ISSN 2039-1676


23 maggio 2011 |

Richiesta di estradizione e tutela del bambino di età  inferiore ai tre anni convivente con la madre: alla ricerca di un compromesso possibile

Nota a Corte d'Appello di Milano, Sez. V, 12.1.2011, Pres. Cerqua, Est. Nova

La Corte d’appello di Milano, nella sentenza oggetto della presente nota, si occupa di una richiesta di estradizione relativa ad una donna polacca condannata per truffa e lesioni personali gravi; nel caso di specie l’autorità giudiziaria straniera ha richiesto l’estradizione e non il mandato di arresto europeo – nonostante la repubblica di Polonia faccia parte dell’Unione Europea – poiché le condanne oggetto dell’istanza di consegna sono risalenti ad un periodo antecedente all’ingresso della Polonia tra gli Stati membri dell’U.E.
 
Per inquadrare meglio i termini della questione posta all’attenzione dei giudici di Milano, giova ricordare che l’istanza di consegna è stata respinta in quanto la donna all’esito del procedimento giurisdizionale era madre di una bambina d’età inferiore a tre anni con lei convivente. Il motivo di rigetto della richiesta di estradizione individuato dalla Corte d’appello non rientra né nelle previsioni della Convenzione europea sull’estradizione, né è contemplato tra le ipotesi di rifiuto contenute nel codice di rito, bensì prende le mosse da una interpretazione analogica – stante l’affinità di materia – della legge 22 aprile 2005, n.69 in tema di mandato d’arresto europeo, in particolare della clausola ostativa disciplinata dalla lettera s dell’art.18, che consente di rifiutare l’esecuzione del MAE nel caso in cui la persona che deve essere consegnata allo Stato estero sia  madre di prole di età inferiore ai tre anni con lei convivente, salvo che, “trattandosi di mandato d’arresto europeo emesso nel corso di un procedimento, le esigenze cautelari poste a base del provvedimento restrittivo dell’autorità giudiziaria emittente risultino di eccezionale gravità”.
 
A ben vedere la clausola ostativa disciplinata dall’art. 18 lett. s tende a scongiurare l’allontanamento della prole dalle attenzioni materne prima del compimento dei tre anni d’età, in modo da evitare che tale separazione possa provocare al bambino gravi lesioni psicofisiche[1] . Quest’ultima si riferisce sia al mandato di arresto richiesto in seguito ad una sentenza di condanna da eseguire, che a quello emesso nel corso di un procedimento penale, dato che la stessa lett. s fa riferimento alla gravità delle esigenze cautelari come condizione per poter far cadere l’operatività della stessa clausola ostativa e permettere così la consegna della madre seppur con prole di età inferiore ai tre anni[2]. Tale indicazione ha suscitato qualche dubbio in dottrina sull’opportunità stessa di una clausola siffatta, poiché l’eventualità che delle esigenze cautelari di particolare gravità facciano venir meno la possibilità di tutelare un bambino in circostanze di questo tipo porta inevitabilmente a riconsiderare la ratio dell’intera clausola ostativa, posto che forse il problema de quo si potrebbe risolvere ugualmente sospendendo il procedimento giurisdizionale[3] dinanzi alla Corte d’appello[4]; del resto come fatto notare da alcuni autori, situazioni simili nel diritto interno[5] “impediscono la limitazione di libertà ma non certo la sottoposizione a processo della persona”[6].
 
Il ragionamento operato dai giudici nella sentenza che si annota s’incardina sull’idea che la tutela dell’infante disciplinata dall’art. 18 lett. s sia essenzialmente il riflesso di un principio generale, suscettibile pertanto di estensione analogica anche in materia di estradizione. Tale pronuncia peraltro fa perno sulla tesi espressa sullo stesso tema da alcune sentenze della Corte di cassazione[7], nelle quali si afferma – così come fatto dalla Corte d’appello di Milano – che la specifica questione della tutela del bambino di età inferiore ai tre anni in caso di richiesta di estradizione della madre debba essere risolta necessariamente attraverso l’interpretazione analogica della clausola di rifiuto contenuta nell’art. 18 lett. s per il mandato d’arresto europeo[8].
 
