16 aprile 2014 |
Considerazioni sulla configurabilità della fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. in costanza di rapporto conflittuale tra coniugi: a margine di una recente decisione (n. 6384/2014) della Suprema Corte
Nota a Cass., Sez. III, 20 novembre 2013 (dep. 11 febbraio 2014), n. 6384, Pres. Fiale, Rel. Orilia, Ric. P.G. Izzo
1. La decisione in rassegna offre rilevanti spunti di riflessione e si lascia apprezzare, sotto altri profili, per lo sforzo della giurisprudenza di delineare 'sul campo' i margini della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612-bis c.p.[1] emanata da un legislatore frettoloso - seppur nel meritorio sforzo di tutelare alcune fasce di soggetti particolarmente esposti a comportamenti persecutori - poco incline a far proprie le illuminanti indicazioni formulate dal giudice delle leggi nella storica decisione in materia di plagio. La Corte costituzionale (sent. 96/1981), è noto, nel valorizzare l'esatta portata dell'art. 25 Cost. rimarca come l'intento del principio sia quello di "evitare arbìtri nell'applicazione di misure limitative di quel bene sommo ed inviolabile costituito dalla libertà personale". A tal fine, affermano ancora i giudici costituzionali, onere della disposizione incriminatrice "è quello di determinare la fattispecie criminosa con connotati precisi in modo che l'interprete (...) possa esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da fondamento controllabile". Tale onere - aggiungeva la Corte - richiede una descrizione della fattispecie astratta sia pure attraverso espressioni indicative o di valore (cfr. ad es. sent. Corte cost. nn. 21/1961 e 191/1970) e risulta soddisfatto fintantoché nelle norme penali vi sia riferimento a fenomeni la cui possibilità di realizzarsi sia stata accertata in base a criteri che allo stato delle attuali conoscenze appaiono verificabili. L'art. 25, secondo le limpide considerazioni svolte nella sentenza n. 96/1981, "impone espressamente al legislatore di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell'intellegibilità dei termini impiegati, deve logicamente ritenersi anche implicito l'onere di formulare ipotesi che esprimono fattispecie corrispondenti alla realtà". E, ancora, specifica la Corte "sarebbe infatti assurdo ritenere che possano considerarsi determinate in coerenza al principio della tassatività della legge, norme che, sebbene concettualmente intellegibili, esprimano situazioni e comportamenti irreali o fantastici o comunque non avverabili e tanto meno concepire disposizioni legislative che inibiscano o ordinino o puniscano fatti che per qualunque nozione ed esperienza devono considerarsi inesistenti o non razionalmente accertabili".
Non pare che il legislatore abbia tenuto nella giusta considerazione tali ineccepibili ragionamenti, emanando, attraverso il classico decreto d'urgenza[2] - sebbene per fronteggiare l'allarme diffuso e amplificato ancor di più dal circuito mass-mediale - una fattispecie che, sul piano strutturale, meritava forse una maggiore attenzione. Basta soffermarsi, ad esempio, sullo 'stato d'ansia' la cui corretta identificazione è resa ancora più problematica dai termini 'perdurante' e 'grave'. La locuzione 'stato d'ansia' appare, in re ipsa, foriera di non poche perplessità trattandosi di delineare i concetti di 'paura' e di 'ansia', e cioè provare "stati fluidi e incerti come le reazioni emotive"[3].
A fronte di tipi delittuosi di tale tenore spetta alla giurisprudenza - nonostante il rischio di prese di posizione non sempre tra loro concordanti - individuare in sede di applicazione una fattispecie incriminatrice non del tutto in linea con quelle esigenze di tassatività-determinatezza[4], chiarezza e comprensibilità[5] che dovrebbero caratterizzare, più in generale, la normazione penale e, dunque, consentire al destinatario della norma penale di conoscere il comportamento vietato.
2. La sentenza in epigrafe, come si anticipava, stabilisce alcuni importanti principi di diritto. In primo luogo, in essa si afferma che il delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) introdotto nell'ordinamento dal d.l. n. 11/09 conv. in l. n. 38/09 "è un reato che prevede eventi alternativi" con la conseguente configurabilità della fattispecie incriminatrice in presenza di uno solo di detti eventi. Una presa di posizione dunque che si colloca nell'ambito di un orientamento costante[6]; la giurisprudenza di legittimità, infatti, è concorde nel sostenere, ad esempio, che il perdurante e grave stato di ansia o di paura costituisca uno dei tre possibili eventi, alternativi, del delitto di atti persecutori[7].
