ISSN 2039-1676


16 febbraio 2017 |

Sul ruolo delle corti d’appello nel far fronte all’arretrato (The role of the courts of appeals to tackle case backlog)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la relazione svolta da Francesca Fiecconi – magistrato della Corte d’Appello di Milano – in occasione dell’incontro internazionale “World Judicial Efficiency Improvements & Reengineering Court Processes to Streamline & Rightsizing the Judiciary – 2017 Conference” sul ruolo degli ordinamenti giudiziari nel garantire e costruire un procedimento efficiente e conforme alle regole del giusto processo nel nuovo ambiente digitale; la conferenza si è tenuta a Bangkok (Tailandia) il 19 e il 20 gennaio 2017.

 

Per leggere il testo integrale della relazione (in lingua inglese), clicca in alto su “visualizza allegato”.

Di seguito, a firma della stessa Autrice, pubblichiamo una sintesi della relazione.

 

1. L’incontro internazionale “World Judicial Efficiency Improvements & Reengineering Court Processes to Streamline & Rightsizing the Judiciary – 2017 Conference” si è svolto in forma di tavola rotonda tra giuristi e operatori nel settore telematico provenienti dall’area pacifica asiatica, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dall’Australia, in presenza di un delegato dell’United Nations Volunteers avente sede in Bangkok e responsabile per le analisi sull’avanzamento dei diritti in area asiatica.

La relazione sull’ordinamento italiano è risultata di interesse sia perché riguarda uno Stato membro dell’Unione europea aderente alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sia perché i dati più recenti dimostrano che l’ordinamento giudiziario italiano, con un passato di grande arretrato, grazie a una serie di misure legislative che hanno molto inciso sull’organizzazione interna delle Corti e dei tribunali di merito per via digitale, si sta progressivamente mettendo al passo con le istanze di una giustizia più celere e rispondente alle attuali esigenze dei cittadini, senza con ciò trascurare la qualità del prodotto finale offerto, frutto di un apparato giudiziario che garantisce nel suo complesso un alto grado di imparzialità e di distanza dei giudici da influenze politiche o ambientali.

 

2. Nella relazione si toccano i temi riguardanti la conformità ai principi dello stato di diritto delle riforme avviate negli ultimi anni nel campo della giustizia civile. Sotto questa prospettiva si sono analizzati l’impatto dei filtri processuali previsti in riferimento al diritto di impugnazione e la conformità di tali strumenti al diritto di azione, così come delineatosi a livello europeo. In particolare, si è evidenziato che i filtri processuali, se amministrati in conformità al principio del giusto processo, costituzionalmente e convenzionalmente garantito, consentono non solo di stabilizzare i precedenti conformi al caso concreto, ma tolgono spazio a impugnazioni dilatorie e strategiche che, nell’esperienza italiana, si sono rivelate tra le principali cause dell’arretrato formatosi ai livelli superiori della giurisdizione, generando una sostanziale instabilità del sistema.

Più in particolare, si è analizzata la questione relativa alla compatibilità degli strumenti deflattivi delle liti relativamente al diritto di appello, corollario del diritto di azione. In merito, si è evidenziato che la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa nel senso della compatibilità dei filtri con il principio del giusto processo come definito nell’art. 6 §1 della Convenzione, il quale ammette che il diritto di revisione del giudizio di primo grado possa essere in parte compresso e limitato qualora la decisione di primo grado sia stata resa nel pieno rispetto dei principi di imparzialità del giudice e del giusto contraddittorio. Il filtro in appello, che in Italia lascia ancora spazio per una possibile revisione per motivi di legittimità del giudizio di primo grado innanzi alla Corte Suprema, pertanto, appare del tutto compatibile con il sistema delineato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, soprattutto perché il provvedimento di conferma di una decisione, assunto in seguito a un giudizio svoltosi innanzi a un giudice imparziale con pieni poteri di cognizione e nel rispetto del contraddittorio, non richiede un grado di approfondimento maggiore rispetto alla prima decisione, potendo quindi essere assunto con tempi più celeri e con modalità di redazione della decisione più succinte e sintetiche. Quindi, quale corollario di tale principio, il potere giudiziale, nell’applicazione dei filtri nella fase dell’impugnazione, incontra il suo limite naturale laddove l’ordinamento necessiti di una revisione o rivisitazione dei propri precedenti, o nel caso in cui si riscontri una pretermissione dei diritti processuali.

