14 novembre 2012 |
Violazione dei diritti fondamentali e rifiuto di consegna nel mandato di arresto europeo
Corte di giustizia UE, Conclusioni dell'Avvocato generale Eleanor Sharpston, 18 ottobre 2012, in causa Radu, C-396/11.
Per leggere le conclusioni dell'Avvocato generale, clicca qui.
1. Il 18 ottobre l'Avvocato generale Eleanor Sharpston ha presentato le proprie conclusioni nella causa Radu, C-396/11, radicata dinanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione europea in seguito ad un'ordinanza del 27 luglio 2011, con cui la Curtea de Apel de ConstanÅ£a (Corte di Appello di Costanza in Romania), ha proposto un rinvio pregiudiziale. Nell'ordinanza di rinvio il giudice a quo ha chiesto di interpretare i rapporti tra la decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (di seguito la Carta) e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (di seguito la CEDU). Nella fattispecie è stata affrontata la questione della compatibilità della decisione quadro con il rispetto dei diritti fondamentali: tema parzialmente già discusso, ma con riguardo a differenti questioni pregiudiziali, nella causa Melloni, C-399/11, in ordine alla quale il 2 ottobre 2012 sono state presentate le conclusioni dall'Avvocato generale e Y. Bot (per un commento vedi D. Savy, La tutela dei diritti fondamentali ed il rispetto dei principi generali del diritto dell'Unione nella disciplina del mandato d'arresto europeo, pubblicato in questa Rivista, paragrafi 1 e 3).
2. In particolare, nell'ordinanza di rinvio il giudice a quo ha chiesto alla Corte in primo luogo se gli artt. 48 e 52 della Carta, in combinato disposto con gli artt. 5 e 6 della CEDU, siano norme di diritto primario dell'Unione europea. Il sig. Radu, cittadino rumeno, soggetto passivo di vari mandati d'arresto europei emessi dall'autorità giudiziaria tedesca nel 2007 e nel 2008, infatti si è opposto alla consegna affermando che, dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona nel 2009, la decisione quadro 2002/584/GAI debba essere interpretata alla luce della Carta e della CEDU; e, dunque, alla luce degli artt. 48 e 52 della Carta e degli artt. 5 e 6 della CEDU. Invero, l'art. 48 della Carta contempla il diritto di difesa mentre l'art. 52 prevede, da un lato, la possibilità di compressione dei diritti fondamentali nel rispetto del principio di proporzionalità e necessità per fini di interesse generale; dall'altro, ove il diritto dell'Unione non voglia assicurare uno standard di protezione più elevato, l'attribuzione ai diritti contemplati dalla Carta, che siano corrispondenti a quelli previsti dalla CEDU, della medesima portata e dello stesso significato riconosciuto ai diritti oggetto della CEDU. A loro volta gli artt. 5 e 6 della CEDU codificano rispettivamente il diritto alla libertà ed all'equo processo.
L’Avvocato generale ha proposto di rispondere al primo quesito nel senso che l'entrata in vigore del trattato di Lisbona non ha modificato il modo in cui i diritti ed i principi fondamentali debbano essere applicati nell'Unione e, pertanto, non ha determinato modifiche circa il modo in cui la decisione quadro debba essere interpretata in relazione alle disposizioni della Carta e della CEDU (cfr. sul punto nota 27 delle conclusioni). L'art. 6, par. 1 TUE, infatti, prevede espressamente che la Carta ha lo stesso valore giuridico dei Trattati, ed è dunque diritto primario; lo stesso articolo, al paragrafo 3, dichiara che i diritti contenuti nella CEDU sono parte dell'ordinamento dell'Unione in quanto principi generali del diritto dell'Unione. D'altro canto, come pure osservato dall'Avvocato generale, già prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona la Corte aveva riconosciuto alla Carta un'efficacia giuridica ricognitiva dei principi generali inerenti allo Stato di diritto e comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati membri (sentenze della Corte di giustizia, 13 marzo 2007, Unibet, C-432/05, e 3 settembre 2008, Kadi, C-402/05 P e C-415/05 P). In proposito, peraltro, deve aggiungersi che già nelle risalenti conclusioni nella causa BECTU, C-173/99, del 2001, l'Avvocato generale Tizzano aveva suggerito alla Corte di riconoscere alle disposizioni della Carta il valore di parametro di interpretazione del diritto dell'Unione, in quanto contenente “enunciazioni che appaiono in gran parte ricognitive di diritti già altrove sanciti” (punto 27 conclusioni BECTU).
Quanto, poi, ai diritti fondamentali contemplati dalla CEDU, l'Avvocato generale Sharpston ha ricordato come la Corte già dalla seconda metà degli anni '60 abbia iniziato a considerarli quali principi generali del diritto dell'Unione (per un'ampia trattazione dell'argomento cfr. L. Daniele, Diritto dell'Unione europea, Milano, 2010, pp. 166 ss.).
3. Con la seconda e la terza questione il giudice rumeno ha chiesto se l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione di un mandato d'arresto ponga in essere un'ingerenza nel diritto alla libertà individuale del soggetto di cui è richiesta la consegna, in violazione degli artt. 6 del TUE, 5 e 6 della CEDU, 48 e 52 della Carta, nel caso in cui vi provveda senza il suo consenso; e se tale ingerenza, per essere giustificata, debba soddisfare i requisiti di proporzionalità e necessità rispetto al fine da conseguire.
