale ha ritenuto che i due reati fossero, in concreto, della stessa indole ai sensi dell'art. 101 c.p., in quanto accomunati dalle stesse modalità della condotta, di tipo ingannatorio, e dai motivi che li hanno determinati, consistenti nella volontà di ottenere una fornitura di energia elettrica senza pagarne il corrispettivo. Il Tribunale ha poi ritenuto di poter applicare l'art. 131-bis in ragione della particolare tenuità del fatto nel suo complesso, considerata l'esiguità del danno cagionato - il godimento di energia elettrica da parte degli imputati a danno della persona offesa si è protratto per un solo mese -, e sulla base della valutazione della particolare tenuità dei fatti singolarmente considerati. Rispetto a quest'ultimo profilo il Tribunale ha posto l'accento sul fatto che la condotta dell'imputato, sebbene di tipo ingannatorio, non era caratterizzata "dall'utilizzo di strumenti particolarmente insidiosi, né da modalità tali da connotare la condotta di un particolare disvalore", realizzando solamente quel minimo di comportamento fraudolento necessario ad integrare i reati contestati.

L'ipotesi di concorso formale di reati, che però non viene in rilievo in alcuno dei casi esaminati, è assimilata dal Tribunale, quanto a disciplina, a quella della commissione di più reati uniti dal vincolo della continuazione, con conseguente possibilità, per il giudice, di verificare se ciascun fatto possa essere ritenuto, isolatamente considerato, di particolare tenuità e, all'esito applicare - in presenza di tutti gli altri presupposti - la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis. Si segnala, in merito, che è stata rimessa alle Sezioni Unite una questione (di cui è stata data notizia in questa Rivista) attinente all'esclusione dell'applicabilità dell'art. 131-bis in caso di concorso formale di reati, in relazione al co 3, ultima parte, dello stesso articolo. Si tratta della stessa questione affrontata nelle sentenze del Tribunale di Milano in commento, nelle quali è stata ritenuta non esclusa a priori l'applicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto alle ipotesi di concorso formale di reati, possibile, invece, in caso di esito positivo della valutazione di particolare tenuità dei fatti singolarmente considerati.

Da ultimo, nell'ambito dell'interpretazione delle tre ipotesi di esclusione del requisito nella non abitualità del comportamento, il Tribunale propone una precisazione, sempre nell'ottica del rispetto dei principi di stretta interpretazione delle norme eccezionali e del favor rei. In particolare, al fine di non restringere eccessivamente l'ambito di applicazione dell'istituto, consentendo ad esso di spiegare effetti positivi in termini di economia processuale ed efficacia deflattiva, nonché in conformità con il tenore letterale della norma, va escluso che nell'ipotesi di "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterare" rientri anche la commissione di reati la cui fattispecie astratta non richiede la realizzazione di una pluralità di condotte, ma che in concreto sono stati posti in essere con più condotte materiali.

Il Tribunale ha affrontato la questione nella sent. n. 3937/2015 (per leggere il testo della sentenza clicca qui) a proposito di un caso di maltrattamento di animali, previsto dall'art. 544-ter c.p., in cui l'imputato aveva cagionato lesioni lievi ad un cane, mediante una pluralità di calci. Il reato contestato, in relazione all'ipotesi della causazione di una lesione, si configura come un reato d'evento a forma libera, realizzabile con qualsiasi condotta, attiva o omissiva che abbia causato all'animale una lesione, che costituisce l'evento. Nel caso di specie, l'unico evento lesivo veniva cagionato con una pluralità di condotte materiali (più calci). Il Tribunale ha ritenuto di non attribuire autonoma rilevanza alle singole condotte materiali, al fine di applicare l'art. 131-bis ed in particolare per verificare la sussistenza del requisito della non abitualità del comportamento ai sensi del co. 3 ultima parte, in ragione dell'unicità del reato commesso e del rilievo per cui la fattispecie astratta non richiede che l'agente ponga in essere una pluralità di condotte per la realizzazione del reato, ipotesi che invece ricadrebbe nella previsione di "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate".    

 

4. Le sentenza qui allegate si segnalano d'altra parte per aver affrontato altresì alcuni interessanti profili processuali della nuova disciplina in esame.

In primo luogo vengono individuate le fasi del procedimento in cui può essere dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto ed in particolare: nelle indagini preliminari, in ragione della modifica introdotta all'art. 411 co. 1 c.p.p., che aggiunge, ai casi in cui il pubblico ministero deve chiedere l'archiviazione, l'ipotesi in cui la persona sottoposta alle indagini non sia punibile ex art. 131-bis per particolare tenuità del fatto; all'esito dell'udienza preliminare, anche se non espressamente previsto, in ragione dell'applicabilità dell'art. 425 c.p.p. ("se [...] si tratta di persona non punibile per qualsiasi altra causa il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo"); nel 'predibattimento', in virtù del co. 1-bis aggiunto all'art. 469 c.p.p.; all'esito del dibattimento, come si desume dall'art. 651-bis, che disciplina l'efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi della "sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata all'esito del dibattimento"; nel giudizio di appello e nel giudizio di legittimità[6].

