ISSN 2039-1676


9 marzo 2014 |

Obblighi di adeguamento al diritto UE e 'controlimiti': la Corte costituzionale spagnola si adegua, bon gré mal gré, alla sentenza dei giudici di Lussemburgo nel caso Melloni

Tribunal Constitucional de España, sent. 13 febbraio 2014, recurso de amparo 6922/2008, Melloni

Per scaricare la sentenza del Tribunal Consitucional spagnolo e le allegate opinioni concorrenti qui presentate, clicca su visualizza allegato.

 

1. Sentenza di grande rilievo per tutto lo spazio giuridico europeo, quella pronunciata dal Tribunal Constitucional spagnolo nel caso Melloni: il primo caso nel quale una Corte costituzionale nazionale ha sottoposto alla Corte di giustizia dell'UE una questione che concerne direttamente la potestà degli Stati membri di far valere 'controlimiti', in materia di tutela dei diritti fondamentali, rispetto agli obblighi di adeguamento  dell'ordinamento nazionale al diritto UE.

Come ricorderanno i lettori più attenti al tema delle interazioni tra diritto interno e diritto UE, la risposta dei giudici di Lussemburgo era stata tranchante: nella misura in cui il diritto UE rispetta i diritti fondamentali tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE (di seguito: CDFUE), lo Stato membro non può rifiutare di adempiere gli obblighi che ne derivano, nemmeno nell'ipotesi in cui tali obblighi risultino in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dal proprio ordinamento costituzionale (cfr. Corte di giustizia UE, sent. 26 febbraio 2013, C- 399/11, Melloni, sulla quale cfr. i contributi di S. Manacorda, Dalle carte dei diritti a un diritto penale à la carte, in questa Rivista, 17 maggio 2013; S. Lo Forte-S. Civello Conigliaro, Cooperazione giudiziaria in materia penale e tutela dei diritti fondamentali nell'Unione europea, ibidem, 3 giugno 2013; G. De Amicis, All'incrocio tra diritti fondamentali, mandato d’arresto europeo e decisioni contumaciali: la Corte di Giustizia e il caso Melloni, ibidem, 7 giugno 2013; C. Amalfitano, Mandato d'arresto europeo: reciproco riconoscimento vs diritti fondamentali?, ibidem, 4 luglio 2013).

La Corte costituzionale spagnola si adegua ora - seppur, come diremo, senza ammetterlo chiaramente, e riservandosi comunque la possibilità di far valere 'controlimiti' in futuro - alla decisione dei giudici di Lussemburgo, almeno con riferimento al caso di specie che aveva dato luogo al rinvio pregiudiziale.

 

2. Per una migliore intelligenza di questa sentenza, conviene sinteticamente ripercorrere la vicenda giudiziaria appena conclusasi.

Il cittadino italiano Stefano Melloni, residente in Spagna, veniva processato in contumacia in Italia per il delitto di bancarotta fraudolenta, e veniva quindi condannato alla pena di dieci anni di reclusione con sentenza del tribunale di Ferrara del 21 giugno 2000, successivamente confermata dalla Corte d'appello e divenuta definitiva nel 2004. Durante l'intero iter processuale Melloni era stato rappresentato da propri avvocati di fiducia, ai quali erano state effettuate tutte le notifiche di rito. In seguito al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, le autorità giudiziarie emettevano mandato di arresto di europeo, effettivamente eseguito dalla polizia spagnola nell'agosto 2008. Il 12 settembre del medesimo anno, la Audiencia Nacional di Madrid ordinava la consegna di Melloni per l'esecuzione della sentenza.

Contro tale provvedimento Melloni proponeva recurso de amparo al Tribunal Constitucional, lamentando la lesione del diritto ad un processo equo garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione spagnola. Più in particolare, il ricorrente invocava due sentenze del Tribunal, pronunciate rispettivamente nel 2000 e nel 2006, con le quali i giudici costituzionali spagnoli avevano affermato che - tanto nell'ambito di comuni procedimenti di estradizione, quanto di procedimenti di esecuzione di mandati di arresto europei -  la consegna ad altri Stati di persone condannate in contumacia viola il diritto di difesa riconosciuto dalla Costituzione spagnola, a meno che lo Stato richiedente assicuri una possibilità di revisione della sentenza, a richiesta del condannato. Nel caso di specie, appariva evidente che una tale possibilità non vi sarebbe stata nell'ordinamento italiano, l'art. 175 c.p.p. non consentendo la rimessione in termini di un contumace che, come Melloni, era stato regolarmente informato del processo a proprio carico, e aveva esercitato il proprio diritto di difesa tramite i propri avvocati di fiducia.

