ISSN 2039-1676


24 giugno 2013 |

Sezioni unite: non decade il provvedimento di sequestro in caso di intempestiva trasmissione degli atti al tribunale del riesame

Cass. pen., Sez. un., 28 marzo 2013 (deposito 17 giugno 2013), n. 26268, Pres. Lupo, Rel. Fumo, ric. Cavalli

Chiamate (per la terza volta, dopo due "tentativi" andati a vuoto: Cass., Sez. II, ord. 23 settembre 2011, n. 42043 e Cass., Sez. V, ord. 5 giugno 2012, n. 28530) a stabilire se, nel procedimento di riesame del provvedimento di sequestro, sia applicabile il termine perentorio di cinque giorni, previsto dall'art. 309, comma 5, c.p.p. (con la conseguente perdita di efficacia del provvedimento in caso di violazione) per la trasmissione degli atti al tribunale, le Sezioni unite affrontano in questa occasione la questione e giungono alla soluzione negativa.

 Si trattava di comprendere, a fronte di orientamenti contrastanti registrati nella giurisprudenza di legittimità, se il richiamo all'art. 309, commi 9 e 10 c.p.p. contenuto nell'art. 324, comma 7 c.p.p. implichi l'applicabilità anche nel giudizio di controllo delle misure cautelari reali del termine previsto, a pena di decadenza dell'ordinanza applicativa, per i provvedimenti personali (come sostenuto da Cass., sez. III,  3 maggio 2011, n. 24163, ric. Wang Zuojiong), ovvero se il rinvio - anche dopo l'intervento interpolativo dell'art. 16 l. 8 agosto 1995, n. 332 sulla disciplina delle cadenze temporali del riesame ex art. 309 c.p.p.- debba intendersi come recettizio dell'originaria previsione non sanzionata (come sostenuto dall'orientamento maggioritario: v., ad esempio, oltre a Cass., Sez. un., 28 maggio 2008, n. 25932, ric. Ivanov, Cass., Sez. I, 29 marzo 2011, n. 34544, ric. Fallace, Cass., Sez. III, 7 luglio 2011, n. 37009, ric. Andriola,  Cass., Sez. VI, 21 gennaio 2009, n. 7475, ric. Andreacchio), risultando il regime "rafforzato" di garanzia del sollecito controllo riservato alla sola materia delle cautele personali.

 La Corte opta per l'adesione a quest'ultima posizione esegetica. La questione viene affrontata innanzitutto in prospettiva storica, con un'analisi che si snoda attraverso l'indagine della volontà del legislatore, il quale, fin dall'entrata in vigore del nuovo codice di rito, avrebbe inteso tracciare una marcata differenza tra le misure cautelari personali e quelle reali. Lo si desume dalla fondamentale riforma normativa del 1995 che, con la legge n. 332, ha inciso profondamente sulla disciplina, ma con specifico riguardo al solo tema della libertà personale.

 La novella in parola ha riformato il testo dell'art. 309 comma 5 c.p.p., affiancando alla previsione di un termine di natura perentoria previsto per la decisione, un ulteriore termine - assistito dalla medesima sanzione della perdita di efficacia della misura - anche per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame. In questo modo il modello, originariamente identico per i due versanti cautelari, è stato modificato per le sole misure limitative della libertà personale: nessun intervento diretto è stato operato nell'architettura dell'art. 324 c.p.p., che continua attualmente a prevedere un termine di natura ordinatoria per la trasmissione ("entro il giorno successivo") e che invece, per la decisione, impone il rispetto di una scadenza perentoria di 10 giorni, rinviando ai commi 9 e 10 del 309 c.p.p., per l'individuazione della sanzione conseguente l'inosservanza della disposizione.

 L'origine della modifica normativa deve essere ricondotto esclusivamente alla necessità di procedere ad un innalzamento delle garanzie nei confronti di un soggetto che veda compressa o limitata la propria libertà personale. La sistematica della legge n. 332 del 1995, analiticamente ricostruita nel provvedimento, sarebbe in grado dimostrare questa precisa scelta legislativa e, di conseguenza, di escludere un coinvolgimento, ancorché implicito, delle norme dettate in tema di misure cautelari reali.

 Tuttavia l'aspetto centrale del problema, inquadrato nell'impostazione del ragionamento delle Sezioni unite, è proprio quello che riguarda la spiegazione dell'operatività del rinvio contenuto nel comma 7 dell'art. 324 c.p.p., nel senso di comprendere se tale richiamo debba intendersi riferito alla formulazione attuale del 309 c.p.p. o a quella antecedente la citata riforma. Si tratta di una questione di coordinamento tra norme tutt'altro che indifferente ai fini della soluzione del quesito interpretativo.