Discende da ciò - ed è un altro punto fermo dell'applicazione giurisprudenziale a cui si uniforma la sentenza in commento - che la sola insorgenza dello stato di ansia e di timore per l'incolumità della vittima è sufficiente ad integrare il tipo delittuoso descritto dall'art. 612-bis c.p., non essendo richiesto il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa.
Anche in ordine a tale profilo l'applicazione prasseologica ha raggiunto una omogeneità di vedute; mentre, ancor oggi, solleva rilevanti perplessità l'accertamento dello stato di ansia o di timore. Invero, è facile cogliere un duplice orientamento: secondo il primo, il 'perdurante e grave stato di ansia' - vale a dire "un turbamento psicologico destabilizzante che si sia manifestato con forme patologiche, contraddistinte dallo stress, di tipo clinicamente definito grave e perdurante" - non va confuso con un generico stato d'ansia; sul piano della prova ciò comporta, com'è stato sostenuto, l'insufficienza di una attestazione emessa "non da uno specialista neurologo o psichiatrico"[8]. In tutt'altra ottica si muove il secondo indirizzo di pensiero quando afferma il dato per cui, ai fini della integrazione del reato di atti persecutori, non è richiesto l'accertamento di uno stato patologico essendo sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - nella specie costituiti da minacce e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o via internet o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. Tale ragionamento si giustifica alla luce dell'impostazione che ricostruisce il delitto di atti persecutori non come duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), ove l'evento viene configurato in termini di malattia fisica, psichica, mentale o psicologica[9].
In linea con questo secondo orientamento si muove anche la giurisprudenza di merito quando esclude che il perdurante e grave stato di ansia e di paura faccia riferimento ad uno stato patologico, addirittura clinicamente accertato; con la conclusione che tale stato possa essere oggetto di diretto apprezzamento da parte del giudice anche attraverso le precedenti denunce o testimonianze[10]. Sotto altri profili è stato sostenuto: "è del tutto ozioso stare a disquisire sui danni che in concreto tale condotta abbia cagionato, atteso che lo stesso numero delle telefonate è fatto che di per sé comporta disagio più o meno intenso e stato d'ansia"[11]; discende da ciò - quale effetto naturale - l'insorgenza dello stato di ansia[12]. Ma, nonostante le difficoltà per il giudice nell'affermare la sussistenza di una determinata condizione sanitaria (rectius, patologia), di non facile accertamento nemmeno per il consulente medico,[13] è auspicabile - nel silenzio del legislatore - uno sforzo da parte della giurisprudenza sul punto. Compito del giudice è anche quello di dare piena attuazione all'art. 65 dell'ordinamento giudiziario (r.d. 30 gennaio 1941, n. 12) delineando un chiaro percorso da seguire per le successive decisioni con innegabili, quanto ovvie, ricadute positive. La nomofilachia, infatti, ridonda sul piano dell'uguaglianza di trattamento dei cittadini e, dunque, sul terreno della giustizia sostanziale.
3. Altro principio di diritto che è dato cogliere nella sentenza in commento - per alcuni aspetti il più ricco di implicazioni dommatiche e politico-criminale - è quello relativo alla configurabilità della fattispecie di stalking anche in contesti conflittuali. Il caso di specie concerneva un comportamento molesto del coniuge posto in essere col mezzo del telefono, caratterizzato dalla molteplicità di chiamate e sms anche a contenuto minatorio o da atteggiamenti ossessivi (come ad esempio quello di presentarsi nei luoghi frequentati dalla donna oppure contattando persone vicine alla stessa). L'esistenza di chiamate della donna dirette allo stalker faceva emergere un contesto conflittuale originato dalla crisi della relazione di coppia tra i due coniugi, che ha portato i giudici di merito a trarre la conclusione che i fatti fossero insufficienti a concretizzare gli estremi del reato di stalking, in relazione al quale era stata richiesta la misura cautelare, mancando l'idoneità delle condotte a produrre il perdurante stato di ansia e timore voluto dalla norma incriminatrice di cui all'art. 612-bis c.p. Il Supremo Collegio, censurando l'operato del Tribunale, afferma che il contesto conflittuale non è assolutamente idoneo ad escludere o ridurre la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato in questione, ma che anzi appare assai rilevante, tant'è che l'art. 612-bis, al comma 2, prevede addirittura come aggravante l'esistenza di rapporti di coniugio o di pregressi rapporti affettivi tra le parti.
