13 febbraio 2017 |
Rivista italiana di diritto e procedura penale n. 4/2016
Abstract dei contributi
Con l'autorizzazione dell'editore Giuffrè anticipiamo di seguito gli abstract dei lavori pubblicati nell'ultimo numero della Rivista italiana di diritto e procedura penale (n. 4/2016).
NECROLOGI
Patrono P., Ricordo di Giuseppe Zuccalà, p. 1649 ss.
DOTTRINA
Articoli
Kostoris R.E., Equità, processo penale, diritto europeo. Riflessioni di un giurista di civil law, p. 1653 ss.
Si tratta della versione italiana parzialmente rielaborata della lectio doctoralis tenuta dal Prof. Roberto E. Kostoris in occasione della laurea ad honorem in Legum Scientiae conferitagli il 27 ottobre 2016 dall’Università del Vest di Timisoara. Il lavoro si incentra sul canone dell’equità processuale, evidenziando come esso, quale principio centrale del diritto europeo convenzionale, recepito peraltro anche dal diritto dell’Unione, si ponga come parametro ineludibile di riferimento per il giurista continentale, ma, al tempo stesso, risulti per lui tuttora difficile da metabolizzare, in quanto antitetico rispetto alla tradizionale concezione di matrice illuministica in cui egli si è formato del processo inteso come insieme di forme, a loro volta considerate quali irrinunciabili presidi di garanzia per l’imputato. La logica sottesa all’equità si fonda, per contro, su una stretta interrelazione tra fatto e diritto, giocata su bilanciamenti, nella prospettiva di giungere a un esito di ragionevolezza nell’applicazione delle norme processuali. Essa recupera una visione premoderna del fenomeno giuridico, rendendo il giudice custode di un ordine valoriale. Richiede dunque un deciso cambio di paradigma. Ma, al contempo, pone anche il problema di individuare il limite dei poteri del giudice, per evitare che essi possano trasmodare in arbitrio.
Eusebi L., L’insostenibile leggerezza del testo: la responsabilità perduta della progettazione politico-criminale, p. 1668 ss.
Il testo riflette sulla incidenza delle inadeguatezze riscontrabili nell’attività legislativa in materia penale circa le problematiche del c.d. diritto vivente. Viene evidenziato come nodo cruciale il progressivo indebolirsi, non solo in Italia, del ruolo che compete al Parlamento, con una consequenziale subordinazione di fatto del potere legislativo a quello esecutivo. Se ne ravvisa come un effetto particolarmente delicato il persistere di una mancata progettazione politico-criminale che coinvolga i diversi settori dell’ordinamento giuridico: il che favorisce l’enfasi su una legislazione penale sovente di carattere populistico, che si riflette anche nelle modalità di definizione delle fattispecie incriminatrici. Si indicano alcuni criteri intesi a salvaguardare la funzione garantistica del principio di riserva di legge nella prassi giudiziaria.
Romano B., Riflessioni (critiche) sulla grazia, p. 1689 ss.
Nel presente contributo si riflette criticamente sul ruolo e sulla funzione della grazia, che sembra un istituto in gran parte superato dalla evoluzione giuridica e dalla separazione dei poteri. Ciò anche alla luce della considerazione che molte delle esigenze alle quali essa rispondeva sono garantite da altri rimedi giuridici. Pertanto, si propone una modifica dell’istituto, lasciando un limitato spazio applicativo nei casi nei quali vi sia la necessità di concedere la grazia solo per superare condanne definitive che mettano in pericolo la sicurezza dello Stato o i suoi rapporti con i Paesi stranieri.
Foddai M. A., Responsabilità e giustizia riparativa, p. 1703 ss.