 

3. In generale, si sono indicati i punti centrali delle riforme europee e nazionali che in questi ultimi anni hanno consentito alla giustizia civile italiana di recuperare non solo l’arretrato in tempi celeri, ma anche di abbattere i tempi medi di esaurimento dei giudizi e di offrire ai cittadini un apparato di giustizia più rispondente alle aspettative di massima trasparenza e neutralità della decisione. In particolare, è stato analizzato l’impatto delle riforme che, a un generale riordino della distribuzione geografica dei tribunali di prima istanza (con eliminazione di un consistente numero di tribunali che nel tempo si sono dimostrati inefficienti e generatori di maggiori costi), hanno accompagnato la creazione di sezioni specializzate per materia, dimostratesi in grado di garantire un celere smaltimento nelle controversie che richiedono particolari livelli di specializzazione (quali le sezioni specializzate in materia di impresa). Si è anche riferito che l’orientamento attuale degli ordinamenti europei è nel senso di portare il procedimento ordinario ad alti livelli di specializzazione e che lo stesso rapporto CEPJE 2016 ha indicato l’Italia e l’Austria come esempi virtuosi in tal senso, a fronte di una sostanziale riduzione della densità territoriale delle sedi giudiziarie che non ha messo in discussione l’efficienza del sistema.

 

4. Inoltre, non è da trascurare l’impatto di altre riforme attuate sul piano organizzativo, quali quelle che hanno rafforzato i poteri di vigilanza sul territorio forense da parte delle Corti di Appello, dimostratesi come punto di raccordo tra i bisogni locali e territoriali e i bisogni nazionali e internazionali. Tale rafforzamento di poteri direttivi e di vigilanza è stato consentito da norme e direttive dell’organo di autogoverno della magistratura (CSM) che hanno imposto una vigilanza annuale su tutta l’attività dei settori di competenza dei tribunali del distretto, e sulla sua conformità alle finalità espresse nel documento di organizzazione generale (DOG) che incorpora il piano triennale approvato in sede centrale dall’organo di autogoverno dei magistrati, cui tutti i dirigenti e magistrati si debbono attenere, secondo una politica di self assessment seguita di recente dall’apparato giudiziario. I risultati migliorativi ottenuti sino ad oggi hanno certamente confutato le tesi propense a eliminare il secondo grado di giudizio, posto che le Corti d’appello si sono rivelate come vere e proprie pietre miliari di un sistema giurisdizionale che garantisca una protezione multilivello dei diritti individuali. Esse infatti si sono dimostrate come i buoni guardiani del sistema, risultando in posizione strategica per garantire l’efficienza del sistema pur con un buon margine di flessibilità.

 

5. Un sistema efficiente di giustizia richiede infatti un monitoraggio continuo sulla sufficienza e professionalità delle risorse umane presenti a livello di apparato amministrativo interno (e in questo l’ordinamento italiano continua a peccare per difetto) e a livello di organico dedito                    all’ attività giurisdizionale. Tale monitoraggio non può prescindere dalla flessibilità organizzativa, autonomia e indipendenza dell’apparato giudiziario nel suo complesso. In generale, il livello di autonomia, preparazione e indipendenza del corpo giudiziario in Italia appare apprezzabile e ultimamente è stato intensificato il monitoraggio in tal senso da parte dell’organo di autogoverno. Tuttavia, la consistente percentuale di contenzioso in atto spiega il motivo per cui in Italia l’indice di stabilità delle decisioni è stato per molti anni ritenuto carente. Certamente, in un sistema processuale che ha ammesso per lungo tempo, in maniera incontrollata, la possibilità di intraprendere un lungo percorso giudiziario a bassi costi prima di giungere a una decisione definitiva, anche la professionalità e neutralità dei giudici hanno rischiato di essere messe in discussione. Tale tendenza è mutata in virtù delle riforme di cui sopra che hanno razionalizzato la distribuzione delle risorse nel territorio e del carico interno di lavoro, hanno elevato i costi del giudizio in generale, hanno incentivato l’aggiornamento professionale da parte dei giudici e degli avvocati, hanno limitato la possibilità di inserire nuovi argomenti di prova nella fase di appello e hanno disincentivato gli appelli strategici e dilatori con l’apposizione di filtri, duplicando le tasse giudiziarie in caso di conferma delle decisioni.