L'Avvocato Sharpston ha suggerito ai giudici del Lussemburgo di decidere nel senso che la consegna coercitiva costituisca effettivamente un'ingerenza nel diritto alla libertà dell'interessato; tuttavia, ove siano rispettati i requisiti di necessità e proporzionalità, tale ingerenza sarebbe giustificata ai sensi dell'art. 5, paragrafo 1, lettera f) della CEDU (in dottrina, M. GIALUZ, Commento all’art. 5 CEDU, in S. BARTOLE, P. DE SENA, V. ZAGREBELSKY (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Padova, 2012, pp. 106 ss.), che prevede che la detenzione deve risultare non arbitraria e, pertanto, deve essere stabilita in buona fede ed il luogo, le condizioni, la durata della detenzione devono essere adeguati al fine da perseguire.
4. Con il quarto quesito il giudice nazionale ha interrogato la Corte in ordine alla possibilità per il giudice dell'esecuzione di respingere la richiesta di consegna allorché ritenga che non siano garantite le condizioni previste dagli articoli della Carta e della CEDU inerenti il rispetto della libertà individuale, del diritto di difesa, del diritto all'equo processo, senza con ciò violare gli obblighi sanciti dal Trattato e dalle norme del diritto derivato.
La soluzione prospettata nelle conclusioni pare concedere al giudice dell'esecuzione la possibilità di respingere la richiesta di consegna allorché ravvisi una violazione in atto o anche solo potenziale dei diritti fondamentali sopra menzionati. In capo alla persona di cui si chiede la consegna graverà l'onere di provare che le violazioni lamentate siano talmente gravi da minare l'equità del processo e, qualora si tratti di violazioni già in atto, che esse siano insanabili. La violazione sanabile non sarà pertanto idonea a fondare una richiesta di rifiuto da parte dell'interessato al giudice dell'esecuzione (punti 90 e 91 delle conclusioni).
Pare evidente, anche se l'Avvocato generale non affronta esplicitamente la questione, che la sanabilità o meno di una violazione debba essere rimessa all'accertamento ed alla valutazione del giudice nazionale sulla base delle norme dell'ordinamento interno. Tale soluzione, tuttavia, potrebbe minare l'uniformità di applicazione delle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI. Infatti, la discrezionalità del giudice comune, e le diversità esistenti tra gli ordinamenti nazionali processual penalistici, potrebbero condurre a differenti interpretazioni del concetto di sanabilità delle violazioni dei diritti fondamenali, a detrimento, per l'appunto, dell'uniforme applicazione della disciplina sul mandato d'arresto europeo. Rischio che potrebbe concretizzarsi ove la Corte, nel pronunciarsi, dovesse condividere l'opinione espressa nelle conclusioni dell'Avvocato generale senza definire la nozione ed i casi di sanabilità delle violazioni.
5. Il giudice a quo ha rivolto inoltre alla Corte un quinto quesito concernente la possibilità o meno per l'autorità giudiziaria dell'esecuzione, di rifiutare la consegna invocando il mancato o incompleto recepimento della decisione quadro 2002/584/GAI da parte dello Stato membro di emissione del mandato d'arresto. In altri termini il giudice ha chiesto alla Corte se la omessa osservanza della condizione di reciprocità da parte di uno Stato membro possa fondare un motivo di rifiuto.
Con riguardo alla quinta questione l'Avvocato generale ha proposto di rispondere nel senso che l'inadempimento altrui non giustifica il proprio; per cui, il giudice dell'esecuzione che rifiuti la consegna adducendo, quale esimente della propria responsabilità, la mancata o non corretta trasposizione della decisione quadro da parte dello Stato membro di emissione porrebbe in essere una condotta in violazione del diritto dell'Unione.
D'altronde, com'è noto, nell'ordinamento dell'Unione il principio per cui inadimplenti non est adimplendum non trova applicazione quale causa di giustificazione di un'infrazione da parte di uno Stato membro. La ratio dell'esclusione del principio di reciprocità risiede proprio nelle caratteristiche stesse del sistema dell'Unione. Infatti, i trattati, allo scopo di assicurare un'uniforme e coerente applicazione del diritto, predispongono un sistema di tutela giurisdizionale che contempla le procedure innanzi alla Corte di giustizia finalizzate all'accertamento delle violazioni agli obblighi dell'Unione, nonché all'applicazione delle relative sanzioni ai sensi degli artt. 258-260 TFUE (cfr. M. Condinanzi, R. Mastroianni, Il contenzioso dell'Unione europea, Torino, 2009, pp. 73 s. e la giurisprudenza ivi citata in nota 113).
Infine, il giudice del rinvio ha domandato alla Corte del Lussemburgo se le disposizioni citate della Carta e della CEDU siano in contrasto con il diritto nazionale della Romania e se la decisione quadro 2002/584/GAI sia correttamente trasposta nell'ordinamento rumeno.
L'Avvocato generale Sharpston ha affermato in modo lapidario che il sesto quesito è irricevibile.
È ben noto, infatti, come oggetto del rinvio pregiudiziale di interpretazione siano esclusivamente le norme dell'ordinamento dell'Unione. Ed è altrettanto noto come i giudici nazionali secondo un uso alternativo del rinvio pregiudiziale mirino ad ottenere un giudizio di compatibilità della normativa nazionale con le disposizioni dell'Unione. La Corte, in effetti, tende a fornire criteri interpretativi delle norme dell'Unione che siano di ausilio al giudice interno per valutare la compatibilità delle disposizioni nazionali con l'ordinamento dell'Unione. Tuttavia, in questo caso, l'Avvocato generale ha osservato come il giudice rumeno non abbia fornito sufficienti dati relativi alla normativa interna onde consentire alla Corte un'operazione ermenutica di tal genere; così determinando l'irricevibilità di tale quesito.