Il presente lavoro si sofferma sui significati della responsabilità che emergono dalle pratiche di risoluzione dei conflitti espresse dagli attuali paradigmi di giustizia penale: quello tradizionale retributivo, fondato sul processo, e quello emergente riparativo, fondato su pratiche conciliative, come la mediazione. Questi modelli di giustizia esprimono due differenti concetti di responsabilità: una responsabilità retrospettiva ed una prospettica. Il primo corrisponde al modello giuridico sanzionatorio adottato nel nostro sistema giuridico; il secondo è coerente con il recente paradigma riparativo. Il presente lavoro intende sostenere la configurabilità di un concetto di responsabilità giuridica, concettualmente autonomo rispetto alla pena, che consiste nel dovere di rispondere verso qualcuno per ciò che l’agente ha compiuto. La ‘risposta’ può essere fornita secondo modalità differenti e rivolta a soggetti diversi, come lo Stato, la vittima, la comunità. Sono i modi in cui la risposta dell’agente viene elaborata e condivisa dai suoi destinatari che delineano i caratteri di un nuovo, embrionale, modello di responsabilità che va emergendo dalle pratiche della giustizia riparativa.
Panebianco G., La variabile consistenza delle garanzie penali nella politica criminale europea, p. 1724 ss.
Trascorso qualche anno dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, risulta interessante la verifica dell’inveramento delle garanzie penali nell’attuazione della politica criminale europea attraverso l’analisi degli atti normativi dell’Unione in materia penale ad oggi disponibili. Tuttavia, l’architettura a “sovranità sovrapposte” che caratterizza l’Unione unitamente alla logica funzionalista che ne orienta l’azione impediscono, al livello sovranazionale, di apprezzare le garanzie penali nella medesima consistenza che esse assumono (o dovrebbero assumere) nell’ordinamento nazionale. Si tratta di una considerazione che riguarda, innanzitutto, il principio di legalità sotto il duplice profilo della riserva di legge e della sufficiente determinatezza, ma che trova riscontro anche con riferimento al principio di offensività e ai canoni della proporzione e necessità, che dovrebbero condurre all’impiego dello strumento penale come extrema ratio.
Parisi F. Il contrasto al traffico di esseri umani tra modelli normativi e risultati applicativi, p. 1763 ss.
La lotta al traffico di esseri umani è ormai al centro dell’agenda politica globale. Eppure, esiste una forbice molto ampia tra le ambizioni dei modelli normativi finora elaborati e gli scarsi risultati pratici raggiunti: le condanne per tali reati, infatti, continuano ad essere poche in pressoché tutti gli ordinamenti.
L’Autore, preliminarmente, esamina la più recente normativa internazionale ed europea in argomento, nonché le più importanti pronunce della Corte Edu circa il divieto di schiavitù previsto dall’art. 4 della Cedu. Nel tentativo di apportare un contributo all’individuazione delle ragioni di un tale deficit di risultati, e di proporre potenziali correttivi, sono poi evidenziati alcuni dei principali ostacoli che si frappongono all’attuazione della strategia multilivello delle c.d. “4 P.” (prevention, prosecution, protection and partnership). Infine, l’ordinamento italiano è considerato come specifico banco di prova per la valutazione dei modelli normativi anti-trafficking.
Siracusa L., L’imprenditore estorto “acquiescente” tra coazione morale e libertà del volere, p. 1803 ss.
La varietà dei comportamenti che gli studi socio-criminologici individuano come peculiari dell’agire mafioso si riflette in maniera significativa sui modi di manifestazione delle tipologie di reato tradizionalmente proprie della criminalità organizzata di stampo mafioso, come le estorsioni. In questo ambito infatti, i contorni delle condotte di autori e vittime divengono talvolta tanto sfumati da complicarne l’inquadramento entro le categorie del diritto penale. Il saggio, valorizzando gli esiti di una ricerca multidisciplinare sulle dinamiche del fenomeno estorsivo di matrice mafiosa nel meridione di Italia, intende per l’appunto individuare i punti di “contatto” e i punti di “frizione” tra discorso giuridico e discorso sociologico sulla posizione delle vittime dell’estorsione mafiosa. In particolare, a partire dalla figura del c.d. “imprenditore acquiescente”, questo contributo: a) ricostruisce il tipo di interazione rinvenibile tra le condotte dei c.d. imprenditori “acquiescenti”, da un lato, ed il “metodo” utilizzato dalla mafia nell’attuazione della pretesa estorsiva, dall’altro lato; b) verifica la possibilità — ossia la “tenuta teorica”, alla stregua dei “dogmi penalistici” — di attribuire una qualche rilevanza penale ai “motivi” che determinano le scelte di comportamento delle vittime (o presunte tali); c) analizza la prospettiva di valorizzare il ruolo che i suddetti motivi svolgono ai fini di una diversa qualificazione penalistica della condotta dell’estorto, che potrebbe così passare dall’essere considerato “soggetto passivo” del reato di estorsione al venire addirittura eventualmente sanzionato.
