ISSN 2039-1676


16 maggio 2014 |

Alle Sezioni Unite l'esercizio del diritto di astensione del difensore nei procedimenti camerali a partecipazione facoltativa

Cass., Sez. IV, ord. 25 marzo 2014 (dep. 5 maggio 2014), n. 18575, ric. Guerrieri e Tibo, rel. Foti

 

1. In attesa del deposito delle motivazioni della pronuncia delle Sezioni Unite del 27 marzo scorso[1] ed a pochi mesi di distanza da alcune sentenze che hanno ridisegnato i confini dell'astensione del difensore dalle udienze[2], la Quarta Sezione della Suprema Corte ritorna sui profili di legittimità dell'esercizio di tale diritto, con specifico riferimento ai procedimenti camerali a partecipazione facoltativa.

Nel caso di specie, prima dello svolgimento dell'udienza camerale fissata dal Giudice per le indagini preliminari a seguito della richiesta di archiviazione presentata dal Pubblico Ministero, sia il difensore delle persone sottoposte alle indagini sia il difensore delle persone offese depositavano dichiarazione di adesione all'astensione dalle udienze proclamata dall'Unione delle Camere Penali e chiedevano, pertanto, il rinvio della trattazione. Il Giudice con ordinanza rigettava l'istanza, motivando in ordine alla natura facoltativa della presenza del Pubblico Ministero, delle parti e dei rispettivi difensori, che, secondo il disposto di cui all'art. 127, comma 3, c.p.p., «sono sentiti se compaiono». Ricorreva per Cassazione il difensore delle persone offese, lamentando l'illegittimità dell'ordinanza con cui era stata rigettata l'istanza di rinvio, per violazione sia delle norme processuali (sub specie di nullità ai sensi dell'art. 127, comma 5, c.p.p.), sia delle disposizioni costituzionali di cui agli artt. 18 e 24 Cost. In particolare, sotto quest'ultimo profilo, i ricorrenti evidenziavano che, a seguito dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di rinvio, il difensore delle persone offese aveva ribadito la propria adesione all'astensione mentre al contrario il difensore degli indagati aveva revocato la propria precedente dichiarazione, partecipando all'udienza camerale e discutendo la posizione dei propri assistiti. Tale situazione di fatto, a fronte del legittimo esercizio del diritto di astensione dei difensori, avrebbe determinato al contempo una violazione del diritto di difesa delle persone offese e della libertà di associazione del difensore.

 

2. La Suprema Corte giustifica la rimessione della questione alle Sezioni Unite sulla base di un contrasto interpretativo sorto a seguito dell'innovativa presa di posizione della giurisprudenza di legittimità in tema di diritto di astensione nei procedimenti camerali in grado d'appello.

Per orientamento giurisprudenziale consolidato, richiamato anche dal Giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza impugnata, la natura facoltativa della partecipazione delle parti all'udienza che si svolge in camera di consiglio determina l'esclusione di un diritto al rinvio in capo al difensore che dichiari di aderire ad una astensione collettiva di categoria. Il percorso motivazionale condiviso dalle pronunce della Cassazione parte dall'assunto (alle volte implicito, alle volte esplicitato come obiter dictum) che l'adesione del difensore ad una astensione dalle udienze, quando esercitata nel rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari, costituisce un legittimo impedimento partecipativo[3]. Ed invero, lo stesso tenore letterale dell'art. 127, comma 5, c.p.p. esclude il diritto al rinvio, prevedendo la nullità del procedimento in camera di consiglio solo laddove la mancata presenza del difensore sia stata determinata da omessa od irrituale notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza.

Per contro, una recente sentenza della Suprema Corte[4] perviene a conclusioni opposte. La pronuncia riguarda nello specifico la celebrazione del giudizio d'appello nelle forme del rito camerale, ma le argomentazioni hanno una portata applicativa (potenzialmente) molto più ampia. Punto di partenza è la diversa definizione della natura giuridica del diritto di astensione del difensore che, seguendo una linea interpretativa già inaugurata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 171 del 1996, deve essere configurato come espressione diretta della libertà di associazione di cui all'art. 18 Cost. L'esercizio del diritto di astensione, proprio in quanto costituzionalmente tutelato, non può essere ricondotto nell'alveo del semplice impedimento (se pure legittimo) a comparire e - se azionato nel rispetto dei presupposti e dei limiti previsti dalla legge, dal Codice di Autoregolamentazione e dalla Commissione di Garanzia - configura sempre un diritto al rinvio dell'udienza. Se questa è la natura giuridica dell'astensione del difensore, la distinzione tra procedimenti camerali a partecipazione necessaria e procedimenti camerali a partecipazione facoltativa, oltre che priva di qualsivoglia riferimento normativo risulta, a giudizio della Suprema Corte, del tutto irragionevole.

