ISSN 2039-1676


04 luglio 2017 |

Il nuovo art. 13 d.lgs. 74/2000: una norma di favore 'ibrida'?

Nota a Cass., sez. III, sent. 12 aprile 2017 (dep. 15 giugno 2017), n. 30139, pres. Savani, Rel. Gai, Imp. Fregolent

Contributo pubblicato nel Fascicolo 7-8/2017

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1. Tra gli elementi più interessanti della recente riforma in materia penal-tributaria ad opera del d. lgs. 158/2015[1] vi è senza dubbio l’introduzione, nell’art. 13 d. lgs. 74/2000 - totalmente riformulato dall’art. 11 d. lgs. n. 158/2015 -, di due distinte ipotesi di non punibilità in seguito al pagamento integrale del debito tributario: il comma 1 del nuovo art. 13 d. lgs. 74/2000 prevede che i reati di omesso versamento delle ritenute dovute o certificate (art. 10-bis), di omesso versamento di Iva (10-ter) e di indebita compensazione (10-quater, comma 1) non sono punibili qualora l’imputato estingua i relativi debiti tributari - comprensivi di sanzioni amministrative ed interessi - prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Può essere inoltre concesso, ai sensi del comma 3 dell’art. 13 cit., un termine di tre mesi - prorogabile una sola volta per un ulteriore trimestre - ove nella medesima fase processuale il debito tributario sia in corso di estinzione mediante piano di rateizzazione per il pagamento del residuo.

In assenza di disciplina transitoria, uno degli aspetti maggiormente problematici del nuovo art. 13 d. lgs. 74/2000[2] concerne l’applicabilità della richiamata causa sopravvenuta di non punibilità ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d. lgs. 158/2015. La questione ha determinato, sin dall’introduzione della norma, contrastanti soluzioni interpretative in seno alla dottrina e alla giurisprudenza, di merito e di legittimità.

Nella pronuncia qui commentata la Cassazione, discostandosi dal proprio precedente orientamento[3], estende l’operatività della norma ai procedimenti pendenti, a condizione che il pagamento integrale dell’obbligazione tributaria sia intervenuto prima dell’apertura del dibattimento.

 

2. Iniziamo dai fatti alla base della sentenza.

L’imputato veniva condannato in primo e in secondo grado per il reato di cui all'art. 10-bis d. lgs. 74/2000, in relazione all'omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate in veste di sostituto d'imposta.

La difesa proponeva ricorso per Cassazione sulla base dei seguenti motivi:

- violazione dell'art. 2 c. 4 c.p. e del principio di retroattività della lex mitior di cui all'art. 7 CEDU: il ricorrente affermava di aver chiesto in grado di appello, alla prima udienza utile, il rinvio del processo ai sensi dell’art. 13, c. 3, d. lgs. 74/2000, per poter estinguere il debito tributario mediante il piano di rateizzazione già ottenuto - del quale aveva corrisposto la prima rata - così da beneficiare della causa di non punibilità contemplata dalla richiamata disposizione di favore, ma la Corte territoriale aveva respinto tale richiesta;

- vizio di motivazione per avere la Corte d'Appello affermato la responsabilità in assenza di prova di un elemento costitutivo del reato, ovvero l’avvenuto rilascio delle certificazioni ai lavoratori;

- insussistenza dell'elemento soggettivo del reato in presenza di una crisi di liquidità della società, che non avrebbe consentito l'adempimento dell'obbligazione tributaria;

- quanto alla correlata confisca per equivalente, il ricorrente rilevava che la stessa era stata erroneamente estesa all'intero ammontare del debito tributario - non scomputando la somma relativa ai ratei versati - e disposta nei confronti del legale rappresentante della società contribuente, in assenza di verifica della possibilità di procedere a confisca diretta del profitto del reato nei confronti della persona giuridica;

- eccessività del trattamento sanzionatorio.

La Suprema Corte ritiene fondato il secondo motivo di ricorso e annulla con rinvio la decisione impugnata, dichiarando assorbite le altre doglianze ed in particolare la prima, con cui il ricorrente chiedeva l'applicazione dell'art. 13 d. lgs. 74/2000, questione rispetto alla quale i giudici di legittimità forniscono nondimeno importanti indicazioni ermeneutiche.

 

3. La parte motiva della sentenza è articolata in due sezioni.

3.1. In prima battuta la Cassazione ribadisce l’orientamento ormai consolidato in tema di onere della prova della condotta omissiva nella vigenza della precedente disciplina, affermando il seguente principio di diritto: “nel reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all'art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 nella precedente formulazione applicata al caso in esame ratione temporis, spetta all’accusa fornire la prova dell'elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate e tale prova non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro[4].

