4 settembre 2012 |
Le Sezioni unite ed un'occasione mancata riguardo alla questione della competenza per l'emissione del mandato di arresto europeo
Cass., Sez. un. pen., 21.06.2012 (dep. 27.07.2012) n. 30769, Pres. Lupo, Rel. Cortese, ric. Caiazzo (sono inoppugnabili il m.a.e. e il provvedimento emesso, anche in forma di m.a.e., dall'autorità giudiziaria italiana nella procedura di estensione attiva della consegna)
1. La sentenza qui pubblicata e commentata viene a chiudere una sequenza processuale complessa, senza per altro risolvere - come vedremo - la questione giuridica risultata controversa. Una ricostruzione critica della vicenda era stata da noi già offerta nel commentare l'ordinanza con la quale la sesta sezione penale della Corte aveva rimesso al ricorso alle Sezioni unite (si veda, volendo, G. ROMEO, Alle Sezioni unite la questione della competenza all'emissione del mandato di arresto europeo, in questa Rivista). Inutile dunque appesantire l'odierna esposizione: torneremo solo brevemente sugli antefatti, per il resto rinviando alla nota che si è appena citata.
2.- Lo stesso giorno del deposito della sentenza in commento, nel sito web della Corte di cassazione è stato pubblicato il seguente abstract ufficiale: "Le Sezioni Unite, chiamate a risolvere un contrasto sulla competenza funzionale ad emettere il mandato di arresto europeo per l'esecuzione di una misura cautelare custodiale, non hanno risolto tale questione, ma hanno affermato il principio secondo cui il m.a.e. emesso dall'A.G. italiana nella procedura attiva di consegna (artt. 28 - 29 - 30 l. 22 aprile 2005, n. 69) ed il provvedimento emesso, eventualmente in forma di m.a.e., dalla stessa A.G. nella procedura di estensione attiva della consegna (artt. 32 e 36 l. cit.) non sono impugnabili nell'ambito dell'ordinamento interno, neanche ai sensi degli artt. 111, comma settimo, Cost. e 568, comma 2, cod. proc. pen., potendo i vizi riguardanti detti atti essere fatti valere solo nello Stato richiesto qualora incidenti sulla procedura di sua pertinenza e secondo le regole previste nel relativo ordinamento".
Non si sarebbe potuto concepire un commento più pertinente, succinto e compendioso della sentenza.
Ma non solo, come si legge nell'abstract, le Sezioni unite, chiamate a risolvere il contrasto sulla competenza funzionale a emettere il mandato di arresto europeo, non hanno risolto tale questione. Esse l'hanno addirittura rimossa in toto, serbando un rigoroso silenzio in oltre undici pagine di motivazione.
Neanche in obiter un cenno, se non altro a dare un input per la risoluzione della questione controversa ed evitare future rimessioni. Eppure, il problema che aveva dinanzi il Collegio - almeno a giudicare dalla conclusione - era di assoluto rilievo processuale: concorso di una nullità assoluta (per una possibile incompetenza funzionale del giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato) con una causa di inammissibilità del ricorso.
Anche a voler considerare "originaria" l'inammissibilità dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, come ritiene la giurisprudenza più recente - secondo un modulo inaugurato da Sez. un., 22 novembre 2000 n. 32, in Cass. pen., 2001, p. 1760, ma nato su un altro terreno e per altri fini - la circostanza che l'argomento era stato oggetto di specifiche decisioni successive, non tutte allineate allo stesso leit-motiv, ma comunque soffermatesi su di esso (Cass., sez. IV, 21 maggio 2008 n. 25644, in C.e.d. Cass., n. 240848) avrebbe dovuto suggerire l'opportunità, quanto meno, di un cenno idoneo a confermare quel che le stesse Sezioni unite (sentenza 25 gennaio 2005 n. 4419, in Cass. pen., 2005, p. 3434, con nota di Mangiaracina), avevano avuto modo di affermare trattando di questione affine: in quell'occasione, pur dichiarando inammissibile il ricorso (per carenza di interesse), esse avevano concluso nel senso che integra una particolare ipotesi di competenza funzionale quella del giudice investito dell'applicazione di pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 e segg. c.p.p., dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio immediato, e che la violazione della relativa disciplina determina una nullità assoluta e insanabile, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo, e, quindi, anche nel giudizio di cassazione. E l'ufficio del massimario - fosse, o non, un obiter l'affermazione - aveva estratto una massima ad hoc (la n. 229981).
