17 aprile 2014
Caso Berlusconi-Mediaset: la Cassazione conferma la statuizione della Corte d'appello milanese sull'interdizione dei pubblici uffici
Cass., sez. III pen., sent. 18 marzo 2014 (dep. 14 aprile 2013), Pres. Squassoni, Rel. Grillo, Imp. Berlusconi
1. La Cassazione chiude definitivamente il noto processo sui diritti televisivi Mediaset, confermando la statuizione assunta in sede di rinvio dalla Corte d'appello milanese in punto pena accessoria (interdizione di due anni dai pubblici uffici) a carico di Silvio Berlusconi. Rinviando a tutte le precedenti puntate (cfr. le pronunce citate in calce alla scheda e già pubblicate sulla nostra Rivista) per ogni ulteriore dettaglio di questa del resto notissima vicenda processuale, vale qui la pena soltanto di riassumere, in estrema sintesi, i motivi di ricorso e le risposte della Corte.
2. Il ricorrente aveva, in particolare, eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 13 d.lgs. 74/2000, che prevede tra l'altro l'inapplicabilità delle pene accessorie al condannato che abbia estinto prima della dichiarazione di apertuira del dibattimento di primo grado i debiti tributari relativi ai fatti costitutitvi dei delitti per i quali è condannato. Ad avviso del ricorrente, la norma contrasterebbe infatti con l'art. 3 Cost. nella misura in cui la sua applicazione risulta preclusa a chi, come il ricorrente, era impossibilitato a estinguere il debito, essendo ormai uscito - all'epoca del processo - dalla compagine societaria obbligata al pagamento del debito.
La Corte territoriale avrebbe inoltre, ad avviso del ricorrente, fatto cattivo governo dei principi di cui all'art. 133 c.p., determinando la pena accessoria in misura pari a due terzi del massimo edittale (così come già era accaduto in relazione alla pena principale) sulla base di una valutazione di gravità di tutte le condotte oggetto dell'imputazione, comprese quelle ormai coperte dalla prescrizione.
Infine, la difesa del ricorrente aveva in udienza sostenuto la non cumulabilità della pena accessoria in questione con l'incandidabilità e/o decadenza dal mandato parlamentare prevista dall'art. 15 d.lgs. 235/2012 (c.d. legge Severino), da qualificare anch'essa come sanzione penale alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. L'applicazione cumulativa delle due sanzioni determinerebbe in effetti - anche alla luce della recentissima sentenza Grande Stevens c. Italia (della quale anche la nostra Rivista ha dato conto: cfr. A. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato,
9 marzo 2014) - la violazione del divieto di ne bis in idem, previsto dall'art. 4 Prot. 7 CEDU nonché dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Secondo quanto riferito in sentenza, la difesa aveva pertanto chiesto disporsi rinvio pregiudiziale alla Corte di Strasburgo [sic] per l'esame della questione.
Per inciso: quest'ultima richiesta, del tutto priva di senso se formulata in questi termini (la Cassazione non ha alcun potere di effettuare rinvii pregiudiziali a Strasburgo, fintanto almeno che non sarà ratificato ed entrerà in vigore il Prot. XVI alla Convenzione), immaginiamo fosse da intendere come riferita a un auspicato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea (che ha sede, come è noto, a Lussemburgo) affinché valutasse la compatibilità dell'applicazione della pena accessoria qui in esame, in quanto cumulata alla misura dell'incandidabilità/decadenza per la durata di sei anni prevista dalla legge Severino, con il divieto di bis in idem previsto dall'art. 50 della Carta, da leggersi quest'ultimo - ai sensi dell'art. 52 della Carta - anche alla luce della pertinente giurisprudenza di Strasburgo sulla corrispondente garanzia di cui all'art. 4 Prot. 7. Resta peraltro oscuro come, anche in questa (ipotetica) riformulazione, potesse ritenersi dimostrato il generale requisito cui è subordinata ai sensi dell'art. 51 l'applicazione della Carta nel diritto nazionale, e cioè che la specifica controversia all'esame ricada nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione europea.
3. Ad ogni buon conto, il collegio prende proprio le mosse dalla richiesta di "rinvio pregiudiziale alla CEDU" [sic], per il suo carattere di priorità logica rispetto alle censure articolate in ricorso. La richiesta viene peraltro respinta, rilevandosi che nel caso di specie le due misure in questione (la pena accessoria di due anni di interdizione dai pubblici uffici e l'incandidabilità per la durata di sei anni) semplicemente convergono nel determinare, in un arco temporale di due anni, un'unica limitazione del diritto all'elettorato passivo del condannato, senza alcun effetto di cumulo sanzionatorio per il medesimo fatto.
Quanto poi alla censura di illegittimità costituzionale dell'art. 13 d.lgs. 74/2000, il collegio rileva anzitutto che l'eccezione avrebbe dovuto essere prospettata avanti al giudice del processo principale, e non già in una fase del giudizio dedicata alla sola determinazione della pena accessoria, in cui tale eccezione appare irrilevante ai fini della decisione. Anche a prescindere da tale assorbente profilo, tuttavia, l'eccezione risulta ad avviso della Cassazione manifestamente infondata, dal momento che l'imputato avrebbe comunque potuto tempestivamente pagare, attingendo al proprio patrimonio personale, il debito fiscale gravante su Mediaset, in coerenza con la disciplina di cui all'art. 1180 c.c., conseguendo così il beneficio di cui all'art. 13.
Infine, la Corte rigetta la censura relativa all'inclusione dei fatti contestati ma ormai prescritti tra gli indici utilizzati per la commisurazione della pena ai sensi dell'art. 133 c.p., trattandosi di fatti comunque espressivi della personalità del soggetto, costituenti anzi veri e propri "precedenti giudiziari". Principio, questo, già affermato dalla giurisprudenza della S.C. con riguardo al distinto ma connesso problema della valutazione delle circostanze attenutanti generiche, e che si fonda sulla considerazione per cui simili fatti, ancorché non più penalmente sanzionabili, continuano a produrre conseguenze giuridiche, sul piano ad es. del risarcimento del danno. (F.V.)
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Per scaricare la prima sentenza della Corte d'appello di Milano (con scheda di A. Bell), poi annullata con rinvio dalla Cassazione in punto rideterminazione della pena accessoria, clicca qui.
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