Nel giungere a tale conclusione viene utilizzato un argumentum a contrario desunto dalla novella di cui al d. lgs. 158/2015, che ha inserito la dichiarazione annuale del sostituto d’imposta accanto alla certificazione rilasciata ai sostituiti, intendendo estendere la rilevanza penale anche alle ipotesi di omesso versamento di ritenute sulla base della dichiarazione mod. 770. Tale addizione testuale comporta - secondo i giudici di legittimità - la conclusione per la quale la precedente formulazione della fattispecie racchiudeva nel proprio perimetro di tipicità soltanto l'omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata dai sostituti d’imposta, il che richiede, sotto il profilo probatorio, la dimostrazione dell’avvenuto rilascio della certificazione medesima ai sostituiti.

3.2. Nella seconda parte della motivazione il Supremo Collegio statuisce che la causa di non punibilità ex art. 13 d. lgs. 74/2000 trova applicazione ai fatti antecedenti al d. lgs. 158/2015 e ai procedimenti in corso all’entrata in vigore della riforma, anche qualora sia già stato aperto il dibattimento di primo grado, sempre che, entro tale data, il debito tributario, comprensivo di sanzioni amministrative e interessi, risulti integralmente estinto.

Pur dando atto dell’esistenza di un diverso orientamento (di cui è espressione Cass., sent. 40314/2016, cit.), la Cassazione ritiene di discostarsene richiamando altro precedente, espressione di un’ermeneutica alternativa[5].

L’iter argomentativo seguito in questa parte può essere sintetizzato nei seguenti punti:

- la Suprema Corte ritiene che la norma di favore di cui al nuovo art. 13 d. lgs. 74/2000 non può essere ricondotta all'alveo dell'art. 7 CEDU, che concerne – in base all’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo – le sole “disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono[6], mentre una causa di non punibilità, lasciando intatta l’illiceità della condotta, esclude la sola assoggettabilità dell’imputato alla pena per ragioni politico-criminali di opportunità individuate dal legislatore;

- la retroattività della lex mitior comporta d’altronde l’applicabilità della disposizione più favorevole anche ai fatti che si sono verificati prima della sua entrata in vigore, ma non si estende agli strumenti processuali che ne consentono l’operatività.

Secondo i giudici di legittimità l’art. 13 d. lgs. 74/2000 contiene una doppia previsione, una sostanziale (la condotta riparatoria che estingue il fatto-reato) e una processuale (il pagamento prima dell’apertura del dibattimento). Alla luce di tale assetto normativo, si ritiene insussistente il contrasto con l’art. 7 CEDU con riferimento alla irretroattività della norma penale di favore, poiché la preclusione processuale costituisce una conseguenza del relativo regime temporale, retto dal principio tempus regit actum.

Da ultimo, si sottolinea che l’applicazione retroattiva della causa di non punibilità ai fatti di reato per i quali il pagamento integrale del debito tributario non sia avvenuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento determinerebbe una generalizzata remissione in termini a beneficio di tutti gli imputati che si trovano in tale peculiare situazione, con il rischio di violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevole disparità di trattamento rispetto a coloro che hanno già definito la propria posizione.

 

***

 

4. La sentenza appare degna di nota con riferimento al secondo principio di diritto ivi espresso, in quanto giunge a conclusioni piuttosto originali in tema di successione di leggi penali nel tempo, nel tentativo di colmare una lacuna normativa.

La Cassazione, come detto, attribuisce alla causa di non punibilità prevista all’art. 13 d. lgs. 74/2000 natura “parzialmente processuale”, laddove dispone che il pagamento del debito tributario debba avvenire prima dell’apertura del dibattimento.

L’attrazione di una parte della disposizione nell’ambito di operatività della disciplina delle norme processuali rappresenta tuttavia una soluzione innovativa anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, che in passato non ha per esempio esitato a ricondurre nell’alveo dell’art. 2 c. 4 c.p. la nuova disciplina sulla prescrizione contenuta nella legge “ex-Cirielli”, nonostante la sua applicazione fosse condizionata alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Nei casi scrutinati dal Giudice delle leggi in relazione alla predetta causa estintiva del reato non vi sono invero stati dubbi circa l’applicabilità del regime intertemporale previsto per le norme sostanziali, previa verifica – mediante “vaglio di ragionevolezza” – della circostanza che gli interessi sottesi all’introduzione del discrimen temporale rilevante in quel contesto costituissero ragioni giustificative idonee a derogare la retroattività della legge sopravvenuta[7].