4. In termini più generali, la Corte di Cassazione risolve in senso affermativo la questione relativa alla configurabilità della fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p in presenza di comportamenti reciproci.
La decisione in commento si uniforma ad un precedente giurisprudenziale secondo cui la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la sussistenza del delitto di atti persecutori, incombendo però, in tale ipotesi, sul giudice, un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita[14].
Nella stessa ottica si muove una recente decisione[15] nella misura in cui sostiene che la reciprocità delle azioni non vale ad escludere, in radice, la possibilità della rilevanza penale delle condotte persecutorie ex art. 612-bis c.p; si richiede, pertanto, che venga valutato con maggiore attenzione ed oculatezza, il comportamento di ciascuno,e dunque l'insorgenza dello stato d'ansia o di paura, o il timore per l'incolumità della vittima o di persone vicine o la necessità del mutamento delle abitudini di vita. Deve, in ultima analisi, verificarsi se, nel caso della reciprocità degli atti minacciosi, vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificarne le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria e le reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura. Né può dirsi che la reazione della vittima comporti, comunque, l'assenza dell'evento richiesto dalla norma incriminatrice, non potendosi accettare l'idea di una vittima inerme alla mercè del suo molestatore ed incapace di reagire. Anzi non è da escludere - continuano i giudici nella richiamata sentenza - che una situazione di stress o ansia possa generare reazioni incontrollate della vittima anche nei riguardi del proprio aggressore. Il reato in parola si configura come reato di evento in contrapposizione al reato di minaccia di cui all'art. 612 c.p. qualificato come reato di pericolo, pur costituendo la minaccia elemento costitutivo comune ad entrambe le fattispecie.
Siamo ben consci che non spetta alla giurisprudenza l'ingrato compito - in sede di applicazione - di colmare le lacune di una disposizione che presenta chiari aggiramenti dei principi costituzionali, primo fra tutti quello di determinatezza-tassatività dell'illecito penale. Ma, in attesa dell'intervento del legislatore e con l'auspicio che in futuro svolga meglio il suo compito, solo la giurisprudenza può 'regalare' alla fattispecie incriminatrice quella imprescindibile chiarezza che eviti almeno sensazioni da horror vacui.
[1] Per un sintetico quadro sulle linee guida della riforma, di cui alla l. n. 38/09, cfr. Agnese A. - De Gioia V. - De Simone P. E. - Puliatti G. - Rotunno C., Violenza sessuale e Stalking, Forlì, 2009. Per un inquadramento del fenomeno dello stalking nell'ambito di una letteratura ormai vastissima e senza pretese di completezza cfr. Ege H., Oltre il mobbing. Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, Milano 2005, p. 108; Melloy J.R., Stalking (obsessional following ): a review of some preliminary studies, in Aggression and Violent Behavior, 1996, 1, 147 ss.; Curci P. - Galeazzi G.M. - Secchi C., La sindrome delle molestie assillanti (Stalking), Torino, 2003, 35 ss. Sulla diversità delle definizioni per indicare lo stesso fenomeno cfr. Westrup D., Appliyng Functional Analysis to stalking behavior, in J.R. Melloy, The psicholoy of stalking: clinical and forensic perspectives, San Diego, 1998, 275 ss.; Pelikan, Forschungsbericht - Psychoterror, Wiener, 2002; Smischek, Stalking. Eine strafrechtswissenschaftliche Untersuchung, Frankfurt a Main, 2006, 35 ss.; Löbmannn, Stalking, ein Überblik über die aktuelle Forschungsstand, in MSschKrim, 2002, 25 ss.; Meyer F., Strafbarkeit und Strafwürdigkeit von "Stalking" im deutschen Recht, in ZStW, 2003, 249 ss. Spesso i comportamenti persecutori o di stalking si inseriscono nell'ambito di un contesto di violenze familiari, in proposito cfr. Zanasi F.M., Violenza in famiglia e stalking. Dalle indagini difensive agli ordini di protezione, Milano 2006, 345 ss.; Bartolini F., Lo Stalking e gli atti persecutori nel diritto penale e civile, Piacenza, 2009, passim; Parodi C., Stalking e diritto penale, Milano, 2009, 7 ss.; Maugeri A.M., Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Torino, 2010, 12 ss.
[2] Sul punto cfr. le riflessioni di ordine critico svolte da Marzaduri E., Il ricorso alla decretazione d'urgenza condizionato dal diffuso allarme sociale, in Guida dir., 2009, 10, 39 ss.