Della Torre J., Il paradosso della direttiva sul rafforzamento della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali: un passo indietro rispetto alle garanzie convenzionali?, p. 1835
L’articolo si prefigge di studiare la direttiva 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo. Nel corso del lavoro viene, anzitutto, presentato l’articolato cammino che ha portato all’adozione dell’atto europeo, tenendo in particolare considerazione quanto le negoziazioni inter-istituzionali abbiano influito sugli obiettivi originari che la Commissione si era preposta di raggiungere. A tale parte introduttiva segue un esame delle maggiori criticità esegetiche sollevate dalla versione definitiva del provvedimento, la cui risoluzione pare essenziale anche in vista della sua futura attuazione negli ordinamenti nazionali. Lo scopo è quello di verificare se il nuovo strumento di armonizzazione minima abbia innalzato il livello delle garanzie processuali all’interno dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia o vada, invece, classificato tra le occasioni perdute.
Donelli F., Circostanze del reato e “tipicità negata” nella recente riforma del diritto penale degli stupefacenti, p. 1879 ss.
Il lavoro si occupa dei principali obbiettivi concreti del diritto penale degli stupefacenti: escludere il consumo ricreativo dalla sfera di rilevanza penale e distinguere le condotte gravi di interazione con la droga da quelle lievi. Si cercherà di dare atto del perché oggi la ragionevolezza dell’intero sistema punitivo sia retta da una fattispecie di reato — quella di cui al comma 5 — che, per la sua indeterminatezza, sarebbe essa stessa incostituzionale, con l’intento di recuperare una critica afferente ai difetti di tipicità del sistema e di sostenere l’improcrastinabilità di una riforma, indicandone la direzione. Le tre parti del lavoro, sebbene collegate, sono autoconclusive: la prima mette in luce la doppia faccia della condotta di detenzione; la seconda spiega la natura di diversivo del comma 5; la terza denuncia la complicità della categoria delle circostanze del reato nel rendere un’illusione di tipicità in prospettiva intertemporale.
Sorbello P., Politica criminale ed osservanza delle regole. Riflessioni su limiti e possibilità di conversione al razionale dei comportamenti, p. 1914 ss.
Nell’orientare la politica criminale l’analisi economica può offrire soluzioni per prevenire comportamenti irrazionali secondo l’utilità generale e favorirne altri, successivi e razionali per l’utilità individuale. In un paradigma sanzionatorio ove punizione e riparazione interagiscono, questo metodo supera l’ambito (oggettivo) del diritto penale dell’economia e volge al profilo (soggettivo) dell’agente razionale che è tale anche se non persegue un vantaggio, ma vuole solo allontanare o attenuare le conseguenze negative. Tali soluzioni poggiano sulla personalizzazione della sanzione e la resipiscenza mediante condotte riparatorie stimolate se non da una recuperata condivisione dei valori, da una calcolata convenienza. L’attenzione alle tradizionali categorie dogmatiche ed al sapere scientifico extrapenale può efficientare il sistema con la consapevolezza che spetta al legislatore individuare il giusto equilibrio tra razionalità di scopo delle norme penali e rispetto dei diritti fondamentali.