Con ordinanza in data 9 giugno 2011, il Tribunal constitucional decideva di sospendere il procedimento e di formulare rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ex art. 267 TFUE, su tre distinte questioni, che vale qui la pena di rammentare analiticamente.

Con la prima questione (di interpretazione), il Tribunal chiedeva in sostanza se la decisione quadro sul mandato di arresto impedisca alle autorità giudiziarie nazionale di subordinare la consegna di una persona condannata alla condizione che lo Stato richiedente garantisca in ogni caso la possibilità di una revisione del processo, secondo quanto stabilito dalla precedente giurisprudenza dello stesso Tribunal.

Con la seconda questione (di validità), il Tribunal si interrogava se - nel caso di risposta affermativa al primo quesito - la decisione quadro fosse compatibile con i diritti a un processo equo e a una difesa giurisdizionale garantiti dagli articoli 47 e 48 CDFUE.

Infine, con la terza questione (di interpretazione), il Tribunal poneva alla Corte l'interrogativo cruciale se l'art. 53 CDFUE (che come è nota recita: "Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti [...] dalle costituzioni degli Stati membri") consenta allo Stato membro di rifiutare l'esecuzione di un mandato di arresto europeo nei confronti di un condannato contumace nel caso in cui lo Stato richiedente non garantisca in ogni caso la riapertura del processo, e consenta così allo Stato membro di assicurare ai diritti di cui ai citati artt. 47 e 48 CDFUE un livello di protezione più elevato nell'ordinamento interno rispetto a quello assicurato a livello europeo.

 

3. Con sentenza della Grande Sezione pronunciata il 26 febbraio 2013, la Corte di giustizia rispondeva:

- quanto alla prima questione, che la decisione quadro sul mandato di arresto osta, effettivamente, alla possibilità per lo Stato membro di subordinare la consegna del condannato alla condizione che lo Stato richiedente garantisca la riapertura del processo, anche nell'ipotesi in cui il condannato abbia avuto conoscenza del processo e abbia volontariamente rinunciato a difendersi;

- quanto alla seconda questione, che la decisione quadro - così interpretata - è compatibile con i diritti fondamentali di cui agli artt. 47 e 48 CDFUE, che - nell'estensione loro attribuita nello spazio giuridico europeo, sulla base in particolare della giurisprudenza rilevante della Corte di Strasburgo, ai cui standard si attiene la stessa decisione quadro - non ostano alla possibilità che un processo penale venga celebrato in contumacia, allorché l'imputato, debitamente informato del processo, rinunci volontariamente a partecipare in prima persona al processo;

- quanto alla terza e decisiva questione, che l'art. 53 CDFUE non consente allo Stato membro di rifiutare l'esecuzione degli obblighi discendenti dalla decisione quadro per evitare di violare il diritto a un processo equo, così come definito dal proprio ordinamento interno che - in ipotesi - garantisca a tale diritto un maggior livello di tutela rispetto a quello riconosciuto in sede europea.

In parole più semplici, questo il messaggio della Corte di giustizia: la Spagna non può legittimamente rifiutarsi di eseguire i propri obblighi europei, adducendo che tale esecuzione comporterebbe a sua volta la violazione dei diritti fondamentali del signor Melloni, così come riconosciuti nell'ordinamento spagnolo.  L'eventuale apposizione di un 'controlimite', derivante dall'esigenza di preservare il maggior livello di tutela dei diritti a un processo equo garantito dall'ordinamento spagnolo risulterebbe, dunque, in aperto contrasto con il diritto UE, così come autoritativamente interpretato dalla Corte di giustizia.

