ISSN 2039-1676


29 gennaio 2016 |

Divieto di rinnovazione del sequestro preventivo in assenza di ''eccezionali esigenze cautelari''? Torna alle Sezioni Unite la questione sulla natura del rinvio ex art. 324 co. 7 c.p.p. alla disciplina del riesame delle misure cautelari personali

Cass. Sez. III, ord. 26 novembre 2015 (dep. 28 dicembre 2015), n. 50581, Pres. Mannino, Rel. Mengoni, ric. Capasso

 

1. Con l'ordinanza in commento la Terza Sezione della Cassazione chiede nuovamente l'intervento delle Sezioni Unite in merito all'interpretazione dell'art. 324 cod. proc. pen. nella parte in cui rinvia nel suo comma 7 alle disposizioni contenute nell'art. 309 co. 9 e 10 cod. proc. pen.

Il problema questa volta si pone a fronte delle novità introdotte dalla legge 16 aprile 2015 n. 47 sui citati commi 9 e 10 dell'art. 309 cod. proc. pen.: dunque il predetto rinvio deve intendersi recettizio (o statico) oppure dinamico?

Tale distinzione non è di scarsa rilevanza risolvendosi l'alternativa nel riferimento alle disposizioni nella loro formulazione precedente alla riforma del 2015 oppure nella loro versione per così dire "aggiornata".

Si anticipa sin d'ora, come sottolineato da copiosa giurisprudenza sviluppatasi su tematiche analoghe, che la scelta per l'una o per l'altra soluzione investe riflessioni inerenti alla differente natura tra le misure cautelari personali e reali nonché al bene-interesse sul quale tali misure incidono. 

Nel caso proposto al Collegio l'indagato veniva sottoposto dal Giudice per le indagini preliminari ad un nuovo decreto di sequestro preventivo (poi confermato dal Tribunale del riesame) a seguito della declaratoria di inefficacia del precedente per vizio procedurale di difetto di notifica, senza però motivare "specificamente" sulle "eccezionali esigenze cautelari" a fondamento della misura, come invece richiederebbe l'attuale lettera dell'art. 309 co. 10 cod. proc. pen. richiamato dall'art. 324 co. 7 cod. proc. pen.

In particolare, tale provvedimento veniva disposto con riguardo ai reati di cui agli artt. 44 lett. b) 83, 93 e 95 D.P.R 6 giugno 2001, n. 380 per aver l'indagato realizzato -in difetto di titolo urbanistico- un manufatto in muratura della superficie di circa 90 m2, su un preesistente lastrico solare con creazione di due autonomi miniappartamenti.

A fronte dell'emanazione della misura il difensore proponeva ricorso per cassazione deducendo quale motivo principale[i]la violazione dell'art. 324 co. 7 cod. proc. pen. in relazione all'art. 309 co. 10 cod. proc. pen.: a parere della difesa il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto che il rinvio operato dall'art. 324 co. 7 cod. proc. pen. all'art. 309 co. 10 stesso codice richiami il testo di questo nella versione antecedente alla novella di cui alla legge 16 aprile 2015 n. 47. Ciò in quanto tale legge all'art. 11 co. 6 avrebbe limitato le modifiche dell'art. 324 co. 7 alla sola introduzione del riferimento al co. 9-bis dell'art. 309 senza far menzione alcuna del successivo comma 10. Tale interpretazione tuttavia sarebbe palesemente contraria al dato letterale dell'art. 324 co. 7 che infatti richiama tout court l'art. 309 co. 10 in esame e fondata su una lettura non corretta della citata novella del 2015.

A nulla rileverebbero, secondo la difesa, i precedenti delle Sezioni Unite favorevoli ad una natura statica e recettizia del rinvio dal momento che la legge 16 aprile 2015, n. 47, a differenza degli interventi manipolatori già presi in considerazioni dal Collegio (in particolare la legge 8 agosto 1995, n. 332), ha interessato tanto le misure cautelari personali quanto quelle reali.

A questo punto, riconosciuta la sussistenza di un potenziale contrasto tra le singole Sezioni in materia di riesame di misure cautelari reali alla luce delle modifiche apportate dalla legge del 2015 e della loro incidenza sugli indirizzi interpretativi già formati sulla questione, la Terza Sezione ha rimesso la problematica alle Sezioni Unite.

