ISSN 2039-1676


09 maggio 2013 |

Sul momento consumativo del furto e della rapina impropria in supermercato munito di sistema antitaccheggio

Cass. pen., sez. II, sent. 5 febbraio 2013 (dep. 21 febbraio 2013), n. 8445, Pres. Fiandanese, Est. Macchia, ric. Niang Medou

1. La sentenza che può leggersi in allegato affronta il seguente caso: un uomo sottrae della merce dagli scaffali di un supermercato, occultandola su di sé; supera la barriera delle casse, senza pagare il prezzo, e viene quindi fermato dagli addetti alla sorveglianza del punto vendita, che intervengono non appena suona l'allarme del sistema antitaccheggio.  Il fatto è qualificabile come furto consumato o solo tentato? E, nell'ipotesi - ricorrente nel caso di specie - in cui l'uomo, suonato l'allarme, usi minaccia o violenza per assicurarsi il possesso della merce, ovvero l'impunità, la rapina impropria configurabile è tentata o consumata?

2. Quanto al furto, la questione è notoriamente tradizionale e rilevante per la prassi: in quale momento può dirsi consumato - e non già meramente tentato - il furto commesso da chi preleva della merce dagli scaffali di un supermercato, dotato di un sistema di sorveglianza e controllo (nel caso di specie, un sistema c.d. antitaccheggio)?  Nel momento in cui l'agente occulta la merce sulla propria persona? Quando supera la barriera delle casse? O quando supera gli apparati di controllo predisposti dai gestori del supermercato, che, come nel caso de quo, ben possono essere collocati al di là della barriera delle casse?

2.1. Nella giurisprudenza di legittimità sono presenti due orientamenti di segno opposto.

Secondo un primo orientamento  il furto sarebbe consumato nell'istante in cui il soggetto agente occulta o nasconde la merce, essendo tale condotta volta a predisporre le condizioni per passare dalla cassa senza pagare. Le pronunce di questo segno, in sostanza, sovrappongono il momento della sottrazione con quello dell'impossessamento, che viene fatto coincidere con la sola disponibilità materiale del bene da parte del reo, a prescindere dal fatto che il bene stesso esca dalla sfera di dominio e vigilanza del soggetto passivo. Conseguentemente, non assume alcun rilievo la circostanza che il fatto avvenga sotto il controllo del personale di sorveglianza, che può 'neutralizzarlo', né il mancato superamento della barriera delle casse e di eventuali sistemi di allarme[1].

Un secondo e più persuasivo orientamento, tenendo conto della sostanziale differenza tra il momento della sottrazione e quello dell'impossessamento, attribuisce invece fondamentale rilievo alla presenza di un soggetto incaricato alla sorveglianza o di apparati di controllo antitaccheggio. Secondo le pronunce inquadrabili in questo indirizzo, infatti, è indubbio che il prelevamento della merce dai banchi di vendita dei grandi magazzini e l'allontanamento senza pagare il prezzo realizzino il furto consumato; tuttavia, quando l'addetto al controllo sorvegli le fasi dell'azione furtiva, sì da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non è consumato neanche se vi è stato l'occultamento della cosa sulla persona del colpevole. In tal caso il furto è solo tentato perché il bene sottratto non è ancora uscito dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell'offeso, che pertanto è in grado di esercitare su di esso la propria signoria (non vi è stato, cioè, l'impossessamento del bene sottratto).[2]

3.  La sentenza qui segnalata si inserisce in quest'ultimo orientamento giurisprudenziale precisando che, qualora si tratti di beni esposti per la vendita in esercizio commerciale, ai quali sia stata applicata la placca antitaccheggio, deve ritenersi che lo spossessamento integrante il furto consumato avvenga non già col mero superamento delle casse, bensì con l'elusione dell'apparato antitaccheggio.

Senonché, nel caso di specie a venire in rilievo è un fatto contestato quale rapina impropria, ritenuta consumata nel giudizio di primo grado, e solo tentata in sede di appello. Contro tale ultima qualificazione ha presentato ricorso il Procuratore Generale; ricorso tuttavia rigettato dalla Cassazione con una succinta motivazione, che fa leva sull'assenza del requisito dell'impossessamento della res - che segna il momento consumativo del furto - ma sembra lasciare in ombra le peculiarità del caso concreto proprio in relazione al reato di rapina impropria contestato all'imputato, sulla quale non viene spesa parola.

I giudici di legittimità sembrano proporre una sorta di 'parallelismo' tra furto e rapina impropria: se a sfociare nella rapina impropria è un furto tentato, anche la rapina imporpria sarebbe tentata, e non consumata. Questa soluzione sembrerebbe in effetti legittimata dall'ultima giurisprudenza delle Sezioni Unite sul tema della configurabilità del tentativo di rapina impropria[3], laddove si è affermato che il concetto di sottrazione di cui all'art. 628, co. 2 c.p. abbraccerebbe "tutte le fasi in cui essa in concreto si manifesta, e quindi da quella iniziale del tentativo di impossessamento a quello finale dell'impossessamento della cosa che ne è oggetto"[4].

Tuttavia, la correttezza della conclusione secondo cui nel caso di specie la rapina impropria debba considerarsi solo tentata - come la Cassazione ha ritenuto anche in analoghe fattispecie[5] -, e non già consumata, è dubitabile, oltre che contraddittoria rispetto alle premesse della Corte stessa nella sentenza in esame, sulla base delle quali ritiene che nel caso di specie il furto sia tentato e non consumato. Infatti, come evidenziato da attenta dottrina[6], la lettera dell'art. 628, co. 2 c.p. ("chi adopera violenza o minaccia dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o da altri l'impunità") sembrerebbe far ritenere che il concetto di 'sottrazione' non abbracci anche l'impossessamento, ma vada da esso distinto, e che pertanto la rapina impropria - quantomeno se commessa per procurarsi il possesso della res sottratta - sia integrata in un momento in cui il furto non è ancora consumato, difettando l'impossessamento della res medesima. Se si accede a tale tesi, nel caso di specie sembrerebbero ricorrere i presupposti per la configurabilità di una rapina impropria consumata (nella quale rimane assorbito il furto tentato): la sottrazione della merce, il mancato impossessamento, la violenza o la minaccia posta in essere per guadagnarsi il possesso della merce o l'impunità.

 


[1] In tal senso si vedano: Cass. pen., sez. V, 30 marzo 2012, n. 30283, in Guida al diritto 2012, 39, 86 (s.m.); Cass. pen, sez. V, 19 gennaio 2011, n. 7086.

[2] Si vedano: Cass. pen., sez. V, 6 maggio 2010, n. 21937; Cass. pen., sez. V, 20 dicembre 2010, n. 7042; Cass. pen., sez. IV, 16 gennaio 2004, n. 7235; Cass. pen, sez. I, 21 gennaio 1999; e, nel merito: Tribunale  Monza, 30 aprile 2010.

[3] Si veda: Cass. S.U. 19 aprile 2012, Reina, in questa Rivista, con annotazione di G.L. Gatta, nella quale la Cassazione nello specifico si occupava del problema della configurabilità della rapina impropria in caso di mancata sottrazione della res (es., furto in abitazione fallito per il ritorno dei proprietari, e fuga a mani vuote, con minaccia o violenza agli stessi, per conseguire l'impunità).

[4] Ibidem.

[5] Cfr. Cass. pen., sez. II, 14 ottobre 2003, n. 47086, CED 227763.

[6] V. ad es. Fiandaca, Musco, Diritto penale, PtS, vol. II, tomo II, 3a ed., Bologna, 2002, p. 128.