D’altra parte occorre segnalare come su questo punto la giurisprudenza di legittimità abbia un orientamento “ondivago”, dato che in altre sentenze è stata espressa una posizione diametralmente opposta a quella fatta propria  dalla Corte d’appello nella sentenza che si annota.
 
In quest’ottica la Suprema Corte [9], considera la clausola ostativa contenuta nella lett. s dell’art. 18 come fondata su una logica di cooperazione giudiziaria speciale, giustificata dal fatto che le norme sul mandato d’arresto europeo riguardano specificamente solo gli Stati dell’U.E. e sono finalizzate a rafforzare il rapporto esistente  tra questi in virtù delle forti relazioni di carattere socio culturale che legano i vari Stati appartenenti all’Unione europea. Sicché la diversità tra le due discipline non sarebbe il frutto di una lacuna sistematica della disciplina sull’estradizione contenuta nel codice di rito [10] – da colmare con l’estensione analogica del principio generale contenuto nella lett. s dell’art. 18 MAE – ma scaturirebbe viceversa da una scelta ben precisa fatta dal legislatore, quella cioè  di regolamentare una situazione giuridica – madre di prole con età inferiore ai tre anni – in modo differente per il mandato d’arresto europeo, in conseguenza del differente ambito territoriale di applicazione dell’istituto, visto che, come confermato dalla Corte, l’euromandato “rappresenta un regime speciale di estradizione, caratterizzato da una procedura più agile e snella e attuato sulla base di una decisione quadro, che realizza una collaborazione tra Stati tutti appartenenti all’Unione Europea e in quanto tali aventi una forte affinità giuridica, che trova riscontro in ordinamenti che offrono simili garanzie di natura processuale e sostanziale, fondate su una piena condivisione dei principi di democrazia e di pluralismo”[11].
 
Invero, da ciò che si evince dalla lettura delle sentenze della Suprema Corte che sostengono quest’ultimo orientamento, parrebbe che, nell’escludere l’interpretazione analogica come soluzione ermeneutica della questione giuridica in esame, non si affermi che una tutela ispirata a quella contenuta nella lett. s dell’art. 18 della legge sul mandato d’arresto europeo sia incompatibile in assoluto con la procedura di estradizione[12]: come dire che nei casi in cui ci si trovi di fronte ad una richiesta di estradizione di madre di prole di età inferiore ai tre anni, sarebbe auspicabile quantomeno un’indagine conoscitiva da parte dei giudici[13], volta alla verifica delle condizioni carcerarie garantite dal paese richiedente[14]. Così si è pronunciata di recente la Corte di cassazione, che accogliendo una richiesta di estradizione dal Brasile di una donna con una figlia in tenera età con lei convivente, ha affermato che “non costituisce condizione ostativa all’estradizione la circostanza che l’ordinamento dello Stato richiedente preveda per l’esecuzione delle pene detentive forme di tutela a favore della madre di prole infantile non corrispondenti a quelle previste dall’ordinamento italiano, essendo sufficiente che siano previsti meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l’integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e della stessa famiglia”[15]
 
La sentenza citata da ultimo – esprimendo la necessità di una valutazione in concreto della situazione oggettiva in cui verrebbe accolta la madre col suo bambino una volta estradata nel paese richiedente – si colloca nel solco tracciato dalla Corte costituzionale in materia di estradizione del minorenne con la pronuncia n.128 del 1987[16] sulla legittimità della legge di ratifica del  trattato Italia - Usa del 1973 (non più in vigore)[17]. La Consulta ha affermato la possibilità di rifiutare l’estradizione del minore, allorché lo Stato richiedente non riconoscesse a quest’ultimo un trattamento giuridico differenziato rispetto a quello previsto per gli adulti[18]. In particolare in quell’occasione, la Corte costituzionale non ha considerato compatibile la Costituzione la tutela garantita al minore, poiché  in caso di estradizione quest’ultimo sarebbe stato giudicato da “organi giudiziari ordinari come se fosse adulto” e trattato in fase di esecuzione della pena “senza alcuna cura speciale prevista appositamente per i minori”[19].
 