 

2. Come anticipato la questione non è nuova agli Ermellini, i quali hanno affrontato la natura del rinvio contenuto nell'art. 324 co. 7 cod. proc. pen. con riguardo allo specifico tema del termine entro il quale l'autorità giudiziaria debba trasmettere gli atti al tribunale del riesame, alla natura dello stesso e, soprattutto, agli effetti del suo mancato rispetto.

Sotto quest'ultimo aspetto, se inizialmente la disciplina era identica sia per le misure cautelari personali sia per quelle reali (termine ordinatorio di un giorno per la trasmissione degli atti ex artt. 309 co. 5 e 324 co. 3, e termine perentorio di dieci giorni per la decisione ai sensi dell'art. 309 co. 10 richiamato dall'art. 324 co. 7), la legge 8 agosto 1995, n. 332 era intervenuta differenziando la disciplina delle due tipologie di misure intervenendo direttamente sull'art. 309 (con la previsione di un termine massimo per la trasmissione degli atti pari a cinque giorni, più lungo del precedente ma perentorio e con la sanzione della perdita di efficacia della misura in caso di mancato rispetto dello stesso) e non anche sull'art. 324 cod. proc. pen.

La conseguenza era di non poco rilievo dal momento che il comma 3 di quest'ultima norma continuava a prevedere per la trasmissione il più breve termine ordinatorio di un giorno e nel contempo il comma 7 manteneva il richiamo integrale all'art. 309 co. 10. Di qui, la necessità di qualificare il rinvio quale recettizio oppure dinamico, nel primo caso riferito al testo dell'art. 309 co. 10 ante riforma nel secondo caso al suo testo "aggiornato". 

L'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità avallava la tesi del rinvio meramente statico-recettizio[ii], sottolineando in particolare come l'art. 324, con il dettato del comma 3, individuasse una disciplina autonoma rispetto a quella prevista per le misure coercitive con la conseguente esclusione del richiamo all'art. 309 co. 5 nonché della sanzione di perdita di efficacia della misura ex comma 10 in caso di mancato rispetto del termine perentorio. Tale conseguenza sanzionatoria infatti non era prevista per la violazione del termine di cui all'art. 324 co. 3 a fronte del silenzio del legislatore sul punto.

Ciò posto, secondo tale indirizzo il perdurante richiamo dell'art. 324 co. 7 cod. proc. pen. alla disposizione delle misure coercitive derivava da una evidente mancanza di coordinamento normativo[iii] a seguito dell'intervento della legge n. 332/1995.

Di altro avviso è la Terza Sezione della Cassazione nella sentenza n. 24163 del 3 maggio 2011[iv], la quale si poneva a sostegno della applicabilità del termine perentorio previsto per le misure cautelari personali anche per il procedimento di riesame delle misure reali facendo leva sulla pari dignità costituzionale tra le limitazioni della sfera patrimoniale e le compressioni della libertà personale. Ciò, a parere della dottrina[v], rispecchierebbe la volontà del legislatore del primo codice di rito di modellare il regime delle impugnazioni dei provvedimenti cautelari reali[vi] sullo stampo di quelle predisposte per i provvedimenti cautelari personali.

La diatriba giurisprudenziale sul tema ha reso indispensabile l'intervento dirimente del Supremo Collegio[vii], il quale ha aderito all'orientamento consolidato summenzionato, ragionando sulla ratio della novella del 1995, sulla differente natura delle libertà sottese alle due tipologie di misure cautelari nonché sul significato del recettizietà e dinamicità di un rinvio normativo ad altra disposizione.

In sintesi, viene sottolineato innanzitutto che il testo legislativo del 1995 si riferisce esclusivamente alle misure cautelari personali risultando pertanto ragionevole presumere che il legislatore, non intervenendo sull'art. 324 cod. proc. pen., abbia operato una precisa scelta e non sia incorso in una inescusabile disattenzione.

Quanto all'asserito parallelismo delle discipline delle misure cautelari reali e personali sostenuto nella sentenza Wang, tale argomento viene ribaltato dal Collegio, il quale dal canto suo mette in luce le plurime eccezioni esistenti tra le medesime. Basti pensare alla diversa "disposizione topografica" delle norme, non ospitate in un'unica sedes materiae, nonché alla previsione di specifiche disposizioni in tema di trasmissione degli atti in caso di impugnazione - quale l'art. 100 disp. att. cod. proc. pen.- relativo alle sole misure cautelari personali.

Viene poi richiamato dal Collegio il testo della Carta costituzionale il quale, solo per le misure limitative della libertà personale ai fini cautelari, prevede all'art. 13 Cost. precisi limiti temporali.