Più chiari di così si muore, potremmo dire. E, certo, una simile sentenza - paragonabile a un sonoro pugno sul tavolo da parte dei giudici europei - spalancava ai giudici costituzionali di Madrid, che pure avevano avuto la cortesia istituzionale di porre la questione alla Corte di giustizia prima di azionare direttamente i 'controlimiti', un'alternativa imbarazzante: piegarsi al volere dei loro colleghi europei, rinunciando tout court all'idea dei 'controlimiti' a tutela dei propri diritti fondamentali, id est, dei diritti fondamentali nell'estensione loro attribuita dalla Costituzione nazionale; oppure rispondere anch'essi con un pugno sul tavolo, e proclamare la supremazia delle ragioni di tutela dei propri diritti fondamentali sul diritto UE, innescando così un aperto conflitto con la Corte di giustizia.

 

4. Con la decisione ora pubblicata, il Tribunal Constitucional riafferma con forza l'esistenza di invalicabili 'controlimiti' alla cessione di sovranità in favore dell'Unione europea, fondata sull'art. 93 della Costituzione spagnola: controlimiti che non si ricavano dal testo di tale disposizione costituzionale, ma che il medesimo Tribunal ha identificato, nella sentenza n. 1/2004, nel rispetto della sovranità dello Stato, delle sue essenziali strutture costituzionali e del sistema di valori e principi fondamentali consacrati nella Costituzione, tra i quali assumono un rango eminente i dritti fondamentali. Spetta, invero, in prima battuta alla Corte di giustizia - a ciò sollecitata, tra l'altro, a mezzo del rinvio pregiudiziale di validità - assicurare che il diritto derivato dell'Unione rispetti i diritti fondamentali stabiliti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, e consacrati nella CDFUE; ma, quanto meno in ultima istanza, non può non spettare al Tribunal Constitucional il compito di assicurare la supremazia dei valori fondamentali della Costituzione spagnola, nel caso di contrasto insanabile tra questi ultimi e il diritto dell'Unione (§ 3 dei "fondamentos jurídicos").

Nonostante tale (minacciosa) premessa, il Tribunal si guarda però bene, nel caso concreto, dal far valere questi controlimiti. Nel caso di specie - osservano i giudici - ciò di cui si discute è una mera possibile violazione indiretta del diritto ad un processo equo garantito dall'art. 24 della Costituzione spagnola, derivante dalla consegna di una persona a una giurisdizione straniera la quale potrebbe, in ipotesi, rendersi essa stessa responsabile della violazione di tale diritto. In simili casi, argomenta il Tribunal, l'estensione della tutela al diritto in questione può essere più ridotta di quella che deve essere assicurata all'interno della giurisdizione spagnola, non dovendo necessariamente abbracciare tutte le garanzie che la giurisprudenza costituzionale spagnola deduce dall'art. 24, bensì soltanto un nucleo di garanzie elementari che costituiscono l'essenza stessa del "giusto processo", secondo un'accezione diffusa in tutte le tradizioni costituzionali europee. Nella determinazione dell'estensione di questo nucleo minimo (o "contenuto assoluto") del diritto ad un processo equo, un ruolo essenziale deve essere riconosciuto ai trattati internazionali in materia di diritti umani, in particolare alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), così come interpretate dalle Corti di Strasburgo e di Lussemburgo.

Sulla base appunto della (coincidente) giurisprudenza delle due Corti, il Tribunal constitucional afferma allora che il nucleo minimo, assoluto, ad un processo equo implica - invero - in linea generale il diritto di chi sia stato condannato in contumacia ad ottenere che un tribunale si pronunci nuovamente sul merito dopo aver udito l'imputato, a meno che - però - l'imputato stesso, debitamente informato della pendenza del processo a proprio carico, abbia rinunciato volontariamente a comparire in giudizio, facendosi rappresentare e difendere da un avvocato di propria fiducia.

Una tale constatazione induce dunque il Tribunal constitucional a modificare la propria precedente giurisprudenza, e a negare che - in caso di consegna di una persona condannata in contumacia a una giurisdizione straniera - le ragioni di tutela del diritto a un processo equo sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione spagnola impongano di rifiutare la consegna, qualora le autorità giurisdizionali straniere in questione non garantiscano comunque la possibilità di revisione della sentenza, anche nell'ipotesi in cui il condannato fosse debitamente informato del processo e si fosse fatto difendere da un avvocato di fiducia.

