11 aprile 2012 |
In tema di responsabilità dell'ente per reati societari e profitto confiscabile
Corte d'Appello di Milano, sez. II, sent. 25 gennaio, Pres. Lapertosa, Est. Maiga, ric. Banca Italease S.p.A.
Pubblichiamo in allegato la sentenza della Corte d'Appello di Milano che ha confermato la condanna di un istituto bancario per i delitti di false comunicazioni sociali (art. 2622 c.c.), ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza (art. 2638 c.c.) e aggiotaggio (art. 185 T.u.f.), imputabili alle persone giuridiche rispettivamente ai sensi degli artt. 25 ter lett. b) e s) e 25-sexies d.lgs. 231/2001.
Nell'ambito di una motivazione particolarmente complessa, in ragione dell'elevato tecnicismo che caratterizza i fatti oggetto del giudizio (relativi ad articolate operazioni su strumenti finanziari derivati), si segnalano due profili di interesse:
(i) in primo luogo, le statuizioni relative alla tematica dell'interesse e vantaggio per l'ente (pp. 32-40). La difesa, infatti, aveva impugnato la sentenza di primo grado eccependo come in relazione ai reati-presupposto previsti dall'art. 25-ter (Reati societari) l'unico criterio oggettivo di ascrizione della responsabilità fosse - in deroga alla previsione generale dell'art. 5 d.lgs. 231/2001) - l'interesse dell'ente (in quanto solo a tale profilo fa espresso ed esclusivo riferimento l'art. 25-ter); tale interesse non sarebbe riscontrabile nel caso de quo, in quanto lo schema criminoso posto in essere dai soggetti apicali sarebbe stato funzionale ad assicurare, anche attraverso i reati societari, l'appropriazione indebita di beni appartenenti al patrimonio societario, con rilevante danno finale in capo all'istituto di credito. La Corte, disattendendo le censure difensive, ha ribadito le conclusioni del giudice di prime cure, affermando, nella prospettiva dell'ascrizione di responsabilità ex d.lgs. 231/2001, l'indipendenza funzionale dei diversi delitti, con la conseguenza che gli effetti favorevoli immediatamente derivanti in capo all'ente dalla commissione dei reati societari sarebbero comunque idonei ad integrare gli estremi dell'interesse (indipendentemente dal danno finale subito dalla persona giuridica come conseguenza della successiva - e semplicemente "occasionale" - perpetrazione di fatti di appropriazione indebita);
(ii) in secondo luogo, le statuizioni relative alla portata della confisca ex art. 19 d.lgs. 231/2001 in relazione al concetto di "profitto" del reato. La Corte meneghina, rigettando i rilievi difensivi - secondo cui il profitto confiscabile dovrebbe essere caratterizzato dalla "esternalità" (dovendo concretizzare l'acquisizione di un "effettivo arricchimento patrimoniale") e, pertanto, non potrebbe essere prodotto da una mera falsità contabile - aderisce ad un'interpretazione estensiva della portata della confisca, che - anche in base al criterio ermeneutico dell'interpretazione conforme al diritto comunitario - individua il profitto confiscabile in ogni utilità economica che sia anche meramente "pertinente" alla commissione del reato. In questa prospettiva, l'incremento del "patrimonio disponibile" (cioè libero dal vincolo di riserve legali), ottenuto grazie alle falsità contabili, costituisce profitto del reato (di false comunicazioni sociali) legittimamente confiscabile.