[3] Cfr. Fiandaca G. - Musco E., Diritto penale. Parte speciale. Vol. II, tomo I. I delitti contro la persona, IIa ed., addenda, Bologna, 2009, p. 6. Per una serrata critica alla fattispecie degli atti persecutori cfr. Lo Monte E., Una nuova figura criminosa: lo 'stalking'(art. 612-bis c.p.). Ovvero un altro, inutile, 'guazzabuglio normativo', in Ind. pen., 2010, 2. p. 479 ss.
[4] Sulla portata della tassatività della norma penale con particolare riferimento all'evento cfr. Moccia S., La 'promessa non mantenuta'. Ruolo e prospettive del principio di determinatezza/tassatività nel sistema penale italiano, Napoli 2001, 11; ricostruisce il principio di determinatezza quale nucleo più risalente della legalità, Palazzo F.C., Corso di diritto penale. Parte generale, Torino 2008, 3a ed., 137; con particolare riferimento al 'grave e perdurante stato d'ansia' cfr. le osservazioni di ordine critico formulate da Manna A., Il diritto penale dell'immigrazione clandestina, tra simbolismo penale e colpa d'autore, in Cass. pen. 2011, 2 ss.
[5] Sul principio di "precisione" cfr. per tutti Marinucci G. - Dolcini E., Manuale di diritto penale parte generale, Milano 2012, 4a ed., 57 ss.
[6]Negli stessi termini, ad esempio, cfr. da ultimo, Cass. pen. sez. pen. III, 14 novembre 2013, n. 45648, in giurisprudenzapenale.com, 18 novembre 2013, che ai fini della configurabilità dell'art. 612-bis c.p. il comportamento dell'agente dev'essere reiteratamente minaccioso o, comunque molesto, dal quale derivi, per il destinatario, quale ulteriore evento dannoso, un perdurante stato di ansia o di paura, oppure un fondato timore dello stesso per l'incolumità propria o dei soggetti vicini, oppure, ancora, il mutamento delle proprie abitudini di vita.
[7] Cfr. Cass. pen. sez. V, 22 giugno 2010, n. 34015, D.G.D., in CED Cass. pen. 2010; Cass. pen. sez. V, 12 gennaio 2010, n. 11945, G., in CED Cass. pen. 2010; Cass. pen. sez. V, 05 febbraio 2010, n. 17698, M., in CED Cass. pen. 2010; vedi anche Cass. pen. n. 11945 del 2010, in Dejure; per il perfezionamento della figura delittuosa con la verificazione di uno degli eventi descritti dalla fattispecie, tra gli altri, Bricchetti R - Pistorelli L., Sulla circostanza aggravante dell'omicidio c'è il rischio di interpretazioni forzate, in Guida dir. 2009, 19, 45.
[8] Cfr. Cass. pen. sez. V, 01 dicembre 2010, n. 8832, R.R.N., in Dejure.
[9] Cfr. Cass. pen. sez. V, 10 gennaio 2011, n. 16864, C., in CED Cass. pen. 2011; per una sorta di automaticità tra comportamenti e insorgenza dello stato di ansia cfr. anche Cass. pen. sez. VI, 16 luglio 2010, n. 32404, P.G.D., in Dir.& Giust. 2010 con nota di Natalini, in Riv. pen. 2010, 12, 1260.
[10] Cfr. Trib. Milano, 5 settembre 2009, in Corr. Mer., 2009, 1109.
[11] Seppur al fine della sussistenza dei requisiti relativi all'applicazione della tutela cautelare, cfr. Cass. pen. sez V, 7 novembre 2011, n. 40105, in Dejure.
[12] Una sorta di automatica consequenzialità tra comportamento dell'agente e insorgenza dello stato d'ansia si ricava in Cass. pen. sez. VI, 16 luglio 2010, n. 32404, in Dejure.
[13] Sostengono Tovani S. - Trinci A., Lo stalking, Roma, 2009, 50, che lo stato di ansia e di paura patologico deve potersi distinguere dalle situazioni di mero turbamento momentaneo ed è difficile distinguere la condizione descritta nell'art. 612-bis c.p. dalla vera patologia di tipo psichico.
[14] Cfr. Cass. pen. sez.V, 5 febbraio 2010, n. 17698, Marchino, in Dejure.
[15] Cfr. Cass. pen. sez. III, 14 novembre 2013, n. 45648, in Dejure.