Tuttavia è necessario rimarcare come la corrispondenza delle condizioni carcerarie garantite dal nostro Stato agli imputati minorenni – intesa cioè come parametro per poter valutare la legittimità della richiestadi consegna fatta da parte di uno paese straniero – sia prevista anche dalla clausola di rifiuto prevista dalla lett. i  dell’art. 18 MAE, giacché quest’ultima indica la non differenziazione del trattamento in carcere tra minorenni e maggiorenni come un ostacolo alla consegna dell’imputato minore di diciotto anni[20].
 
Viceversa, per quanto riguarda l’estradizione, la procedura di consegna di soggetti condannati o processati in paesi diversi dall’Italia – a prescindere dal fatto che siano minorenni o maggiorenni – non viene consentita  dall’art. 705 comma 2 del codice di rito penale  in presenza di condizioni sfavorevoli all’estradando tali da ledere alcuni principi fondamentali riconosciuti dal nostro ordinamento come condizioni coessenziali allo status di condannato o imputato in un processo penale[21]. L’articolo de quo tutela l’imputato verso una richiesta di estradizione all’estero per un procedimento penale che non assicuri il rispetto dei diritti fondamentali – per lo meno in relazione agli aspetti di carattere processuale contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici –, e contro l’esecuzione di una sentenza di condanna che contenga disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Oltre a ciò l’art. 705 comma 2 c.p.p. non permette l’accoglimento dell’estradizione richiesta per reati politici, né la consegna dell’imputato quando questo rischi di subire presso lo Stato richiedente un trattamento discriminatorio o persecutorio legato a motivi di razza, sesso, religione o opinioni politiche, oppure l’esecuzione di una pena crudele, disumana o degradante[22].
 
Non va dimenticato inoltre che la disciplina contenuta nel codice di procedura penale riveste – così come indicato in senso generale dall’art. 696 c.p.p. [23] – un ruolo integrativo rispetto ad eventuali norme delle convenzioni internazionali stipulate in materia di estradizione  tra l’Italia ed altri Stati o norme di diritto internazionale generale, dato che tutta la disciplina relativa ai rapporti internazionali tra Stati è soggetta alla regolamentazione pattizia. 
 
Alla luce delle considerazioni fatte fin’ora pare condivisibile la definizione data alla lett. s dell’art. 18 MAE dalla Corte d’appello nella sentenza che si annota, la quale considera la clausola ostativa de qua come un’espressione del principio generale di tutela della maternità sancito dall’art. 31 comma 2 della Costituzione; all'opposto suscita qualche perplessità l’estensione analogica al procedimento di estradizione della stessa clausola di rifiuto prevista per il mandato d’arresto europeo. Invero, a parere di chi scrive, il fatto che tra i casi di rigetto della richiesta di estradizione disciplinati dall’articolo 705 comma 2 c.p.p. non sia prevista la possibilità di un rifiuto della consegna giustificato dalla necessità di tutelare la madre con prole di età inferiore ai tre anni, dovrebbe essere letta come il frutto di una scelta consapevole, e non come una “mera dimenticanza” da parte del legislatore[24].  Per questo motivo, l’interpretazione indicata dai giudici di Milano come soluzione ermeneutica del caso di specie, non pare l’esegesi più corretta per tutelare il bambino minore di tre anni nel caso in cui venga richiesta l’estradizione della madre; dal momento che il medesimo obiettivo forse poteva essere raggiunto in modo differente, vale a dire con una sentenza di accoglimento della richiesta di estradizione  sottoposta a sospensione dell’esecuzione. In altre parole i giudici, preso atto della situazione oggettiva in cui si trovava la madre, avrebbero potuto interrompere l’attuazione della estradizione concessa, fino al superamento del terzo anno di età della figlia, ottenendo così lo stesso risultato della sentenza in oggetto; id est la tutela della bambina fino all’età di tre anni, prevista dalla legge sul mandato d’arresto europeo.
 