 

6. Il rientro del carico dell’attività giurisdizionale entro limiti accettabili e conformi alla legge Pinto (nella media di circa 24 mesi per il grado di appello e di circa 500 gg per il primo grado, secondo l’analisi CEPJE del 2016) è certamente dovuto all’opera di riorganizzazione interna effettuata in ogni distretto di Corte d’appello e al monitoraggio dei ruoli svolto dalle forze interne al sistema, e non tanto all’apporto di nuova forza lavoro che appare ancora carente, soprattutto per quanto riguarda l’apparato amministrativo, il quale di recente ha registrato anche l’introduzione di soggetti non specificamente formati riguardo al settore in cui debbono operare.

Sotto il profilo delle risorse umane, inoltre, rimane ancora non risolto il problema legato al fatto che per molti anni in Italia è stato consentito l’accesso alla professione forense in maniera incontrollata, senza alcun argine all’ingresso delle scuole di legge e all’esame di abilitazione, fattori cui certamente deve in parte ricollegarsi l’esponenziale aumento negli anni del tasso di litigiosità. Sotto questo profilo gli ordini professionali forensi hanno reagito rendendo più ostico e difficile l’esame di abilitazione alla professione forense e fissando regole più stringenti sul piano del codice deontologico; pur tuttavia non è stato ancora risolto il problema relativo al numero esorbitante di avvocati esercitanti la professione presenti nel territorio nazionale (circa 250.000) , e soprattutto al fatto che l’accesso ai livelli più elevati della giurisdizione sia consentito a tutti gli avvocati che abbiano maturato cinque anni di esperienza professionale, senza alcuno sbarramento numerico o controllo preventivo delle necessarie competenze professionali (come invece è normalmente previsto negli altri ordinamenti europei). Difatti, una selezione in tal senso sarebbe certamente utile per il sistema, anche al fine di garantire una competenza professionale elevata nei gradi superiori di giudizio.

Pertanto, l’eccessiva quantità di domanda di giustizia ancora presente nel territorio nazionale ad ogni livello (e in maniera davvero incomprensibile persino nell’ultimo grado della giurisdizione), e il correlato tasso di instabilità delle decisioni che ancora si registra nel territorio nazionale (a parte alcuni esempi virtuosi dati dalle Corti di Milano e Torino), sono fenomeni certamente oggi riconducibili alla considerevole presenza di professionisti abilitati ad esercitare la professione di litigator ad ogni livello della giurisdizione, più che a inerzie e inefficienze interne all’apparato giudiziario che negli ultimi anni sono state in qualche modo stanate e arginate .

Tuttavia, anche sotto questo profilo si registra un’evoluzione in senso positivo. La mediazione e la negoziazione assistita, strumenti alternativi alle liti giudiziarie da ultimo imposti come condizione preliminare obbligatoria per molte azioni civili entro un determinato ammontare, stanno nei fatti indirizzando i professionisti verso campi non più di battaglia, ma di ricerca di una soluzione concordata delle controversie. Tali strumenti alternativi, che funzionano come filtri del primo grado, possono essere stimolati dai giudici delle Corti di merito anche in corso di causa, e si stanno rivelando quali strumenti utili a conseguire una maggiore stabilità degli esiti delle liti. L’opera svolta dai professionisti in tale campo appare decisiva per un mutamento di atteggiamento nel regolare il diritto di accesso alla giustizia, che in futuro dovrà essere normalmente riservato ai casi che richiedano un nuovo precedente o una reale correzione della decisione in sede di appello. È anche logico che il successo della mediazione richiede non solo la presenza di professionisti dediti all’ ascolto dei bisogni e interessi finali delle parti in causa, ma anche la presenza di solidi e certi precedenti giurisprudenziali con cui i professionisti dovranno confrontarsi prima di varcare la soglia delle aule giudiziarie.