Il ricorso di amparo promosso a suo tempo da Stefano Melloni contro la decisione di consegna alle autorità italiane emessa a suo tempo dall'Audiencia Nacional viene, conseguentemente, respinto.

 

5. Con questa decisione, dunque, il Tribunal constitucional evita di azionare i 'controlimiti', pur riaffermandone solennemente l'esistenza in linea di principio; ed opta, piuttosto, per la via dell'overruling della propria precedente giurisprudenza, individuando per la prima volta un diverso standard di tutela del diritto costituzionale al processo equo, a seconda che il diritto debba essere fatto valere all'interno della giurisdizione spagnola, ovvero in relazione a possibili violazione da parte di altre giurisdizioni alle quali una persona sia consegnata: massima espansione della garanzia nel primo caso, tutela di un solo nucleo minimo (o 'assoluto') nel secondo caso.

La distinzione ha, invero, una sua plausibilità: nel momento in cui un ordinamento decide di prestare assistenza giudiziaria ad altri ordinamenti, non può pretendere che il sistema processuale di questi ultimi sia in tutto e per tutto conforme ai propri standard di un 'processo equo', così come elaborati dalla propria giurisprudenza costituzionale; ma deve ragionevolmente accontentarsi della prospettiva che gli ordinamenti cui presta assistenza rispettino un nucleo minimo di garanzie processuali, riconosciute dalla comunità internazionale come coessenziali all'idea di un processo equo. Le specifiche tradizioni costituzionali di uno Stato possono, ad es., considerare come inammissibile l'idea stessa di un giudizio contumaciale, o di un processo penale in cui sia il giudice e non la giuria a pronunciare il verdetto sulla colpevolezza dell'imputato; tuttavia, sarebbe certamente eccessivo voler rifiutare ogni cooperazione con ordinamenti che non condividano questi assunti, ma che comunque rispettino nel loro complesso le garanzie che a livello internazionale connotano l'idea del fair trial.

Non può negarsi peraltro che i giudici costituzionali spagnoli abbiano, con questa sentenza, abbassato il proprio precedente standard di tutela del diritto fondamentale in gioco, adeguandolo al livello riconosciuto in sede europea, in modo da non creare ostacoli al reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia di mandato di arresto europeo.

Ma a tale risultato il Tribunal perviene senza riconoscere di essere vincolato dalla sentenza della Corte di giustizia, sentenza che - anzi - apparentemente non gioca alcun ruolo nell'iter motivazionale che conduce alla revisione della precedente (e costante) giurisprudenza costituzionale; il revirement è, piuttosto, presentato come uno spontaneo ripensamento sull'opportunità di distinguere tra due distinti livelli di tutela del medesimo diritto a un processo equo, a seconda che tale diritto venga in considerazione all'interno dell'ordinamento spagnolo ovvero in conseguenza della consegna di una persona a un diverso ordinamento.

Come dire: ci adeguiamo, ma non perché ce lo dite voi. Siamo noi che ci abbiamo, liberamente, ripensato.

 

6. Proprio su questo profilo si appuntano le dure critiche formulate contro la sentenza, in particolare, dalle giudici Asua Batarrita e Roca Tría nelle rispettive opinioni concorrenti.

Il contrasto non concerne, beninteso, la soluzione concreta - il rigetto del ricorso di amparo nel caso di specie -, sulla quale il Tribunal è unanime; bensì l'iter argomentativo, che per l'appunto trascura il principio della primazia del diritto dell'Unione, all'interno del proprio ambito di applicazione, sul diritto nazionale.

Secondo le due opinioni concorrenti in parola, la maggioranza avrebbe dovuto semplicemente adeguarsi alla sentenza dei giudici di Lussemburgo sulla base di tale principio cardine del diritto UE, che il Tribunal Constitucional aveva del resto implicitamente riconosciuto nel momento in cui aveva formulato il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia; e avrebbe dovuto, così, riconoscere che in materia di mandato di arresto europeo, il livello di tutela del diritto fondamentale a un processo equo è unicamente quello stabilito a livello europeo dagli artt. 47 e 48 CDFUE, così come interpretati dalla Corte di giustizia e dalla corrispondente giurisprudenza di Strasburgo in materia di art. 6 CEDU: e non quello, eventualmente superiore, derivante dall'art. 24 della Costituzione spagnola. E ciò proprio in ossequio a quanto stabilito, nella risposta alla terza questione pregiudiziale postale dal Tribunal, dalla stessa Corte di giustizia, la quale aveva nettamente escluso che, nelle materie rientranti nell'ambito di attuazione del diritto dell'Unione, lo Stato membro possa opporre ostacoli al diritto dell'Unione e al suo 'effetto utile' in nome dell'esigenza di garantire un livello più elevato di tutela di un diritto fondamentale rispetto a quella assicuratogli nell'ordinamento dell'Unione.