 

5. Se è vero che il principio di retroattività della lex mitior di cui all’art 7 CEDU - così come interpretato dalla Corte di Strasburgo - concerne “le sole disposizioni relative ai reati e alle pene[8], secondo l’ormai costante orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità italiana il concetto di “disposizione più favorevole” di cui all’art. 2, c. 4, c.p. si riferisce a tutte le norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa, comprese le disposizioni attinenti alle cause di estinzione del reato o alle cause di non punibilità[9].

Che al novellato art. 13 d. lgs. 74/2000 possa essere attribuita natura sostanziale di causa di non punibilità si desume dalla ratio sottesa alla sua introduzione, rinvenibile nella scelta politico-criminale di “concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’Erario prima del processo penale[10]. Tale tesi è inoltre corroborata da un riscontro sistematico: come emerge dalla Relazione illustrativa, la disposizione è inserita all’interno di una riforma il cui obiettivo era quello di sottrarre dall’area del penalmente rilevante condotte caratterizzate da un disvalore diverso e minore[11]. Si potrebbe così argomentare che il nuovo istituto, ancorché espressione di esigenze di deflazione del processo penale, costituisca a tutti gli effetti il frutto di una valutazione legislativa sull'opportunità di punire l'autore di un fatto antigiuridico colpevole a fronte di una condotta reintegrativa ex post del bene giuridico leso.

 

6. L’interpretazione offerta dalla Suprema Corte nella sentenza in commento potrebbe, per contro, sollevare dubbi di incostituzionalità con riferimento al principio di eguaglianza-ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che - secondo l’orientamento pressoché unanime della dottrina penalistica italiana - garantisce copertura costituzionale al canone di retroattività della lex mitior aggiuntiva e con portata più ampia rispetto all'ambito coperto dagli artt. 11 e 117, c. 1, Cost. quali parametri da utilizzare per dare ingresso nell’ordinamento domestico all’art. 7 CEDU[12]. A fronte di una mutata valutazione del legislatore in ordine al disvalore del fatto, l'individuazione del momento della dichiarazione di apertura del dibattimento quale discrimen temporale per l’operatività retroattiva della causa di non punibilità creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti responsabili della medesima violazione, in ragione della diversa fase processuale in cui essi si trovino.

 

7. Risulterebbe, altresì, improprio parlare di indebita ‘remissione in termini’, in considerazione del fatto che il nuovo art. 13 ha introdotto un incentivo all’adempimento dell’obbligazione tributaria ben maggiore rispetto a quello previsto dalla precedente fattispecie attenuante, non essendo più in gioco il “quantum” del trattamento sanzionatorio, ma l’“an”, come già rilevato dalla giurisprudenza di legittimità[13].

 

8. Il principio di economia processuale che informa la nuova disciplina potrebbe, al più, essere valutato alla stregua di un “interesse di analogo rilievo” rispetto al principio di retroattività della norma di favore, apparendo per contro una forzatura qualificare lo stesso quale indice sintomatico della natura “parzialmente processuale” della disposizione. L’utilizzo del criterio della ragionevolezza troverebbe in questa sede piena legittimazione, ancor più se si considera che esso viene utilizzato dall'ormai consolidata giurisprudenza costituzionale quale parametro per giustificare l'effetto in malam partem determinato dalle decisioni ablative delle norme penali di favore[14]. La prevalenza nel caso in esame dell'uno o dell'altro interesse deve essere frutto di un'attenta valutazione, posto che - come si evince dai precedenti del Giudice delle leggi - l'esito varia sensibilmente in funzione dell'importanza dei valori in gioco.

 

9. In conclusione, pur apparendo chiare e, in certa misura, condivisibili le ragioni sottostanti all’impostazione prospettata nella sentenza in commento (id est: circoscrivere l’operatività retroattiva della nuova disposizione di favore, in virtù di considerazioni prettamente politico-criminali), l’iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte determina l’insolita qualificazione di una causa di non punibilità quale “parzialmente processuale”. Da tale approccio derivano peraltro conseguenze singolari: la norma retroagisce infatti soltanto in parte, nella “quota” sostanziale, mentre sul versante processuale opera lo sbarramento del tempus regit actum, il che determina non pochi dubbi circa la conformità a Costituzione della norma così interpretata.

 


[1] Per un primo commento del d. lgs. 24 settembre 2015, n. 158 cfr. S. Finocchiaro, La riforma dei reati tributari: un primo sguardo al d.lgs. 158/2015 appena pubblicato, in questa Rivista, 9 ottobre 2015.

[2] La disposizione in esame ha in effetti sollevato ulteriori problematiche, anche di rilevanza costituzionale, in merito alla sua portata applicativa. Per approfondimenti v. S. Finocchiaro, La nuova causa di non punibilità per estinzione del debito tributario posta al vaglio della Corte costituzionale da un’ordinanza del tribunale di Treviso, in questa Rivista, 4 aprile 2016; P. Farci, La Corte d'Appello di Milano ridisegna i contorni della nuova causa di non punibilità dell'art. 13 D.Lgs. 74/2000, in questa Rivista, 19 maggio 2017.