Rispetto alla declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto con sentenza predibattimentale di non doversi procedere ex art. 469 c.p.p. e ai problemi di coordinamento tra il nuovo co. 1-bis e il co. 1, il Tribunale sottolinea che il legislatore, limitandosi a precisare che la sentenza va pronunciata "previa audizione della persona offesa", senza menzione dell'imputato e del pubblico ministero, ha semplicemente voluto evitare che il potere di 'veto', attribuito dal co. 1 ai soggetti necessari del processo potesse essere esteso anche alla persona offesa, il cui dissenso, invece, non ostacola la pronuncia. Del resto, per comprendere questa diversità di trattamento, va considerato che le conseguenze negative della sentenza predibattimentale di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto sono ben diverse per l'imputato, rispetto alla persona offesa: la sentenza pronunciata ex art. 469 co. 1-bis non fa stato nel processo civile, ma viene iscritta nel casellario, con conseguenti effetti negativi per l'imputato - al quale sarebbe preclusa l'applicazione dell'art. 131-bis nel caso commetta in futuro un reato della stessa indole - che può, invece, avere interesse alla celebrazione del dibattimento e ad una pronuncia assolutoria con formula a lui più favorevole.

Da ultimo, poi, il Tribunale sottolinea che in caso di applicazione dell'art. 131-bis all'esito del dibattimento, la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto deve essere effettuata con sentenza di assoluzione, ai sensi dell'art. 530 c.p.p. - da emettersi quanto l'imputato "non è punibile per un'altra ragione" e non con sentenza di non doversi procedere ex art. 529 c.p.p.[7], dal momento che l'istituto ha natura di causa di esclusione della punibilità e non di condizione di procedibilità.  

 


[1] La qualificazione dell'istituto come causa di esclusione della punibilità si può desumere - rileva il Tribunale - da diversi elementi: in primo luogo, il tenore letterale della norma, che prevede che "la punibilità è esclusa" e reca come rubrica "esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto"; in secondo luogo, in questo senso depone la Relazione allo schema di decreto (in questa Rivista), che si riferisce all'istituto sempre in termini di esclusione della punibilità e precisa più volte che l'accertamento della particolare tenuità del fatto presuppone la sussistenza di un reato e riflette valutazioni attinenti all'opportunità di punire, richiamando, in tal modo, le caratteristiche proprie delle cause di esclusione della punibilità in senso stretto; in terzo luogo, depone a favore di questa soluzione interpretativa la collocazione della nuova norma, ovverosia appena prima degli articoli che disciplinano il potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena e attengono, quindi, a valutazioni che il giudice deve effettuare dopo aver accertato sussistenza di un reato; da ultimo, a conferma della soluzione interpretativa adottata dal Tribunale, vi è il fatto che "la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto all'esito del dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale".

[2] Sulla natura sostanziale dell'istituto di cui all'art. 131-bis si è di recente pronunciata la Corte di Cassazione, con sent. 8 aprile 2015, n. 15449, in questa Rivista, 22 aprile 2015, con nota di Gatta, Note a margine di una prima sentenza della Cassazione in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).

[3] Cass., Sez. Un., 17 aprile 2014 (dep. 16 dicembre 2014), n. 52117, in questa Rivista, 19 dicembre 2014; sul tema si veda anche Ubiali, Brevi note sul momento consumativo del furto in supermercato (aspettando le Sezioni Unite), in questa Rivista, 14 aprile 2014.

[4] Qualora, invece, si escludesse la possibilità per il giudice di tenere conto del criterio attinente all'elemento soggettivo del reato (co.1 n. 3), il problema relativo alla natura oggettiva o soggettiva della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis - rileva il Tribunale - verrebbe a ridimensionarsi. La natura oggettiva dei criteri di valutazione della particolare tenuità della condotta potrebbe più facilmente far propendere per una qualificazione in termini oggettivi della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

[5] Questa scelta interpretativa, sottolinea il Tribunale, consentirebbe anche di non svuotare di significato i termini utilizzati dal legislatore. In particolare il termine condotte "reiterate" - che abbraccia i casi di commissione ripetuta dello stesso reato -, parrebbe superfluo. Infatti, qualora si ritenesse che più reati della stessa indole uniti dal vincolo della continuazione rientrino nella previsione di "più reati della stessa indole" si dovrebbe ricondurre la reiterazione dello stesso reato sempre in questa ipotesi. Non si comprenderebbe per quale ragione il legislatore abbia previsto un'ulteriore ipotesi di reiterazione di reati della stessa indole, se non per sottoporli ad una disciplina differenziata.

[6] Rispetto all'applicabilità dell'art. 131-bis nel giudizio di fronte alla Corte di Cassazione si veda Cass. pen., sent. 8 aprile 2015, n. 15449, cit.

[7] In senso contrario si vedano le linee-guida della Procura di Lanciano, in questa Rivista, p. 22.