ISSN 2039-1676


20 ottobre 2016 |

Un’interessante pronuncia norvegese sulla legalità della detenzione concernente il condannato Breivik

Corte distrettuale Oslo, 20 aprile 2016, Giudice distrettuale Helen Andenæs Sekulic, azione promossa da Anders Behring Breivik contro il Ministro della giustizia e della sicurezza pubblica

Per scaricare il provvedimento oggetto delle seguenti osservazioni, clicca in alto su “visualizza allegato”.

 

1. Merita senz’altro di essere portata all’attenzione degli studiosi italiani la decisione con la quale il giudice della Corte distrettuale di Oslo in composizione monocratica si è pronunciata sulle modalità detentive che caratterizzano l’esecuzione della misura di sicurezza (forvaring) irrogata ad Anders Behring Breivik.  Tale misura inflitta dopo l’accertamento, nell’ambito del processo di cognizione, che si stava procedendo contro un soggetto capace di intendere e di volere al momento dei fatti, ha costituito la risposta sanzionatoria alle deliranti e crudeli attività criminose – poste in essere il 22 luglio 2011, prima, ad Oslo e, poco dopo, nell’isola di Utøya – che hanno causato la morte di circa ottanta persone.

La misura di sicurezza in questione riposa sul presupposto, stabilito dal § 39-c del codice penale norvegese, che una pena, sia pure carceraria, risulterebbe insufficiente a «proteggere la società». Diversamente da quest’ultima, essa, pur essendo stata inflitta nei confronti di Breivik per un periodo massimo di ventuno anni, potrà essere prorogata, ogni volta per non più di cinque anni, così da protrarsi, se del caso, sino alla sua morte. Con il che emerge chiaramente quanto tendenziose siano state le critiche mosse ai giudici norvegesi da un’ampia platea di commentatori, che hanno denunciato, con asprezza di toni, il preteso lassismo dell’organo giudicante.

 

2. Sin qui l’antefatto. Il provvedimento in esame si riferisce invece ad un’iniziativa giudiziaria che Breivik ha assunto in sede esecutiva, chiamando il giudice civile di Oslo a verificare se, come egli sosteneva, l’esecuzione della misura inflitta – previa assegnazione del medesimo ad una sezione detentiva ad altissimo indice di sicurezza[1] in un regime di quasi totale isolamento – comportava la violazione degli artt. 3 e 8 CEDU.

La risposta della Corte distrettuale, che si fa apprezzare per un’ampia motivazione, molto attenta, tra l’altro, alla giurisprudenza dei giudici di Strasburgo, è articolata. Si ritiene dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio[2], la violazione dell’art. 3 CEDU sulla base dei seguenti fattori: la lunga durata dell’isolamento (quattro anni e nove mesi, al momento del procedimento davanti al giudice civile di Oslo); la carente motivazione – nel provvedimento che ha assegnato Breivik alla sezione SHS e in quelli che ne hanno prorogato la permanenza – circa il connotato di extrema ratio del prolungato isolamento; l’inadeguatezza degli strumenti che l’ordinamento norvegese mette a disposizione dell’interessato per contestare sia la collocazione in una sezione SHS, sia il regime di isolamento carcerario. Non solo: il provvedimento in esame – oggetto, a sua volta, di commenti il cui sarcasmo è risultato pari alla loro superficialità – addebita all’amministrazione penitenziaria norvegese anche la mancata adozione di accorgimenti idonei a “compensare” l’asprezza del regime di isolamento e ritiene deficitaria la prova che, in considerazione di tale asprezza, si sia dedicata la necessaria attenzione alle condizioni mentali del soggetto isolato.

 

3. Contestualmente, la Corte distrettuale di Oslo ha invece ritenuto priva di fondamento l’asserita violazione dell’art. 8 CEDU. La censura è stata focalizzata con riferimento ai colloqui inter praesentes, alla corrispondenza epistolare e a quella telefonica. Per la Corte si è trattato di valutare se «l’ingerenza della pubblica autorità», evocata dal 2° co. della suddetta disposizione convenzionale, si sia esercitata in conformità con uno o più degli specifici motivi che in quella stessa sede sono considerati idonei a sacrificare il «rispetto della vita privata».