 L'orientamento giurisprudenziale maggioritario, richiamato nella pronuncia in commento, ha da sempre fatto leva sul rilievo secondo cui la mancanza di un richiamo espresso nell'art. 324 c.p.p., al comma 5 del 309 c.p.p., renda inapplicabile al riesame dei sequestri la sanzione della perdita di efficacia del provvedimento, specificamente prevista nella norma da ultimo citata. È pur vero, si sostiene incessantemente, che un'opinione diversa a proposito del doppio rinvio, porterebbe alla conseguenza di considerare tacitamente abrogato il comma 3 dell'art. 324 c.p.p. (norma che prevede l'indicazione di un giorno per l'invio degli atti al Tribunale del riesame).

 L'estremo interpretativo opposto è argomentato con efficacia nella sentenza della Terza Sezione penale, n. 24163 del 3 maggio 2011 (ric. Wang Zuojiong), la quale suggerisce una ricostruzione alternativa del rapporto tra i due articoli. Il ragionamento prende le mosse dalla necessità di rispettare un'esigenza primaria, che è quella di rendere certo il procedimento di riesame, anche nell'ambito delle misure cautelari reali. Infatti, ancorare un termine perentorio - quale quello di 10 giorni per l'assunzione della decisione - ad un dies a quo mobile, comporta la sostanziale incertezza sulla decorrenza di questo termine, con il rischio tutt'altro che remoto di vanificarlo.

 In questo scenario, la scelta legislativa del 1995, orientata nel senso di non riformulare l'art. 324 c.p.p., non impedisce un'interpretazione sistematica della relazione funzionale che lega i due meccanismi descrittivi del procedimento di riesame. Ragionando in questi termini, dovrebbe concludersi che il richiamo dell'art. 324 comma 7 c.p.p., all'art. 309 comma 10 c.p.p., sia comprensivo anche del precedente comma 5, così da considerare perentorio il termine per la trasmissione degli atti anche nel riesame dei sequestri.

 Tale richiamo peraltro integrerebbe il termine, meramente ordinatorio, di un giorno stabilito dall'art. 324 comma 3 c.p.p., senza dover procedere a un'abrogazione implicita della norma, ma realizzando un parallelismo perfetto tra il procedimento di riesame cautelare personale e reale.

 La soluzione offerta dalle Sezioni unite confuta le deduzioni della sentenza Wang, ma non giunge inaspettata, tenuto conto dei precedenti giurisprudenziali e delle argomentazioni classicamente spese a proposito della necessaria differenziazione, in punto di disciplina normativa, tra istituti processuali che afferiscono a valori di rango costituzionale diverso.

 La posizione assunta dalla Corte è netta nel ritenere che sia possibile procedere a un'interpretazione diacronica delle due norme di riferimento.

 La dottrina, cui qui la Corte si richiama, ha enucleato al riguardo due ipotesi di rinvio: quello recettizio, che accoglie integralmente il testo dell'articolo richiamato nel suo valore letterale, e quello formale, che riguarda il concetto contenuto nel riferimento e che, di conseguenza, ne recepisce tutte le eventuali modifiche.

 Nel caso in esame, le Sezioni unite non hanno riconosciuto nei due articoli quella continuità normativa in grado di ritenere trasposto nella materia cautelare reale il meccanismo caducatorio congegnato nell'art. 309 c.p.p.: dunque il rinvio che il comma 7 dell'art. 324 c.p.p. opera ai commi 9 e 10 del precedente art. 309 c.p.p., ha un carattere solo recettizio, per cui le norme in questi contenute si intendono incorporate così come formulate nell'originaria previsione legislativa e non possono esserne seguiti i passaggi evolutivi.

 L'unico termine perentorio che può essere individuato nella procedura di riesame cautelare reale è quello di dieci giorni, entro i quali il Tribunale del riesame deve assumere la propria determinazione. Viceversa il termine per la trasmissione degli atti è rimasto invariato ed è di un giorno, perché se il legislatore avesse inteso modificare il meccanismo, lo avrebbe fatto con un provvedimento specifico e non avrebbe lasciato spazio a ricostruzioni interpretative.

 Infine, per quanto riguarda la precisa individuazione del dies a quo di decorrenza del termine per decidere, atteso che un'eventuale integrazione da parte del Tribunale non potrebbe essere intesa come esercizio di una potestà istruttoria, bensì come adempimento del dovere funzionale di completare gli elementi di conoscenza, tale termine decorrerà proprio dal momento in cui la trasmissione potrà ritenersi completa.

 Con la conseguenza che da un invio tardivo o carente non discenderà la caducazione della misura, in armonia con il mancato riconoscimento della perentorietà del termine per la trasmissione degli atti.