29 aprile 2019 |
Novità dalla Consulta in materia di omicidio e lesioni stradali
Corte cost., sent. 17 aprile 2019, n. 88, Pres. Lattanzi, Rel. Amoroso
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1. Con una sentenza piuttosto complessa, la Corte costituzionale si è occupata di varie questioni concernenti la vigente disciplina dei reati stradali contro la persona, innovando in (piccola) parte un quadro normativo indubbiamente segnato da grande severità.
La questione forse più importante, per altro, è stata definita nel senso della infondatezza, con l’effetto del radicamento d’un meccanismo sanzionatorio pure segnato, almeno in parte, da un automatismo che accomuna, in un severo trattamento sanzionatorio, fattispecie concrete di sensibile diversità, soprattutto sul piano della colpevolezza.
I Giudici di Roma e Torino, che procedono rispettivamente per un fatto di omicidio e per uno di lesioni commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale riguardo all’art. 590-bis c.p., la cui funzione consiste nel sottrarre alla comparazione con eventuali attenuanti (escluse quelle concernenti la minore età e la minima partecipazione al fatto pluripersonale colposo) alcune circostanze aggravanti specifiche e qualificate (quelle di cui agli artt. 589-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 589-ter, 590-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 590-ter). Per effetto della norma, dunque, il giudice dovrà applicare dapprima l’aumento di pena connesso alle aggravanti, e solo successivamente sottrarre una quota pertinente alle eventuali attenuanti.
I rimettenti non hanno contestato in generale l’alterazione del meccanismo di bilanciamento regolato dall’art. 69 c.p., o comunque hanno concentrato l’attenzione sul fatto che il divieto di equivalenza o prevalenza coinvolge anche attenuanti specifiche dei delitti stradali contro la persona. Si tratta delle fattispecie regolate dall’art. 589-bis, settimo comma, c.p. e dall’art. 590-bis, settimo comma, c.p.: “nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà”.
Nei giudizi a quibus vengono documentati i presupposti di fatto per l’applicazione delle attenuanti speciali. Queste, però, non possono neppure equivalere alle aggravanti: alle circostanze cioè di cui ai commi secondo ed ottavo dell’art. 589-bis nel processo per omicidio (e concorrenti lesioni in danno di terzi), e di cui al comma secondo dell’art. 590-bis nel processo per lesioni gravi.
Da ciò conseguirebbe la necessità di irrogare pene sproporzionate ai fatti (segnati dal concorso delle vittime nella causazione dell’evento), e comunque – sul piano generale – l’impossibilità per il giudice di modulare sequenzialmente e ragionevolmente il trattamento sanzionatorio, a fronte d’una platea di condotte assai ampia, e comprensiva di avvenimenti con un contributo causale minimo da parte dell’interessato.
Ecco dunque l’ipotesi che la norma censurata violi gli artt. 3, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione (così il giudice romano) o gli artt. 3 e 27 Cost. (così il giudice torinese).
2. Come accennato, la Consulta ha ritenuto infondate le questioni appena riassunte.
In esordio del ragionamento, si è ricordato come il bilanciamento tra circostanze di segno diverso abbia assunto il ruolo di regola generale solo nel 1974 (decreto-legge n. 99, come convertito dalla legge n. 220 del 1974), ché in precedenza la norma stava proprio nell’applicazione separata di aumenti e diminuzioni. Non solo. Pur dopo la riforma, il legislatore ha più volte stabilito un regime differenziato per aggravanti ritenute particolarmente significative, sottraendole in tutto od in parte al giudizio di comparazione con eventuali attenuanti.
La Corte passa in rassegna questi casi, ricordando che per alcuni tra essi è già stata valutata, positivamente, la compatibilità con taluni parametri costituzionali (sentenze n. 38 e n. 194 del 1985, relative a circostanze in materia di terrorismo). In tempi recenti sono state addirittura introdotte norme di parte generale, capaci di ridurre significativamente la portata dell’art. 69 c.p., ad esempio mediante la riforma del quarto comma della norma citata, od anche attraverso l’introduzione di nuove disposizioni (il riferimento concerne il nuovo art. 69-bis c.p., introdotto ex art. 5, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 21 del 2018).
L’esame del quadro complessivo, pur analitico, sembra assumere nella sentenza lo scopo essenziale di porre in chiara evidenza come l’alterazione del bilanciamento “puro” sia tutt’altro che insolita nel nostro sistema penale. E del resto, come già accennato, i rimettenti non obiettavano alla regola generale di prevalenza delle aggravanti, quanto piuttosto alla soccombenza strutturale d’una particolare attenuante, specifica quanto le circostanze di segno avverso, e cioè quella fondata sul carattere solo concausale della condotta ascritta al reo (settimo comma degli artt. 589-bis e 590-bis).
