Con la relazione del mese di aprile 2011 , che può leggersi in allegato, la Commissione europea presenta ai suoi interlocutori istituzionali, Parlamento europeo e Consiglio, le considerazioni sull’attuazione della decisione quadro del 2002 relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri.
La riflessione della Commissione, muovendo da dati statistici, evidenzia tanto gli obiettivi conseguiti dall’Unione attraverso lo strumento del mandato di arresto – tra questi certamente il rafforzamento della libera circolazione delle persone nel mercato unico – quanto i limiti che la stessa misura presenta sopratutto per ciò che riguarda il rispetto dei diritti fondamentali.
I dati statistici presentati mostrano il raggiungimento di una sensibile diminuzione della durata del procedimento. Infatti, prima dell’entrata in vigore del mandato di arresto la durata media dell’estradizione di ricercati era di una anno, mentre ad oggi il tempo medio della procedura di consegna varia da due a sei settimane, a seconda che tale procedura si svolga in presenza o in assenza del consenso della persona ricercata.
Pur considerando la diminuzione dei tempi di consegna come il conseguimento di un importante obiettivo per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione, tuttavia, pare opportuno riflettere, anche in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009 che attribuisce natura giuridica vincolante alla Carta dei diritti fondamentali, sugli effetti che tale strumento di cooperazione giudiziaria determina sui diritti fondamentali.
In tal senso costituiscono elementi di criticità la carenza di accesso all’assistenza legale nello Stato membro emittente, la prolungata custodia cautelare, nonché le condizioni di detenzione in taluni Stati membri (la Corte EDU ha già avuto modo di pronunciarsi negativamente quanto alle condizioni delle carceri di Grecia, Italia e Polonia) ed infine l’applicazione non uniforme del principio di proporzionalità.
Al fine di migliorare l’equilibrio tra l’utilizzo del mandato di arresto e la tutela dei diritti fondamentali, Commissione e Consiglio hanno delineato una tabella di marcia che individua le misure prioritarie: il diritto all’interpretazione e traduzione, sancito dalla direttiva 2010/64/UE; il diritto all’informazione sui propri diritti, l’assistenza legale, nonché la comunicazione con la famiglia e le autorità consolari diplomatiche presso lo Stato membro emittente, su cui vi sono già proposte di direttive da parte della Commissione.
Infine, quanto alla proporzionalità, si sottolinea l’importanza di operare un controllo puntuale di tale elemento nel momento dell’applicazione del mandato di arresto, al fine di evitarne un uso per reati che, sebbene rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 2 (in quanto puniti con una “pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà della durata non inferiore a dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o é stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi”), sono tuttavia da considerarsi reati minori. Per evitare effetti negativi sulla libertà personale, é necessario che gli Stati membri utilizzino lo strumento del mandato in applicazione del principio di proporzionalità ed in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto.
Dall’aprile 2007 la Commissione ha formulato raccomandazioni e richiesto gli Stati membri di apportare modifiche legislative alla normativa interna al fine di garantire un’applicazione uniforme del mandato di arresto. L’analisi delle modifiche legislative mostra che l’Italia ed altri Stati membri, pur essendo stati espressamente chiamati ad attivarsi per conformarsi pienamente alla decisione quadro, non si sono tuttavia ancora adoperati in tal senso.