ISSN 2039-1676


29 febbraio 2012 |

In tema di rifiuto della consegna dello straniero

Nota a Corte di Appello di Napoli, sez. VIII, 21.2.2012, Pres. G. De Carolis di Prossedi, Est. A. Di Salvo

Con la sentenza in commento la Corte di Appello di Napoli, 8ª Sezione Penale, ha rigettato la richiesta di consegna avanzata dalla Romania basandosi sul motivo di rifiuto di cui all'art. 18, comma 1, lett. r), della legge n. 69 del 2005 come interpretato dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 227 del 2010[1]. Trattasi di decisione in virtù della quale si è riconosciuta anche al cittadino di un altro Paese membro dell'Unione Europea la possibilità di richiedere l'esecuzione della pena in Italia in presenza del requisito dello stabile e non estemporaneo radicamento sul territorio dello Stato.

Occorre preliminarmente osservare che la legge italiana di adeguamento alla decisione quadro sul mandato d'arresto europeo[2] contempla, all'art. 18, un catalogo di ipotesi al verificarsi delle quali la Corte d'Appello, autorità giudiziaria competente a decidere in ordine alla consegna, rifiuta di dare esecuzione alla stessa[3]. Orbene, nell'ambito dei casi di rifiuto previsti dal suddetto art. 18, quello di cui alla lettera r) stabilisce che "la corte di appello rifiuta la consegna ... se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno". Tale ipotesi di rifiuto della consegna trova diretto riferimento nell'art. 4, punto 6, della decisione quadro sul mandato d'arresto europeo laddove, tra gli altri casi di rifiuto facoltativo della consegna, è stato inserito quello che si verifica allorquando "il mandato d'arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno".

Il caso di rifiuto in esame abbraccia, dunque, tematiche - quali la cittadinanza europea, il livello di integrazione tra gli Stati membri e la libera circolazione dei cittadini nello Spazio di Libertà Sicurezza e Giustizia - geneticamente connesse con i principi cardine dell'Unione europea.

Orbene, con la sentenza n. 227 del 2010, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera r), della legge di attuazione della decisione quadro sul mandato d'arresto europeo, limitatamente alla parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell'Unione Europea, che legittimamente ed effettivamente risieda o abbia dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno[4].

Come ha chiarito la Consulta nella su menzionata sentenza, infatti, in base alla "ratio della norma della decisione quadro, così come interpretata dalla Corte di giustizia, è agevole dedurre che il criterio per individuare il contesto sociale, familiare, lavorativo e altro, nel quale si rivela più facile e naturale la risocializzazione del condannato, durante e dopo la detenzione, non è tanto e solo la cittadinanza, ma la residenza stabile, il luogo principale degli interessi, dei legami familiari, della formazione dei figli e di quant'altro sia idoneo a rivelare la sussistenza di quel radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in Italia che costituisce la premessa in fatto delle ordinanze di rimessione. Utilizzando il criterio esclusivo della cittadinanza, escludendo qualsiasi verifica in ordine alla sussistenza di un legame effettivo e stabile con lo Stato membro dell'esecuzione, la norma impugnata tradisce, in definitiva, non solo la lettera, ma anche e soprattutto la ratio della norma dell'Unione europea alla quale avrebbe dovuto dare corretta attuazione"[5].

All'autorità giudiziaria competente spetta, pertanto, accertare la sussistenza del presupposto della residenza o della dimora, all'esito di una valutazione complessiva degli elementi caratterizzanti la situazione di fatto in cui versa il condannato, quali, tra gli altri, la durata, la natura e le modalità della sua presenza in territorio italiano, nonché i legami familiari ed economici che intrattiene nel e con il nostro Paese.

Alla luce di quanto finora affermato, dunque, appare estremamente interessante la decisione che in questa sede si commenta, con la quale la Corte d'Appello di Napoli, in accoglimento dell'istanza avanzata dal difensore con il parere favorevole espresso dal Procuratore Generale, ha rigettato la richiesta di consegna avanzata dalla Romania.

In tale decisione, infatti, la Corte ha proceduto ad individuare una serie di elementi caratterizzanti il legame dello straniero con il territorio nazionale: il possesso di un documento ed un codice fiscale italiano; la titolarità di un regolare contratto di affitto; la titolarità di un contratto di lavoro a tempo determinato nonché la sussistenza di stabili rapporti affettivi sul territorio italiano.

Quanto a quest'ultimo elemento, appare utile precisare come sia stato ritenuto un valido elemento di connessione al territorio il solo rapporto affettivo intrattenuto con una persona anch'essa straniera sebbene con stabile dimora in Italia. Appare appropriato sottolineare che, nella specie, il legale affettivo era emerso dinanzi alla medesima Corte allorquando il condannato aveva ottenuto, in sede cautelare, in seguito ad un'istanza avanzata dal difensore, la concessione degli arresti domiciliari proprio presso il domicilio della convivente in virtù di una dichiarazione di disponibilità sottoscritta dalla stessa.

 


[1] La sentenza ha risolto una questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale dalla Corte di Cassazione attraverso quattro ordinanze di rimessione: le n. 298 e n. 305 del 2009 (G.U. 50 E 52 del 2009, 1ª serie spec.), e le n. 10 e n. 45 del 2010 (G.U. 5 e 9 del 2010, 1ª serie spec.).

[2] Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.

[3] Occorre notare che l'elencazione di cui all'art. 18 non esaurisce tutte le ipotesi di rifiuto della consegna. Ulteriori motivi sono previsti, infatti, in altre disposizioni della legge di attuazione. Si consideri l'art. 6, comma 6, relativo alla mancata trasmissione degli atti e dei documenti da parte dell'autorità straniera; l'art. 7, comma 1, concernente l'assenza della doppia punibilità; l'art. 8, comma 3, avente ad oggetto l'ipotesi di ignoranza incolpevole della norma penale dello Stato di emissione da parte del cittadino italiano in relazione ad un fatto non costituente reato in Italia. 

[4] L'ipotesi di illegittimità dell'art. 18, comma 1, lett. r), l. n. 69 del 2005, n. 69, è stata ricondotta ai casi nei quali, secondo la giurisprudenza della Corte, non sussiste il potere del giudice di «non applicare» la legislazione nazionale contrastante con il diritto comunitario, bensì il potere-dovere di sollevare questione di legittimità per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., integrati dalla norma conferente dell'Unione (nel caso di specie l'art. 4, punto 6, della decisione quadro in materia di mandato di arresto europeo 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI); cfr., sul punto, B. PIATTOLI, Mandato d'arresto esecutivo e motivi di rifiuto alla consegna: l'illegittimità costituzionale della mancata estensione della disciplina italiana dell'art. 18, comma 1, lett. r, l. 22 aprile 2005, n. 69, al cittadino di un altro Paese UE residente nello Stato, in Giur. cost., 2010, 3, 2630.

[5] Sui possibili limiti della decisione della Corte Costituzionale con riferimento all'applicazione di tale principio anche nei riguardi dei cittadini extracomunitari cfr. G. COLAIACOVO, Euromandato e cittadini extracomunitari residenti: ancora dubbi dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, in Cass. pen., 2010, 12, 4156.