Così delimitato l’oggetto del contendere, la Corte esprime una valutazione generale di compatibilità tra le scelte sanzionatorie del legislatore, per quanto severe, e quell’area di discrezionalità politica delimitata solo dai principi di ragionevolezza e proporzionalità. In questo contesto, i limiti al bilanciamento dell’attenuante rappresentano mera e coerente espressione del complessivo orientamento verso un rigore sanzionatorio perseguito a scopi di deterrenza, in vista pur sempre della tutela di beni primari, come la vita e l’integrità fisica delle persone.
Vero – dice la Corte – che in altri casi è stata giudicata illegittima la neutralizzazione di figure attenuanti, ritenute indispensabili al fine di garantire proporzionalità per il trattamento di fatti collocabili nella fascia minima di offensività della fattispecie. Il riferimento concerne la catena delle pronunce relative alla recidiva reiterata (art. 97, quarto comma, c.p.: sentenze n. 251 del 2012, n. 105 e n. 106 del 2014, e n. 205 del 2017). Icasticamente: “il legislatore può schermare l’ordinario bilanciamento di circostanze del reato, secondo i criteri dell’art. 69 cod. pen., ma non fino al punto di sanzionare condotte di minore gravità con pene eccessive perché sproporzionate rispetto al canone della necessaria offensività”.
Sennonché, in sintesi, la Corte non pare apprezzare in misura determinante il significato attenuante della previsione circostanziale del settimo comma. Essa non attiene, in primo luogo, all’offensività della condotta, ma, semmai, al grado della colpevolezza. D’altra parte, la diminuente soccombe al cospetto di circostanze aggravanti di forte disvalore, proprio ed anche sul piano della colpevolezza (a cominciare dalla disponibilità a mettersi alla guida in stato di grave alterazione per continuare con una violazione particolarmente riprovevole, qual è l’impegno di un incrocio nonostante il segnale semaforico rosso).
Insomma, ed in sintesi, una severità non eccedente i limiti della proporzionalità ed immune da incoerenze interne al sistema che la esprime.
3. Il Tribunale di Torino aveva sollevato questione, in riferimento all’art. 3 Cost., anche con riguardo all’art. 222, comma 3-ter, cod. strada, nella parte in cui, per il caso di omicidio stradale o di lesioni personali stradali, conseguentemente alla prescritta revoca della patente di guida (infra), preclude la possibilità di conseguire una nuova patente prima che siano decorsi cinque anni dalla revoca stessa. La questione per altro è stata dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, non dovendo il rimettente fare applicazione della norma censurata, ma solo di quella, logicamente presupposta, concernente la revoca dell’abilitazione alla guida. E su tale ultima questione, come subito vedremo, i dubbi di legittimità costituzionale hanno trovato conferma.
4. La Corte, infatti, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del d.lgs. n. 285 del 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., per i reati di cui agli artt. 589-bis (Omicidio stradale) e 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o gravissime) c.p., il giudice abbia la possibilità di disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa (ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 cod. strada), allorché non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen.
In sintesi la Corte – verificata l’estensione indiscriminata della previsione di revoca a tutte le fattispecie di omicidio o lesioni stradali (gravi o gravissime), ricorrano o non circostanze aggravanti speciali che qualificano molto negativamente i fatti sul piano della colpevolezza – ha riscontrato un caso (tra i molti ormai) di automatismo sanzionatorio, capace come tale di vulnerare il principio di uguaglianza. Il quale principio esige, notoriamente, che situazioni diseguali siano trattate in modo diversificato. Se la progressione segnata dalle previsioni circostanziali delle due norme incriminatrici trova congrua rispondenza nella crescita proporzionale della sanzione principale, altrettanto non può dirsi, per l’appunto, rispetto alla sanzione accessoria, sempre e soltanto applicata nella misura più grave (e con il già citato strascico della preclusione per un lungo tempo del rilascio di una nuova patente).
Ragionando allora (ed anche) in termini di proporzionalità, la Corte ha ritenuto che la “pena fissa” trovi una base applicativa ragionevole nelle più gravi ipotesi descritte al secondo ed al terzo comma di entrambe le norme in gioco, ma che la proporzione venga meno per le fattispecie non aggravate: “(…) l’automatismo della sanzione amministrativa più non si giustifica e deve cedere alla valutazione individualizzante del giudice”.
Va aggiunto un doppio profilo di prospettata irrazionalità del sistema: non solo quello, cui si è già fatto cenno, della differenza di progressione tra le pene principali e quelle accessorie; si è pure rilevato che nel corpo del comma 2 dell’art. 222 del Codice, per l’effetto di varie stratificazioni normative, convivono per gli stessi reati previsioni di sospensione (di varia durata) e previsioni di revoca della patente, in un quadro confuso che la Corte non cerca neppure di dipanare, ma semplicemente cita a comprova dell’asistematicità della disposizione censurata.