Va rimarcato infine come la stessa considerazione di cui gode lo status genitoriale della madre in situazioni siffatte, dovrebbe essere riconosciuto anche al padre. Invero  nel caso in cui ci fosse un mandato d’arresto europeo o una richiesta di estradizione nei confronti di un padre con bambino di età inferiore ai tre anni, e nella sfortunata ipotesi in cui quest’ultimo rischi di ritrovarsi in uno stato d’abbandono – a causa dell’ impossibilità della madre ad occuparsene, oppure nel caso in cui sia orfano di madre –  sembra corretto asserire come in questi casi la tutela del bambino dovrebbe concretizzarsi anche attraverso il mantenimento di un legame col padre[25]. Del resto tale possibilità non è sconosciuta al nostro ordinamento, dato che l’art. 275 comma 4 c.p.p. disciplinando i criteri di scelta delle misure cautelari prevede che la custodia cautelare in carcere  non possa essere disposta – salvo che esistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza – per la donna incinta o la  madre di prole con età inferiore di tre anni, indicando altresì anche il padre come soggetto legittimato a godere della medesima tutela, nel caso in cui la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.
 
 Pertanto, la clausola ostativa contenuta nella lett. s dell’art.18 sul MAE dovrebbe essere interpretata in senso estensivo[26] – in modo tale da ampliare il più possibile la tutela del minore – con riferimento cioè ad entrambi i genitori, dal momento che un interpretazione strettamente letterale della stessa porterebbe inevitabilmente a non concedere anche al padre un eventuale rifiuto dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo – ovvero dell’estradizione – nel caso in cui fosse l’unico genitore rimasto a potersi occupare della prole con età inferiore ai tre anni.