Qui, invece, la questione che, se ritenuta fondata, avrebbe potuto condurre - trattandosi di competenza funzionale violata - a ritenere una nullità assoluta, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, si eclissa dietro lo schermo di un'inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi, che, pur dopo il trend avviato una dozzina di anni fa e del quale sopra si è detto, resta la più incerta, insidiosa e discutibile delle "forme" di inammissibilità del ricorso per cassazione (almeno a giudicare dalle abnormi espansioni applicative che ne sono seguite e che lasciano fondatamente pensare a una sua prevalente funzionalità allo scoraggiamento di strumentali dilazioni processuali intese a guadagnare la prescrizione del reato).
Possibile interpretare questo silenzio alla stregua di una conferma implicita dell'irrilevanza della questione sulla competenza, come da noi prospettato nel presentare l'ordinanza di rimessione? È possibile, ma non certo.
È certo, invece, che l'assenza di qualsiasi accenno alla questione non sembra un buon partito, specie dopo che di essa le Sezioni unite avevano dato diligentemente atto nell'incipit del "Considerato in diritto".
Innanzi tutto perché - come, nel racconto della vita del Padre Cristoforo, la rimozione, mediante un prolungato silenzio generale, della parola "mercante" sfuggita a un convitato, in casa di chi non amava l'evocazione di un mestiere odiato, rese l'imbarazzo più manifesto (Manzoni, I Promessi sposi, cap. IV) - così, nella sentenza, un'omissione di tale rilievo ne sottolinea e ne accresce l'importanza.
In secondo luogo, perché si resta al buio sulla sua rilevanza ai fini della decisione.
Infine, e soprattutto, perché la soluzione prescelta (inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi) finisce per apparire censoria nei confronti del provvedimento di rimessione al quale, sia pure non palesemente, viene rimproverato l'omesso rilievo di quella causa di inammissibilità (a nostro giudizio non del tutto certa e/o incontrovertibile).
3. - La sentenza, invece, si dilunga su temi noti, ribadendo un principio mai messo in discussione, quello della non impugnabilità, dinanzi al giudice italiano, del mandato di arresto europeo, neanche a norma degli artt. 111, comma settimo, Cost. e 568, comma 2, c.p.p., potendo i vizi relativi farsi valere solo nello Stato richiesto qualora incidano sulla procedura di sua pertinenza e secondo le regole previste nel relativo ordinamento: inoppugnabilità ritenuta operativa anche per eventuali atti successivi intesi all'estensione attiva della consegna.
Detto ciò, e dato atto di questa sorta di self restraint delle Sezioni unite per definire un caso che verosimilmente non meritava di essere loro sottoposto, pare tuttavia necessaria qualche chiosa ulteriore.
La prima, sulla ritenuta impugnabilità di un decreto della Corte di merito ricognitivo della eseguibilità del provvedimento cautelare; la seconda sulla futura possibilità di rimessione per la questione controversa di cui si discute.
Sul primo punto va preliminarmente ricordato che la Corte d'appello di Napoli, giudice del procedimento, aveva emesso il 7 giugno 2011 mandato d'arresto europeo per reati diversi da quelli per i quali era avvenuta la consegna del ricorrente, e l'autorità giudiziaria straniera, con provvedimento del 10 gennaio 2012, aveva autorizzato quella italiana a giudicare l'odierno ricorrente anche per i reati ulteriori (di partecipazione ad associazione mafiosa ed estorsione) per i quali il 25 marzo 2011 il tribunale di Napoli aveva emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere in relazione a condanna pronunciata il precedente 17 febbraio.
Sulla base della deliberazione del 10 gennaio 2012 di cui sopra, la stessa Corte napoletana il 24 gennaio successivo aveva emesso un atto con cui dava corso all'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare del 25 marzo 2011, sospesa in attesa dell'estensione della consegna da parte dell'autorità giudiziaria dello Stato estero.
