ISSN 2039-1676


22 luglio 2011 |

Anche la relazione adulterina può rientrare nel concetto di famiglia oggetto di tutela del reato di maltrattamenti

Nota a Cass. pen., sez. VI, sent. 10 febbraio 2011, (dep. 1 marzo 2011), n. 7929, Pres. Garribba, Rel. Citterio

 
1. Il Giudice per le indagini preliminari applicava all’indagato la custodia cautelare in carcere per avere maltrattato la propria amante ed averle cagionato volontariamente lesioni gravi. Il Giudice riteneva infatti che la relazione adulterina rientrasse nel concetto di famiglia di cui all’art. 572 c.p. in quanto tra i due soggetti si era instaurata una relazione stabile suscettibile di determinare reciproci obblighi di solidarietà ed assistenza. L’ordinanza dispositiva della misura coercitiva veniva poi confermata dal Tribunale di Messina in funzione di Giudice per il riesame ritualmente adito.
 
L’indagato ricorreva quindi per Cassazione ai sensi dell’art. 311 c.p.p., lamentando l’errore nell’interpretazione dell’art. 572 c.p. o comunque la mancanza o manifesta illogicità della motivazione. In particolare il ricorrente evidenziava come con la propria amante non si fosse creato “uno stabile rapporto di comunità familiare”, elemento costitutivo del reato in parola, atteso che egli conviveva ancora con la moglie.
 
La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso. Osservava infatti che la possibilità di ricostruire l’esistenza di una relazione stabile tra l’indagato e la persona offesa “rilevante per la configurabilità del reato di cui all’art. 572 c.p.”  è una questione che attiene al merito, insindacabile quindi in sede di legittimità. Più nello specifico la Corte rilevava come il ricorrente si fosse limitato a proporre una diversa chiave di lettura delle circostanze fattuali, già oggetto di valutazione del Tribunale delle Libertà che sul punto aveva fornito adeguata e logica motivazione. In particolare, il Tribunale aveva considerato irrilevante per la configurabilità del reato in esame il fatto che l’indagato convivesse ancora con la propria famiglia.
 
Pur non soffermandosi ad individuare gli indici sintomatici dell’esistenza di una relazione sentimentale “stabile”, la decisione della Cassazione ci offre l’occasione per riflettere sul tema della nozione di famiglia accolta dalla più recente giurisprudenza di legittimità.
 
 
2. Com’è noto il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone l’esistenza di una relazione qualificata tra l’autore e la vittima, quale un rapporto familiare, un rapporto di autorità o un rapporto di affidamento per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia.
 
Quanto al riferimento nella fattispecie alla “persona della famiglia” si registra in giurisprudenza una tendenza a dilatare il concetto di “famiglia” fino a comprenderne, come nel caso di specie, persone che in nessuna accezione del termine potrebbero considerarsi tali.
 
Più in particolare, la Corte di Cassazione ha da tempo riconosciuto che il vincolo che deve legare l’agente e la persona offesa possa essere sia giuridico-civile che naturale-di fatto, poiché ciò che rileva per la sussistenza del delitto di cui all’art. 572 c.p. è la comunanza di vita e di affetti analoga a quella del matrimonio.
 
Secondo la Cassazione dunque, ai fini della configurazione del reato de quo, è sufficiente accertare l’esistenza di un consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza o solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo” (Cass. Sez. VI n. 20647 del 2008. Cfr. anche Cass. Sez. VI n. 21329 del 2007), a prescindere dall’esistenza di vincoli di parentela, coniugio o affinità.
 
Ne deriva la configurabilità del reato anche in caso di “famiglia di fatto”, quindi in caso di rapporti fondati sulla comunanza di vita e di interessi (Cass. Sez. III n. 8953 del 1997 e più recentemente Cass. Sez. VI n. 4390 del 2009).
 