[1] In particolare, occorre sottolineare come per la crescita del bambino, il raggiungimento dell’età dei tre anni rappresenti un traguardo importante, dato che tappe fondamentali dello sviluppo infantile come lo svezzamento, la deambulazione e il linguaggio si realizzano tutte in questo lasso di tempo. Balbo, Il mandato d’arresto Europeo secondo la legge di attuazione italiana, Torino, 2005, 63.
[2] Battista – Frigo, Cautele particolari se il soggetto è minore, in Guida dir., 2005, n.19, 97.
[3] Marchetti, I primi anni di esperienza del mandato d'arresto europeo, in Processo penale e giustizia europea, Milano, 2010, 107 ss.
[4] La dottrina ha manifestato alcune perplessità in relazione alla natura giuridica della clausola ostativa prevista dall’art.18 lett. s sul mandato d’arresto europeo, dato che “a causa della durata temporanea della situazione, sarebbe stato più opportuno se il legislatore avesse previsto una causa di sospensione del procedimento, piuttosto che prevedere il rigetto della richiesta con conseguente necessità, per l’autorità giudiziaria emittente, di trasmettere un nuovo mandato alla cessazione della causa impeditiva per una nuova valutazione”. Chelo, Il mandato di arresto europeo, Padova, 2010, 266; Marchetti, I primi anni di esperienza del mandato d'arresto europeo, in Processo penale e giustizia europea, cit. , 107 ss. .
[5] Vedi ad esempio la disciplina contenuta nell’art. 275 comma 4 c.p.p. Perduca, sub Art. 18 – Rifiuto di consegna, in Il Mandato di arresto Europeo. Commento alla legge 22 aprile n.69, diretto da Chiavario, De Francesco, Manzione, Marzaduri, Torino, 2006, 320; Sammarco, La decisione sulla richiesta di esecuzione del Mandato d’Arresto Europeo, in Mandato di arresto Europeo e procedure di consegna. Commento alla legge 22 aprile 2005 n.69, a cura di Kalb, Milano, 411; Selvaggi – De Amicis, La legge sul mandato Europeo tra inadeguatezze attuative e incertezze applicative, in Cass. pen., 2005, 1817.
[6] Selvaggi – De Amicis, La legge sul mandato Europeo tra inadeguatezze attuative e incertezze applicative, cit., 1818.
[7] Cass., Sez. VI, 10. 3. 2009, Sava, in C.E.D. cass., 191148; Cass., Sez. VI, 4. 12. 2007, Konchanska, in C.E.D. cass., 239145. 
[8] Cass., Sez. VI, 4. 12. 2007, Konchanska, cit. .
[9] Cass., Sez. VI, 26. 11. 2009, Benevides,  in Giust. pen., IV, 2010, 286; Cass., Sez. VI, 31. 10. 2006, Socchiu, in C.E.D. cass., 235445. 
[10] Chelo, Il mandato di arresto europeo, cit., 266.
[11] Cass., Sez. VI, 31. 10. 2006, cit. .
[12] Cass., Sez. VI, 19.1.2004, Spika, in Cass. pen., 2005, 2626.
[13] La richiesta di informazioni dovrebbe essere fatta dalla Corte d’appello solamente nei confronti di Stati rispetto ai quali si nutrono dei dubbi in relazione alle condizioni garantite dai penitenziari per le madri con prole in tenera età. Peraltro la dottrina indica la verifica fatta in concreto – non limitata cioè ad un analisi meramente formale delle norme – presso lo Stato richiedente, come metodo per controllare l’eventuale pericolo di atti discriminatori a danno dell’estradando, in tal senso vedi; Marchetti, L’estradizione: profili processuali e principio di specialità, Padova, 1990, 61.
[14] Perduca, sub  Art. 18 – Rifiuto di consegna, cit., 320.
[15] Cass., Sez. VI, 26. 11. 2009, cit. .
[16] Corte cost., n.128, 15.4.1987, in Riv. Pen., 1987, 825.
[17] Pisani, Italia – Stati Uniti: cooperazione in materia penale, Milano, 2007, 93; Ricciotti, La giustizia penale minorile, Padova, 2007, 30.
[18] Marchetti, sub art. 705, in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda – Spangher, III, Milano, 2010, 8198.
[19] Corte cost., n.128, 15.4.1987, cit., 826.
[20] Perduca, sub  Art. 18 – Rifiuto di consegna, cit., 327.
[21] Marchetti, sub art. 705, in Codice di procedura penale commentato, cit., 8198.
[22] L’art. 698 comma 2 indica anche l’applicazione di una pena di morte come causa ostativa alla concessione dell’estradizione, nel senso che quest’ultima può essere concessa solo se lo Stato richiedente “da assicurazioni, ritenute sufficienti sia dall’autorità giudiziaria sia dal Ministro di giustizia, che la pena capitale non sarà inflitta o, se già inflitta, non sarà eseguita”. Sulla questione è intervenuta la Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il secondo comma dell’art. 698 nella parte in cui condiziona alla semplice valutazione fatta dal Ministro della giustizia o dall’a. g. la consegna dell’imputato nel caso di pena di morte; invero per la consulta il diniego in questi casi dovrebbe avere valore assoluto, e non essere sottoposto a condizioni. Corte cost., n.223, 27.6.1996, in Riv. Pen., 1996, 937;  Marchetti, sub art.698, in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda – Spangher, III, cit., 8150 .
[23] Marchetti, sub art.696, in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda – Spangher, III, cit., 8158 .
[24] Allo stesso modo il legislatore ha scelto – in modo differente da legislazioni di altri paesi – di non inserire nel codice di rito penale la c.d. clausola di umanità, secondo la quale l’estradizione può essere rifiutata “quando rischi di essere troppo gravosa per il soggetto in relazione all’età, allo stato di salute, e gravi ragioni di ordine personale”. Marchetti, sub art.698, in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda – Spangher, III, cit., 8150 .
[25] Sulla questione specifica vedi. Pansini, Il rifiuto della consegna motivato da esigenze processuali, in Aa.Vv., Il mandato d’arresto europeo, a cura di Pansini e Scalfati, Napoli, 2005, 160; Chelo, Il mandato di arresto europeo, cit., 267.
[26] A tal proposito la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 lett. s , per la parte che non prevede un’estensione al padre di prole con età inferiore ai tre anni della clausola ostativa all’accoglimento di un mandato di arresto europeo. Nella pronuncia la Corte ha sottolineato la differenza delle due situazioni, che il legislatore ha voluto diversificare in virtù del legame particolare che lega la madre al proprio figlio in tenera età. Cass., Sez. Fer. , 02. 09. 2008, Zvenka, in C.E.D. cass., 241002.