Del tutto equivoco appare dunque - ad avviso delle due giudici - lo sforzo di presentare il revirement operato dal Tribunal come il frutto di un autonomo ripensamento della propria giurisprudenza in materia di art. 24 della Costituzione spagnola, piuttosto che come una conseguenza obbligata delle risposte fornite allo stesso Tribunal dalla Corte di giustizia: giacché nelle materie abbracciate dal diritto dell'Unione, i diritti fondamentali sono protetti nell'estensione e nei limiti loro riconosciuti dal diritto dell'Unione, che ha primazia sul diritto nazionale - e persino sul diritto costituzionale nazionale, salva la teorica possibilità per il Tribunal di azionare i 'controlimiti' alla cessione di sovranità realizzata in favore dell'Unione. Possibilità, quest'ultima, che le opinioni dissenzienti in parola non contestano, ma la cui espressa sottolineatura nel contesto della sentenza ritengono del tutto inopportuna, anche per il suo evidente carattere di obiter in una decisione che, in ultima analisi, esclude qualsiasi profilo di contrasto tra la soluzione imposta dall'Unione e la Costituzione spagnola.

Così come ogni altro giudice spagnolo, dunque, il Tribunal Constitucional avrebbe dovuto applicare gli standard europei di tutela fondati sulla Carta (e, mediatamente, sulla CEDU) nel decidere un ricorso in materia di mandato di arresto. E ciò in quanto, come osserva la giudice Roca Trías, tutti i giudici nazionali, senza alcuna eccezione, sono al tempo stesso giudici europei, quando si tratta di dare attuazione al diritto dell'Unione. Erra pertanto la maggioranza, allorché pretende di applicare al mandato di arresto europeo uno standard puramente interno di tutela del diritto fondamentale a un processo equo, sia pure arricchito in via ermeneutica delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza delle Corti europee: questo standard nazionale non dovrebbe, in realtà, giocare qui alcun ruolo, secondo le indicazioni inequivoche della Corte di giustizia.

D'altra parte - e su questo profilo convergono anche le osservazioni della terza opinione concorrente, a firma del giudice Ollero Tassara - la ridefinizione di un nuovo (e più basso) standard di tutela del diritto di cui all'art. 24 della Costituzione spagnola applicabile a tutti i casi di 'violazione indiretta' (e dunque non solo ai casi di mandato di arresto europeo, ma anche ai casi ordinari di estradizione verso Paesi non membri dell'Unione europea) non era affatto imposta dalla sentenza della Corte di giustizia, e potrebbe rivelarsi in futuro inadeguata rispetto a Paesi che non condividono il comune impegno al rispetto dei diritti fondamentali che caratterizza la specifica comunità di Stati che compone l'Unione europea: nei confronti dei quali soltanto ha senso - secondo i tre giudici di minoranza - adeguare il livello di tutela dei diritti fondamentali a standard comuni da tutti accettati, anche correndo il rischio di abbassare i livelli già garantiti nelle materie di rilievo puramente interno, in nome dell'esigenza di assicurare effettività - "effet utile" - al diritto dell'Unione.

 

7. Una decisione assai sofferta, quella del Tribunal Constitucional che qui ho cercato di riassumere, e che certamente farà discutere nell'intero spazio giuridico europeo in relazione alla questione di fondo del possibile effetto 'al ribasso' della tutela 'centralizzata' dei diritti fondamentali assicurata dalla Carta nell'ambito di attuazione del diritto dell'Unione: una questione, d'altra parte, strettamente intrecciata con quella dei 'controlimiti' alle cessioni di sovranità effettuate dai singoli Stati membri nei confronti dell'Unione, sulla quale parimenti molto si dovrà ancora riflettere nel prossimo futuro.