 

7. Sotto questo profilo, la realizzazione di un sistema di giustizia solido e largamente condiviso richiede uno sforzo organizzativo interno nel rendere il percorso della giustizia più visibile, conoscibile e trasparente, una volta avviato il procedimento dopo il superamento dei filtri processuali messi a presidio di ogni livello (mediazione o giudizio di ammissibilità dell’impugnazione). In un sistema ove la domanda di giustizia cresce in maniera sempre più esponenziale, i giudici devono pertanto rendere percepibile che la loro attività di “discernimento” si svolge all’interno di un apparato complessivamente affidabile e imparziale e mediante professionisti di indiscussa capacità e alto profilo deontologico. Per giungere a questo livello tuttavia occorre organizzare e strutturare il percorso della giustizia in modo che si renda effettivo e percepibile, a qualunque livello, il diritto di voice (ascolto) di ogni parte del processo.

Anche la forma in tal caso ha la sua importanza. Un procedimento propriamente “dedicato” a ciascun caso toglie spazio ad ogni dubbio sulla capacità del sistema di dare risposte adeguate. In tal senso spetta a ogni giudice amministrare il proprio ruolo in tale direzione, anche quando impone l’applicazione dei filtri al secondo o al terzo livello della giurisdizione. In pari modo, ogni professionista dovrà confrontarsi con l’interesse della parte ad affrontare i costi e i rischi del processo.

In proposito, occorre soffermarsi sulle nuove opportunità e sfide offerte dal processo telematico, oramai obbligatoriamente presente nei due livelli della giustizia ordinaria civile.

Difatti, dopo l’avvio del processo telematico, occorre far sì che il lavoro di razionalizzazione dei procedimenti fatto a monte ai fini di un riordino interno dei ruoli dei giudici, dei fascicoli di parte e dei locali di cancelleria, traspaia anche nel corso dell’udienza, che dovrebbe recuperare la sua dignità da tempo perduta a causa del sovraffollamento dei procedimenti da trattare contestualmente alla stessa data. Tale aspetto formale potrebbe certamente essere meglio regolato per il tramite del processo telematico, il quale si dovrebbe evolvere nel senso di riuscire a dare ordine al corso delle udienze, in modo che a ciascuna parte sia garantito un proprio spazio di ascolto.

 

8. Sotto questo profilo, in termini quantitativi, i giudici italiani risultano ancora troppo sovraccarichi di procedimenti rispetto ai loro colleghi europei, anche se nel panorama europeo risultano progressivamente meglio ricompensati sulla base dell’anzianità di servizio (e non delle funzioni esercitate a vari livelli). Le riforme che hanno attribuito la possibilità di affiancare all’organico dei magistrati ordinari una quota di giudici laici e di tirocinanti, questi ultimi quali giovani assistenti di studio, hanno certamente alleviato il carico di lavoro quotidiano affidato ai giudici togati. Pur tuttavia, molto altro si potrebbe fare per garantire una più razionale distribuzione del carico di lavoro attribuito a ciascun giudice, anche se definire i compiti di un giudice ordinario in termini di minimo carico di lavoro da assolvere, soprattutto di un giudice di livello superiore, si è rivelato un compito assai arduo (e non ancora risolto) per l’organo di autogoverno.