Quale fosse la ragione che aveva mosso quella Corte a emettere una delibera ad hoc per "dar corso all'esecuzione" di un titolo già munito, di per sé, di intrinseca forza coercitiva, e non bisognevole, pertanto, di ulteriori atti per essere eseguito, è un fatto non agevolmente comprensibile, avuto riguardo a quanto dispone l'art. 285, comma 1, c.p.p.: difatti, l'ordine agli ufficiali e agenti di p.g. di condurre l'imputato in un istituto di custodia era già contenuto nel provvedimento di custodia in carcere del 25 marzo 2011 e quindi sarebbe bastata una comunicazione del giudice del procedimento alla p.g. o addirittura una autonoma conoscenza, da parte di quest'ultima, del nulla osta dell'autorità straniera per porlo in esecuzione. Delibera, dunque, del tutto superflua e difficilmente configurabile, al contrario di quanto afferma la sentenza ripetendo un'affermazione contenuta nell'ordinanza di rimessione, come provvedimento direttamente incidente sulla libertà personale. Difatti, il provvedimento direttamente incidente sulla libertà personale già esisteva ed era stato a suo tempo oggetto di impugnativa con esito definitivo (sentenza della Corte di cassazione 23 settembre 2011, n. 39240, in Ced. Cass., n. 251366) e con conseguente preclusione endoprocessuale sul punto. In altri termini, sin dal 10 gennaio 2012, e cioè da quando l'autorità dello Stato estero aveva acconsentito all'estensione della consegna, si sarebbe potuto legittimamente arrestare l'imputato senza necessità di ulteriori atti.
D'altra parte, è la stessa sentenza a smentirsi implicitamente, quando afferma che «la decisione della Corte d'appello napoletana in sostanza esprime il riconoscimento della cessazione della preesistente causa di sospensione dell'esecuzione della misura cautelare», e dunque ammette che essa è un mero atto ricognitivo, non dotato, in quanto tale, di forza coercitiva e quindi non incidente direttamente sulla libertà personale.
A voler diversamente opinare, si dovrebbe anche ammettere - considerato che il provvedimento della Corte di merito poteva anche mancare, senza che per ciò l'imputato potesse sottrarsi alla cattura - la possibilità di introdurre un grado ulteriore di impugnazione (il ricorso per cassazione de libertate, come rimedio ex art. 111, Cost.) conseguente alla (solo eventuale) adozione di un provvedimento non necessario da parte di un giudice: il che non sembra proprio in linea con il principio di "legalità" delle impugnazioni.
Non solo. Se, come si afferma, il mandato di arresto europeo diretto a ottenere la consegna oppure la consegna suppletiva dell'imputato non è provvedimento direttamente incidente sulla libertà personale, ai sensi e per gli effetti degli artt. 111 Cost. e 568, comma 2, c.p.p., davvero non si riesce a vedere come possa esserlo un decreto (non previsto da alcuna norma di legge) che si limita alla ricognizione della forza coercitiva propria di altro provvedimento.
D'altronde, se fosse fondata la ricostruzione delle Sezioni unite, non si riuscirebbe a capire quali sarebbero le conseguenze in caso di eventuale accoglimento del ricorso avverso il provvedimento ricognitivo, dato che resterebbe comunque ferma l'ordinanza coercitiva e intatta la sua eseguibilità, quali che siano le ulteriori, e non facilmente immaginabili, attività processuali riservate al giudice di merito.
Entia non sunt multiplicanda sine necessitate: semplicemente la decisione della Corte napoletana è del tutto irrilevante sul piano processuale ed è inoppugnabile. Sotto questo profilo la conclusione delle Sezioni unite è corretta; ma le ragioni della sua esattezza sembrano essere diverse da quelle evocate in motivazione.
Una seconda osservazione riguarda la questione rimessa, e cioè il contrasto, realmente sussistente nella giurisprudenza di legittimità, sulla competenza ad emettere il m.a.e. Di tale contrasto abbiamo scritto nella già citata presentazione dell'ordinanza di rimessione, e qui non mette conto ritornare sul punto, se non per ricordare che le sentenze di opposto segno sono state deliberate tutte dalla prima sezione penale, in sede di risoluzione di conflitto di competenza tra giudici di merito.
In effetti, tenuto conto dell'attuale distribuzione "tabellare" degli affari che attribuisce alla prima sezione penale della Corte di cassazione le decisioni sui conflitti di competenza e alla sesta sezione quelle in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, non può (non potrà) mai accadere che una questione sulla "competenza" ad emettere il m.a.e. possa rilevare, nei thema decidenda di quest'ultima sezione, ai fini di una rimessione della questione controversa alle Sezioni unite. Mentre, com'è ovvio, questo potrebbe accadere nelle questioni che si dovessero presentare, in sede di conflitto, all'esame della prima sezione.