[3] V. Cass. pen., sez. III, 30 marzo 2016 (dep. 28 ottobre 2016), n. 40314, Pres. Grillo, Est. Riccardi, Imp. Fregolent, in CED Cass., rv. 267807.

[4] Cfr. Cass. pen., sez. III, 1.2.2017, n. 30806, par. 9.

[5] Cass. pen., sez. III, 01 febbraio 2017 (dep. 28 marzo 2017), n. 15237, Pres. Di Nicola, Est. Mengoni, Volanti, in CED Cass., rv. 269653.

[6] Cfr. Corte EDU, 27 aprile 2010, Morabito c. Italia; Corte EDU, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia. Sulla retroattività della legge penale più favorevole tra fonti interne e sovranazionali v. F. Viganò, Retroattività della legge penale più favorevole, in questa Rivista, 20 dicembre 2013. Sul principio di retroattività della lex mitior nella Convenzione EDU cfr. L. Bin., “Formula di Radbruch”, principio di irretroattività e lex mitior, in questa Rivista, 9 aprile 2014.

Per approfondimenti sulle ricadute nell’ordinamento italiano v., ex multis, F. VIGANÒ, La Corte costituzionale sulle ricadute interne della sentenza Scoppola della Corte EDU, in questa Rivista, 19 luglio 2013.

[7] Cfr. Corte cost., sent. 12 marzo 2008 (dep. 28 marzo 2008), n. 72, in www.cortecostituzionale.it;; Corte cost. sent. 23 ottobre 2006 (dep. 23 novembre 2006), n. 393, in www.cortecostituzionale.it;. Sul punto, per approfondimenti, v. D. Pulitanò, Deroghe alla retroattività in mitius nella disciplina della prescrizione (nota a C. Cost. 23 novembre 2006, n. 393), in Dir. pen. proc., 2007, 198 ss.; Id., Retroattività favorevole e scrutinio di ragionevolezza, in Giur. cost., 2008, pp. 946 e ss.; O. MAZZA, Il diritto intertemporale (ir)ragionevole (a proposito della legge ex Cirielli) (nota a C. Cost. 23 novembre 2006, n. 393), in Cass. pen., 2007, 439 ss.

[8] Come chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza impugnata, par. 10.1, che richiama Corte EDU, sent. 27 aprile 2010, Morabito c. Italia; sent. 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia. Nello stesso senso cfr. Corte cost., sent. 19 luglio 2011 (dep. 22 luglio 2011), n. 236, par. 12, in www.cortecostituzionale.it.

[9] Cfr. ex multis, Corte cost., sent. 22 luglio 2011, n. 236, in www.cortecostituzionale.it; Corte cost., sent. n. 72/2008, cit.; Corte cost., sent. n. 393/2006, cit. Sul punto cfr., altresì, D. Pulitanò, Sui rapporti fra diritto sostanziale e processo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 951 ss.; L. Puccetti, Non punibilità per particolare tenuità del fatto: natura sostanziale e applicazione retroattiva ai procedimenti in corso - nota a Cass. pen., sez. III, sent. 15449/2015, in Proc. pen. giust., 2015, 71 ss..

[10] Cfr. p. 8 della Relazione illustrativa. V., altresì, Relazione della Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario, n. III/05/2005, par. 11.

[11] Cfr. p. 1 della Relazione illustrativa.

[12] Per approfondimenti v. F. Viganò, Sullo statuto costituzionale della retroattività della legge più favorevole, in questa Rivista, 6 settembre 2011.

[13] Cfr. Cass. pen., sez. III, 30 marzo 2016, n. 40314, par. 4.

[14] Per approfondimenti in merito al vaglio di ragionevolezza nel sindacato di costituzionalità delle norme penali di favore, cfr. G. Marinucci, Il controllo di legittimità costituzionale delle norme penali: diminuiscono (ma non abbastanza) le «zone franche», in Giur. cost., 2006, 4160 ss.; D. Pulitanò, Principio di eguaglianza e norme penali di favore (Nota a Corte cost. num. 393-394 del 2006), in Corr. mer., 2007, 209 ss.; C. Pecorella, Pronunce in malam partem e riserva di legge in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 343 e ss.; V. Manes, Norme penali di favore, no della Consulta, in Dir. giust., 2006, 34 ss.; M. Gambardella, Specialità sincronica e specialità diacronica nel controllo di costituzionalità delle c.d. norme penali di favore, in Cass. pen., 2007, 467 ss.