Note a sentenza
Dolcini E., Pene edittali, principio di proporzione, funzione rieducativa della pena: la Corte costituzionale ridetermina la pena per l’alterazione di stato, p. 1956 ss.
La cornice edittale dell’alterazione di stato mediante falsità torna al vaglio della Corte costituzionale, che, diversamente dal 2007, pronuncia una sentenza di accoglimento parziale, ritenendo le pene edittali dell’art. 567 co. 2 c.p. manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità dell’illecito: soprattutto la pena minima appare irragionevolmente elevata. Accanto all’art. 3 Cost., un ruolo rilevante, nella decisione della Corte, svolge la funzione rieducativa della pena, che — sottolinea la sentenza — implica pene legali comprensibili da parte dal condannato. Considerato che le fattispecie di alterazione di stato previste nei due commi dell’art. 567 c.p. sono “non del tutto disomogenee”, la Corte conclude estendendo all’alterazione di stato mediante falsità il trattamento sanzionatorio previsto per l’alterazione di stato mediante sostituzione del neonato.
Demuro G.P., Dolo d'impeto, aggravante della crudeltà e componenti impulsive della condotta, p. 1975 ss.
La crudeltà nella realizzazione del fatto assume particolare rilievo nel reato d’impeto, essendo discusso se essa valga come circostanza aggravante o si confonda col dolo. La giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione introduce la variante delle componenti impulsive della condotta, un concetto a sé, che si distacca anche dal vizio di mente. Nel lavoro vengono analizzate le diverse componenti psichiche che pure possono esistere nel breve lasso di tempo del reato d’impeto, arrivando alla conclusione della compatibilità del dolo d’impeto con l’aggravante della crudeltà giacché operano su piani diversi, e assegnando anche uno spazio — tra gli stati emotivi e passionali non costituenti vizio di mente — ai tratti impulsivi della condotta. Ogni distinzione si basa su specifici indicatori tratti dalle modalità del fatto: tra questi indicatori, quello di più difficile inquadramento è proprio il più frequente, oggetto della sentenza commentata, cioè la reiterazione dei colpi.
COMMENTI E DIBATTITI
Insolera G., Dall’imprevedibilità del diritto all’imprevedibilità del giudizio, p. 1999 ss.
Tra gli ulteriori contributi presenti nel fascicolo della Rivista, oltre alle consuete rassegne di giurisprudenza costituzionale e di giustizia penale sovranazionale, si segnalano, nella Rassegna bibliografica, le recensioni delle seguenti monografie:
Canestrari S., Principi di biodiritto penale, Il Mulino, Bologna, 2015, pp. 104. (C. Cupelli)
Della Bella A., Il “carcere duro” tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali. Presente e futuro del regime detentivo speciale ex art. 41 bis o.p., Giuffrè, Milano, 2016, pp. 459. (M. Pelissero)
Mannozzi G.-Lodigiani G.A. (a cura di), Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Il Mulino, Bologna, 2015, pp. 248. (E. Mazzantini)
Mantovani M., Contributo ad uno studio sul disvalore di azione nel sistema penale vigente, Bononia University Press, Bologna, 2014, pp. 157. (S. Santini)
Paliero C.E., Moccia S., De Francesco G., Insolera G., Pelissero M., Rampioni R., Risicato L. (a cura di), La crisi della legalità. Il « sistema vivente » delle fonti penali. Atti del convegno dell'Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale - Napoli, 7-8 novembre 2014, E.S.I., Napoli, 2016, pp. 388. (G. Puglisi)
Pinto De Albuquerque P., I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni concorrenti e dissenzienti (2011-2015), (a cura e con un saggio di Davide Galliani), Giappichelli, Torino, 2016, pp. 395. (S. Paiusco)
Ruga Riva C., Diritto penale dell'ambiente, Giappichelli, Torino, III ed, 2016, pp. 313. (C. Melzi d'Eril)
Simonetta S. (a cura di), Utopia e carcere, Editoriale Scientifica, Napoli 2015, pp. 222. (G. Mormino)