Determinante è risultata la constatazione che le limitazioni riguardanti gli ordinari canali di comunicazione di Breivik con l’esterno hanno avuto una portata giustificatamente circoscritta. L’interessato ha infatti potuto svolgere colloqui, ricevere e inoltrare corrispondenza epistolare (circa 3.000 sono state le lettere inviate/ricevute), avvalersi delle comunicazioni telefoniche per la prevista durata massima di venti minuti alla settimana, a meno che gli interlocutori non fossero ideologicamente omogenei a lui, cioè non fossero estremisti di destra. Un divieto, questo, chiaramente finalizzato ad evitare che Breivik potesse assumere in ben determinati ambienti la veste di un leader da imitare, e che, grazie anche a questo tipo di comunicazioni, risultasse facilitata la formazione di una rete di persone aventi come comune denominatore quello del radicalismo di destra: un dato da monitorare attentamente in una logica di prevenzione nei confronti di eventuali atti di terrorismo. In piena sintonia con l’elaborazione giurisprudenziale dei giudici di Strasburgo, la Corte di Oslo ha escluso, quindi, che sia stato violato l’art. 8 CEDU.

 

4.  La lettura del provvedimento in esame è opportuna non solo perché offre un interessante spaccato di come funzionano determinati ingranaggi nel sistema penitenziario norvegese, ma anche perché consente un raffronto con temi che risultano ricchi di risvolti problematici anche nel nostro ordinamento: come quello dell’isolamento, al quale la sentenza qui commentata dedica una particolare attenzione. Basti un solo esempio riguardante la situazione di coloro che sono attualmente sottoposti al regime carcerario previsto dall’art. 41-bis ord. penit., soprattutto nelle ipotesi in cui si sia optato per la loro collocazione «in area riservata»[3]: davvero si può continuare a ritenere che l’espediente della c.d. dama di compagnia, vale a dire del compagno di pena che per 1/2 ora/e al giorno condivide la permanenza all’aperto del detenuto “differenziato”, sia un plausibile arco di volta per la rassicurante conclusione che allora non si può parlare di isolamento? E ancora: ci si può ritenere al riparo da censure incentrare sull’art. 3 CEDU, non ostante che sempre maggiore sia la consapevolezza dei danni irreversibili prodotti dall’isolamento carcerario (e dai suoi machiavellici “alter ego”), e  nonostante dalle c.d. Mandela Rules, recentemente approvate dall’O.N.U, emergano direttive assai più stringenti che in passato per il ricorso ad un tale regime detentivo? Si tratta di interrogativi che, verosimilmente, non potranno essere più a lungo elusi.

 

5. È doverosa una postilla finale per precisare che la traduzione è stata effettuata utilizzando non già il provvedimento decisorio in lingua originale, ma la sua versione in lingua inglese curata da un traduttore autorizzato dal Governo norvegese (traduzione reperibile cliccando qui).

 

[1] Il primo provvedimento con il quale Breivik è stato assegnato ad una sezione di massima sicurezza o, più esattamente, ad una sezione SHS (acronimo di Særlig Høyt Sikkerhetsnivå”), in base a quanto prevedono i §§ 11 e 10 co. 2° dell’ordinamento penitenziario norvegese, è stato assunto dall’amministrazione penitenziaria in data 8 agosto 2011.

[2] Sull’utilizzazione di questo canone – non senza taluni importanti distinguo sulla distribuzione dell’onere della prova – da parte dell’assise di Strasburgo, cfr. B. Belda, Le droits de l’homme des personnes privées de liberté, Bruxelles, 2010, p. 523 ss.

[3] Per l’affermazione secondo cui «in alcuni istituti emerge un quadro di quasi totale de-contestualizzazione dalla realtà di persone detenute per tempi lunghissimi, potenzialmente senza fine, e che spesso tale quadro è anche aggravato dalla previsione di “aree riservate” dove l’isolamento è totale, contrariamente a quanto la norma prevede», cfr. Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, XVII Leg., Rapporto sul regime detentivo speciale. Indagine conoscitiva sul 41-bis, p. 46 s., dove vengono riportate tra virgolette le parole di Mauro Palma, audito dalla Commissione in data 25 giugno 2014.