Per altro verso, la giurisprudenza riconosce la sussistenza del reato anche in ipotesi di intervenuta interruzione della convivenza (separazione legale o di fatto) poiché rimangono comunque integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che scaturiscono dal rapporto coniugale o di filiazione (Cfr. Cass. sez. VI n. 16658 del 2009 e Cass. Sez. VI n. 3580 del 1999).
 
Un orientamento più recente si è però spinto fino a ritenere sufficiente che tra il soggetto attivo e quello passivo intercorra una relazione stabile tale da fare sorgere rapporti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale. A tal proposito non è necessaria neppure la convivenza o la coabitazione, perché tali presupposti non sarebbero esplicitamente richiesti dalla fattispecie (cfr. Cass. Sez. V n. 24688 del 2010, Cass. sez. III n. 9242 del 2010, Cass. n. 282 del 1998, Cass. n. 49109 del 2003 e Cass. Sez. VI n. 116810 del 1970). Un orientamento di segno contrario considera invece necessaria quantomeno la convivenza a prescindere dalla sua durata (cfr. Cass. sez. III n. 44262 del 2005, Cass. n. 12545 del 2000 e Cass. Sez. VI n. 3570 del 1999).
 
 
3. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione arriva ad affermare che anche la relazione adulterina può assumere rilevanza ai fini della configurabilità del reato, quando essa si caratterizza per una stabilità in grado di fare sorgere obblighi di solidarietà ed assistenza.
 
Si tratta invero di un arresto cui in parte si era già giunti. Infatti con la sentenza n. 9242 del 2010 i giudici di legittimità, nell’annullare con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano, hanno evidenziato come sia possibile la coesistenza di più “nuclei familiari”, tutti rilevanti per il reato di maltrattamenti. In particolare la Corte sul punto afferma che il giudice di merito avrebbe dovuto motivare adeguatamente come in concreto si fosse potuto creare affianco alla famiglia legittima un altro consorzio stabile di vita e di consuetudini, con ulteriori rapporti di assistenza e di solidarietà, caratteristiche necessarie a dar luogo ad un consorzio di persone rilevante ai fini dell’art. 572 c.p. (Cass. Sez. III, n. 9242 del 2010).
 
Si tratta di un’evoluzione in linea con il superamento dell’indirizzo giurisprudenziale che individuava la “famiglia” come bene giuridico tutelato dall’art. 572 c.p. La Cassazione ha infatti di recente chiarito che oggetto di tutela della fattispecie sia l’integrità fisica e psichica del soggetto passivo, intesa nel senso di libertà di esprimere la propria personalità nelle relazioni affettive stabili, improntate sulla reciproca solidarietà, (cfr. da ultimo Cass. Sez. V n. 24688 del 2010).
 
 
4. Tuttavia simile estensione del concetto di famiglia presta il fianco ad un duplice ordine di critiche.
 
In primo luogo si osserva in dottrina come sia stato dilatato in via interpretativa il perimetro della fattispecie incriminatrice, in contrasto, quindi, con il divieto di analogia in malam partem: la Corte di Cassazione riconduce infatti sotto la norma casi che non sarebbero riconducibili a nessuno dei suoi possibili significati letterali (cfr. Melissa Miedico, sub art. 572 c.p., in Codice penale commentato, a cura di Marinucci – Dolcini, p. 5130).
 
In secondo luogo, il compito del Giudice diventa estremamente arduo, essendo chiamato a ricostruire le relazioni che intercorrono tra due soggetti e stabilire se siano suscettibili o meno di produrre vincoli di solidarietà ed assistenza, pur in mancanza di un presupposto fondamentale quale la convivenza. Si crea quindi una zona grigia in cui potrebbe ritenersi configurabile o meno la fattispecie in parola.
 
Sia infine consentito uno spunto di riflessione personale: appare infatti opportuno domandarsi se tale equiparazione giurisprudenziale alla “famiglia” sia davvero necessaria al fine di assicurare tutela penale a situazioni ritenute meritevoli o se, invece, possa essere considerato sufficiente il ricorso a norme incriminatrici diverse dall’art. 572 c.p.