Risulta a tal fine opportuno sottolineare che, nell’ultimo rapporto della CEPJE del 2016, risulta che l’Italia, nonostante i problemi di gestione del contenzioso in termini numerici, affida ai giudici una quota consistente di materie estranee alla giurisdizione, quest’ultima intesa come attività dedita alla soluzione delle controversie e non all’ amministrazione di interessi di pubblica rilevanza (rientranti nella materia di volontaria giurisdizione). Anche sotto questo profilo, pertanto, dovrebbe essere riconsiderata tutta l’attività complessivamente attribuita ai giudici, in modo da garantire che a ciascun giudice sia affidato un equo carico di lavoro esclusivamente giurisdizionale, consono alle funzioni giurisdizionali per cui si è formato.

A parte questo dato sulla composizione del carico di lavoro giurisdizionale di ogni magistrato, molti sono i compiti organizzativi a margine dell’attività giurisdizionale affidati oggi ai giudici a seconda delle personali competenze e funzioni, e la misura e qualità della loro prestazione lavorativa si deve confrontare anche coi tempi richiesti per l’aggiornamento professionale, diventato nel tempo sempre più importante ai fini della progressione in carriera, con l’impegno nell’ addestramento delle nuove leve in collaborazione con le Università e la Scuola Superiore della Magistratura, con l’organizzazione interna del proprio ruolo e dell’ufficio anche per il tramite dei nuovi strumenti informatici che governano il processo.

 

9. In breve, risulta oggi difficile definire la giornata tipo di un giudice ordinario, in modo da poterne misurare l’ effettiva quantità di lavoro svolto, atteso che il lavoro del giudice non si risolve solo nello studio dei procedimenti e nella redazione delle ragioni delle decisioni che nell’ordinamento italiano non sono mai ammesse in forma orale, ma richiede una continua attività di auto analisi (self assessment) del proprio livello di professionalità e dell’organizzazione del proprio lavoro. Senza contare il fatto che il lavoro collegiale, che risulta la regola nel giudizio di appello, richiede una capacità dei singoli di interagire a livello di gruppo che molto spesso viene appresa sul campo e comunque costituisce anch’ essa un metro di valutazione del singolo magistrato ai fini della progressione in carriera (il cui giudizio valutativo è fatto ogni quattro anni dall’organo territoriale del CSM presente in ogni distretto di Corte di appello). Da ultimo, non si può sottovalutare il tempo impiegato dai giudici ordinari per apprendere un nuovo stile di lavoro all’interno dell’ambiente telematico in cui si celebra il processo.

Tutto questo impegno, indirizzato a meglio governare la giustizia, tuttavia, allo stato attuale non si è reso visibile all’esterno e, soprattutto, non traspare nel corso dell’udienza, ove ancora ristretti sono gli spazi di discussione destinati ad ogni controversia, spesso dilazionati in un arco temporale ancora troppo esteso in confronto ad altri paesi europei (circa 200gg per il primo grado e cinque o sei mesi per il secondo grado), fatto che obiettivamente non ingenera fiducia nei fruitori della giustizia, rischiando quindi di azzerare ogni sforzo di rendere la giustizia più efficiente.

 

10. Vi sono comunque margini per un ulteriore miglioramento.

L’era telematica ha certamente imposto maggiore lealtà processuale ai professionisti e un considerevole investimento di energie da parte di tutti i protagonisti del settore nel riconsiderare le regole del processo che si celebra nel nuovo ambiente telematico. Il procedimento digitalizzato in Italia ha avuto successo proprio perché è nato da una spontanea iniziativa delle associazioni forensi e dei giudici che operavano sul campo prima che fosse imposto dall’alto, sul piano legislativo e ordinamentale. Purtuttavia, l’ambito di flessibilità in cui il procedimento telematico è proliferato “a macchia di leopardo” non ha ancora permesso di attuare una riforma sostanziale e organica del processo, in quanto i vecchi istituti (e costumi) processuali si sono in qualche modo adattati all’ambiente telematico.