 

3. Quale che sarà la soluzione adottata nel caso di specie, pare che alcuni punti fermi ribaditi dalla più recente giurisprudenza di legittimità (anche a Sezioni Unite) non possano essere messi in discussione, se non a rischio di compiere un passo avanti e due passi indietro nella determinazione dei limiti di esercizio del diritto di astensione del difensore.

La natura del diritto come espressione di libertà associativa degli avvocati trova copertura costituzionale nell'art. 18 Cost., così come già espressamente riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza 171 del 1996, ed è confermata dall'ontologica differenza sostanziale che intercorre con l'istituto processuale del legittimo impedimento. Inoltre, il ruolo del Codice di Autoregolamentazione, cui a più riprese è stato attribuito valore di normativa secondaria, individua un punto di bilanciamento tra i diversi interessi costituzionali in gioco (diritto di difesa, buon andamento dell'amministrazione giudiziaria, principio di ragionevole durata del processo) ed è stato giudicato, dalla stessa giurisprudenza di legittimità, razionale e sistematico. Convince, infine, l'intento della linea interpretativa da ultimo espressa dalla Cassazione: evitare che la natura facoltativa della partecipazione ad alcuni procedimenti possa condizionare (e quindi limitare) l'esercizio di un diritto di libertà costituzionalmente garantito. Resta in via residuale in capo al giudice il potere di sindacare l'esercizio del diritto ai fini della concessione del rinvio dell'udienza nei soli casi in cui sussistano «situazioni che rendono indifferibile la trattazione del processo»[5].

Si attendono ora il deposito delle motivazioni e la nuova decisione delle Sezioni Unite, consapevoli della delicatezza di un tema che, anche alla luce dei suoi connotati più strettamente politici, coinvolge il rapporto tra magistratura ed avvocatura.

 

L'udienza per la trattazione del ricorso dinanzi alle Sezioni Unite è stata fissata per il 30 ottobre 2014, relatore Cons. Amedeo Franco.

 


[1] Con ordinanza di rimessione n. 51524/2013, pubblicata in questa Rivista, era stata rimessa alle Sezioni Unite la questione «se, anche dopo l'emanazione del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con delibera del 13 dicembre 2007, il giudice - in caso di adesione del difensore all'astensione - possa disporre la prosecuzione del giudizio, in presenza di esigenze di giustizia non contemplate nel codice suddetto». Sul punto, la soluzione fornita dalla Suprema Corte è - come risulta dall'informazione provvisoria, anch'essa pubblicata in questa Rivista - «negativa, salvo che sussistano situazioni che rendano indifferibile la trattazione del processo».

[2] Si segnalano, in particolare, due profili tematici. Da un lato, sulla legittimità dell'esercizio del diritto di astensione nei procedimenti cautelari, Cass., sez. un., 30 maggio 2013, n. 26711, Ucciero, - atteso il valore di normativa secondaria dell'art. 4 Codice di Autoregolamentazione adottato il 4 aprile 2007 - esclude espressamente che l'astensione possa riguardare le udienze penali «afferenti misure cautelari» (anche reali, come precisato successivamente da Cass., sez. VI, 12 luglio 2013, n. 39871, Notarianni). Dall'altro lato, per quanto concerne il rapporto tra diritto di astensione e decorso del termine di prescrizione del reato, Cass., sez. VI, 12 luglio 2013, n. 51524, Cartia, si è espressa nel senso della perfetta razionalità e sistematicità del disposto di cui all'art. 4 comma 1 lett. a) del Codice di Autoregolamentazione, nella parte in cui non consente l'astensione nei giudizi di legittimità dove la prescrizione dei reati maturi nei novanta giorni successivi.  

[3] Così, da ultimo, Cass. sez. VI, 19 febbraio 2009, n. 14396, Leoni, in Cass. pen. 2010, 711, che in una fattispecie del tutto analoga al caso in esame (assenza del difensore della persona offesa in udienza camerale fissata ai sensi dell'art. 410 comma 3 c.p.p. per dichiarata adesione ad una astensione di categoria), precisava che «il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio dell'udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio, per i quali è previsto che i difensori, il p.m. e le altre parti interessate sono sentiti se compaiono». In senso conforme, Cass. sez. I, 20 dicembre 2012, n. 5722, Morano, in Cass. pen. 2014, 237.

[4] Cass., sez. VI, 24 ottobre 2013, n. 1826, S., in questa Rivista.

[5] Così Cass., sez. un., 27 marzo 2014.