Da ultimo la Corte, rievocando la differenza tra il rinvio recettizio, che ospita integralmente il testo dell'articolo richiamato nel suo valore letterale, e quello formale, che riguarda il principio contenuto nel riferimento e che, di conseguenza, ne recepisce le eventuali modifiche, ha inteso il rinvio dell'art. 324 co. 7 cod. proc. pen. come "riconoscibilmente recettizio".

L'unico termine perentorio nella procedura di controllo delle misure cautelari reali resta dunque quello originario di dieci giorni, entro i quali la decisione deve essere assunta dal Tribunale.

 

3. Attesa la definizione della tematica concernente la perentorietà o meno del termine per la trasmissione degli atti e le conseguenze della sua violazione, si tratta di verificare se il carattere recettizio del rinvio possa essere nuovamente confermato anche con riferimento ai contenuti sottesi ai commi 9 e 10 dell'art. 309 cod. proc. pen., o viceversa le modifiche introdotte dalla legge n. 47 del 2015 siano da riferirsi anche alle misure cautelari reali.

Più precisamente, occorre domandarsi se anche in ordine a tale tipologia di misure 1) il tribunale debba annullare il provvedimento impugnato, se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa (art. 309 co. 9 cod. proc. pen.); 2) in caso di inefficacia dell'ordinanza per decorso dei termini per assumere la decisione - o per depositare il provvedimento- la misura possa essere rinnovata soltanto a fronte di eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate (art. 309 co. 10 prima parte); 3) l'ordinanza del tribunale debba essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione, salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero di arrestati o la gravità delle imputazioni, fino ad un massimo di 45 giorni dalla decisione.

Al riguardo la Terza sezione individua alcuni elementi a sostegno del carattere statico (o recettizio) del rinvio.

In primo luogo, il dato formale, desumibile dalla rubrica della legge n. 47 del 2015 "Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali", la quale evidentemente non menziona quelle reali. Tale dato formale non è di scarsa rilevanza potendo infatti esprimere una chiara voluntas legis di limitare le modifiche sovradescritte solo alle misure cautelari che incidono sulla libertà personale, risultando eccessive e ridondanti in tema di misure cautelari reali. Si pensi al radicale divieto di rinnovazione dell'ordinanza ormai inefficace (salva la riserva indicata), che, oltre ad apparire una sanzione eccessiva alla luce della libertà patrimoniale -di certo suscettibile di una compressione maggiore rispetto alla libertà personale-, potrebbe neutralizzare definitivamente ogni apprensione della res, restituita all'interessato per l'intervenuta inefficacia della misura. Non solo, potrebbe pregiudicare la funzione conservatrice e preventiva propria del vincolo.

In secondo luogo, il carattere recettizio parrebbe confermato da quella parte dell'art. 309 co. 10 cod. proc. pen. che si riferisce solo alle misure coercitive prevedendo la possibilità di elevare il termine per il deposito della decisione quando "la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero degli arrestati"; non solo, il richiamo alle "eccezionali" esigenze cautelari sembrerebbe alludere all'art. 274 cod. proc. pen. in tema di misure cautelari personali. Senza contare che analoga espressione ricorre nell'art. 275 co. 4 cod. proc. pen., sulla custodia cautelare in carcere.

Nell'ambito di un'analisi formale delle modifiche introdotte dalla novella del 2015, anche nell'art. 311 cod. proc. pen., concernente il ricorso per cassazione per le misure cautelari personali, è stato inserito il comma 5-bis, analogo al 309 co. 10 cod. proc. pen.: una corrispondente interpolazione non compare nell'art. 325 cod.proc.pen., in tema di ricorso per cassazione contro ordinanze su misure cautelari reali.

Da ultimo, proprio la tecnica redazionale del legislatore del 2015, nell'inserire il richiamo al comma 9-bis senza sostituire l'intero comma 7 dell'art. 324 cod. proc. pen., parrebbe esprimere un rinvio statico, coinvolgendo singole parti della norma e non l'intera norma.

Del resto, le argomentazioni a sostegno della tesi del rinvio statico potrebbero essere facilmente superate se si considera che la rubrica della norma non è di per sé vincolante. Ciò anche alla luce del fatto che - diversamente dalla legge n. 332 del 1995 - la novella del 2015 ha interessato altresì la disciplina delle misure cautelari reali, come d'altronde si evince dall'inserimento del comma 9-bis richiamato dall'art. 324 cod. proc. pen.