Il processo telematico, una volta avviato, non può però limitarsi a regolare le notificazioni degli atti e dei provvedimenti giudiziali, l’invio delle memorie e dei documenti nella consolle del giudice e la preparazione dei verbali d’udienza, ovvero in senso più generale non può ridursi a organizzare la digitalizzazione degli atti del processo, ma implica anche la creazione di un nuovo assetto di regole per la conduzione dell’udienza e la redazione dei documenti processuali, i quali debbono ripudiare uno stile troppo personalizzato e procedere con modelli a contenuto standardizzato, almeno per quanto riguarda i procedimenti più semplici e a contenuto seriale. Per tale ragione in alcune Corti d’appello e tribunali si sono formate commissioni di studio sul raccordo tra gli atti del processo e la decisione che probabilmente condurranno alla creazione di nuove regole processuali e non solo di nuove prassi.

In proposito, meriterebbe certamente più attenzione lo studio dell’impatto del processo telematico non solo nell’ attività di organizzazione del ruolo del giudice, assicurando una imparziale distribuzione dei procedimenti, ma anche nella capacità di dare maggior grado di trasparenza e visibilità esterna alle decisioni emesse dai giudici, pur nel rispetto delle esigenze di privacy. Il raggiungimento di questo scopo richiede certamente un maggior grado di intelligibilità e di diffusione delle motivazioni delle decisioni, le quali ultime, per essere fruibili in ambiente telematico, richiedono uno stile di redazione certamente più conciso e strutturato rispetto al passato. A tal fine, potrebbe giungersi alla creazione di svariati modelli di decisione con griglie a contenuto predeterminato, integrabile con il richiamo recettizio dei documenti mediante la tecnica degli hiperlink.

Infine non dovrebbe trascurarsi l’utilità degli strumenti di video registrazione che consentirebbero una fedele trascrizione delle attività espletate nel corso dell’udienza. In alcuni paesi del Sud Est asiatico e in Australia tali strumenti sono stati ben recepiti dai giudici, proprio perché comprimono i tempi di verbalizzazione delle attività processuali che impegnano i giudici. I software a disposizione dei tribunali permettono una trascrizione immediata e fedele di quanto accade nel corso dell’udienza, con minimo impegno da parte dei giudici tenuti a presidiare l’udienza. Anche la produzione dei documenti nel corso dell’udienza viene immediatamente registrata nel sistema e resa visibile a tutte le parti che vi hanno accesso.

Non debbono trascurarsi anche i pericoli insiti nella nuova era digitale. Difatti è possibile pensare che a breve si potranno costruire programmi telematici di automotive justice in grado di creare un’ipotesi di decisione accedendo alla banca dati del procedimento e alle prove raccolte, combinandole coi precedenti in materia. A quel punto occorrerà elaborare un modo per comprimere il rischio di appiattimento decisionale da parte dei giudici, tenuti a decidere secondo le regole del giusto processo in un’ottica di massima garanzia di ascolto e attenzione di ogni istanza di giustizia, in una prospettiva di continuo avanzamento dei diritti individuali e di stretta osservanza della c.d. rule of law.

Questa ultima notazione impone agli operatori del settore telematico e giudiziario di guardare oltre i confini in cui si celebra il processo, l’era digitale implicando una nuova impostazione nella formazione delle nuove leve di giudici, avvocati e specialisti del settore telematico, che saranno pur sempre chiamate a confrontarsi con il grado di incertezza connaturato a ogni giudizio su vicende umane. I futuri professionisti del settore dovranno essere sempre più orientati ad abbinare uno studio teorico-filosofico del diritto a quello super specialistico che sempre più si richiede nell’odierno ambiente professionale digitalizzato. Il che comporta anche un dialogo più stretto e una condivisione di intenti tra università, tribunali e professionisti dei diversi settori legali e digitali.

L’era digitale richiede anche questa sfida intellettuale, e questo dialogo tra differenti professioni e competenze, in modo da scongiurare il rischio di essere sopraffatti da un avvocato robot o da un giudice Leviatano.

In ogni caso è decisivo osservare che anche nel campo dell’amministrazione della giustizia, per quanto ancora racchiusa in vecchi edifici e intrisa di antiche tradizioni (ma finalmente liberata dalla carta), l’era telematica ha sino ad oggi dimostrato che i fatti contano più delle parole.