È evidente che la possibilità del differimento della data dell'udienza su istanza dell'imputato riveste esigenze difensive, le quali devono "trovare sfogo" sia quando si tratti di misure cautelari personali sia reali.

Ciò posto, concesso il differimento della data di udienza (tra cinque e dieci giorni), ne deriva lo slittamento nella stessa misura del termine per la decisione e per il deposito dell'ordinanza: una lettura dunque sistematica dei commi 9-bis e 10 dell'art. 309 cod. proc. pen.

Con riferimento specifico al comma 10, se è vero che una parte di esso si riferisce esclusivamente alle misure coercitive, è vero che ciò non avviene per l'altra parte; ne consegue che il richiamo a tale disposizione dovrebbe intendersi come formale e dinamico.

 

4. Scanditi brevemente gli impulsi lanciati dalla Terza Sezione, non resta che attendere la pronuncia del Supremo Collegio.

Certo è che, come insegna l'art. 12 delle Preleggi, il primo criterio di interpretazione della legge è quello letterale. Ne deriva che l'espresso riferimento contenuto nell'art. 309 co. 9 cod. proc. pen. all'art. 292 c.p.p. non risulterebbe conciliabile con le misure cautelari reali; dicasi lo stesso per la sanzione dell'inefficacia di cui all'art. 309 co. 10 cod. proc. pen., esplicitamente connessa alle ordinanze che dispongono le misure coercitive. Anzi, il preciso riferimento a queste ultime suonerebbe ridondante dal momento che quelle coercitive sono le uniche misure soggette al riesame ex art. 309 cod. proc. pen. quasi a celare l'intenzione del legislatore di circoscrivere l'impatto della novella solo alle misure cautelari personali[viii].   

Oltre al dato puramente formale, sembrano convincenti le argomentazioni inerenti alla differente natura del bene-interesse coinvolto nelle misure cautelari reali ma soprattutto alla valutazione delle conseguenze vanificatorie del vincolo derivanti dalla applicabilità delle modifiche della novella del 2015 anche a tale tipologia di misure.

 


[i]Secondo e ultimo motivo concerne la violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. sul periculum in mora di scarsa rilevanza nel caso de quo.

[ii] Si veda tra le altre: Cass. Sez. I, sent. del11 dicembre 1996, n. 6644, Marrocco, Rv. 207088; Cass. Sez. I, sent. del 18 settembre 1997, Sicilia, Rv. 208968; Cass. Sez. II, sent. del 28 febbraio 2003, Laforet, Rv. 224641; Cass. Sez. I, sent. del 29 marzo 2011, n. 34544, Tardio, Rv. 250778.

[iii]Sul punto si veda in particolare: Cass. Sez. I, sent. del 9 giugno 1998, n. 3392, Voltolini, Rv. 210883.

[iv]Cass. Sez. III, sent. del 3 maggio 2011, Wang, Rv. 250603. Per una più estesa trattazione di tale pronuncia si veda: M. C. Marzo, Abnormità del provvedimento dilatorio del "riesame reale" tra sistema interno e assetto sovranazionale, in Arch.pen., n. 3, 2011.

[v]E. Zappala', Diritto processuale penale I, Milano, 2011, Giuffrè, p. 499. Sul punto anche: M.N. Galantini, sub. Art. 324, in Comm. Amodio, Dominioni, III, Milano, 1990, p. 290.

[vi]Per approfondire cfr.: A. Giannone, Riesame in materia di misure cautelari personali, in Dig.disc.pen. XII; 1997, p. 255 e ss.; Castellano-Montagna, Misure cautelari reali, in Dig. disc. pen., 1994, p. 98 e ss.; C. Santoriello, Le misure cautelari reali nel processo penale. Considerazioni generali, in G. Spanghere C.Santoriello (a cura di) Le misure cautelari reali, Torino, 2009, Giappichelli.

[vii]Cass. Sez. Un.,sent. del 28 marzo 2013, n. 26268, Cavalli, Rv. 255581. Per un approfondimento sulla pronuncia si legga il commento alla sentenza in questa Rivista: G. Caneschi, Sezioni Unite: non decade il provvedimento di sequestro in caso di intempestiva trasmissione degli atti al tribunale del riesame.

[viii] In questa prospettiva cfr: in questa Rivista, 3 giugno 2015, P. Borelli, Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali.