ISSN 2039-1676


01 luglio 2014 |

Condotta allettatrice del consulente tecnico del p.m.: la Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione sollevata dalle Sezioni Unite

Corte cost., 10 giugno 2014, n. 163, Pres. Silvestri, Rel. Frigo

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1. Con la sentenza in epigrafe la Corte costituzionale si è pronunciata in merito all'ordinanza con cui le Sezioni Unite penali della Cassazione avevano sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 322, co. 2, c.p., in riferimento all'art. 3 Cost., «sotto il duplice profilo della inspiegabile disparità di trattamento di situazioni analoghe e della irragionevolezza, nella parte in cui per l'offerta o la promessa di denaro o altra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero per il compimento di una falsa consulenza prevede una pena superiore a quella di cui all'art. 377, comma primo, cod. pen., in relazione all'art. 373 cod. pen.» [così, testualmente, Cass., Sez. un., ord. 27 giugno 2013 (dep. 23 ottobre 2013), n. 43384, pubblicata in questa Rivista, con nota di M. Scoletta e con ampio commento di G. Oss, Situazioni analoghe, pene differenti: le Sezioni Unite chiedono l'intervento della Corte Costituzionale. Qualche riflessione sulle discrasie dell'ordinamento penale e sul principio di ragionevolezza].

 

2. Come si ricorderà, il massimo consesso si era determinato nel senso anzidetto a seguito di una approfondita disamina votata a dirimere la problematica questione della sussumibilità della condotta allettatoria del consulente tecnico del pubblico ministero nella fattispecie di istigazione alla corruzione di cui all'art. 322 c.p. o, piuttosto, in quella di intralcio alla giustizia di cui all'art. 377 c.p.[1]

Più esattamente, nell'ambito di un procedimento in cui, peraltro, erano aggallate ulteriori ipotesi ricostruttive e si erano abbracciate opzioni qualificatorie non sempre coincidenti, esso era stato investito, dalla Sesta sezione, del quesito concernente la configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 377 c.p. «nel caso di offerta o promessa di denaro o di altra utilità al consulente tecnico del pubblico ministero al fine di influire sul contenuto della consulenza, qualora il consulente tecnico non sia stato ancora citato per essere sentito sul contenuto della consulenza» [così, testualmente, Cass., sez. VI, 14.3.2013 (dep. 20.3.2013), n. 12901 (ord.), pubblicata in questa Rivista, con nota di M. Ricci].

Condividendo sul punto l'impostazione dell'ordinanza di rimessione e in difformità, a quanto consta, da quella più ricevuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le Sezioni Unite prediligevano una lettura in chiave sostanziale e funzionale delle figure di «testimone» e di «persona chiamata a rendere informazioni» ai sensi e per gli effetti dell'art. 377 c.p., opinando nel senso che «il consulente tecnico, con la nomina del pubblico ministero, riveste già una precisa veste processuale, potenzialmente destinata a refluire sull'assunzione della qualità "testimoniale" ex art. 371-bis e 372 cod.pen.» e che tale qualità «anche se non ancora formalmente assunta, può dunque ritenersi immanente, in quanto prevedibile e necessario sviluppo processuale della funzione assegnata al consulente tecnico nominato dalla parte pubblica».

Giudicata non ostativa alla sussunzione nella fattispecie di subornazione l'assenza di (autorizzazione alla) citazione del consulente, le Sezioni Unite, divergendo in parte qua dalla interpretazione accolta dalla Sezione remittente, ritenevano, nondimeno, di dover considerare elemento discretivo tra le 'finitime' fattispecie di istigazione alla corruzione e di intralcio alla giustizia il carattere rispettivamente valutativo o meramente descrittivo dell'indagine tecnica affidata al consulente del p.m.

Sulla base di un tale assunto, verificata la natura «di tipo squisitamente valutativo» della consulenza conferita, nel caso di specie, all'ausiliario tecnico della pubblica accusa, i giudici di legittimità riconducevano la condotta allettatoria perpetrata ai suoi danni all'ambito di operatività dell'art. 322, co. 2, c.p., ma, al contempo, evidenziavano la irragionevole sperequazione del trattamento sanzionatorio cui, a quel punto, sarebbero state assoggettate la proposta corruttiva indirizzata ad un consulente tecnico del pubblico ministero, da una parte, e la condotta allettatrice di un perito, dall'altra.

Veniva così sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 322, co. 2, c.p. nella parte in cui, applicabile altresì alla condotta istigatoria perpetrata ai danni dell'ausiliario tecnico della parte pubblica, riserva alla predetta un regime punitivo di maggiore rigore rispetto a quello di cui, in virtù dell'art. 377 c.p., in relazione all'art. 373 c.p., sarebbe passibile l'azione subornatrice del perito del giudice penale/consulente tecnico del giudice civile.

Peraltro, le perplessità di ordine costituzionale si ispessivano, nella prospettiva delle Sezioni Unite, tanto considerando la dissimmetria sanzionatoria cui l'offerta corruttiva indirizzata al consulente tecnico del p.m. si esporrebbe «a seconda che il suo destinatario sia chiamato ad esprimere valutazioni tecnico-scientifiche (ipotesi inquadrabile nel più grave paradigma punitivo della istigazione alla corruzione), ovvero semplicemente a descrivere i fatti accertati (fattispecie integrativa del delitto di intralcio alla giustizia, meno gravemente punitivo)», quanto osservando «il "paradosso" sistematico per cui solo la particolare e neppure più grave forma di intralcio alla giustizia di cui si discute rimarrebbe estranea alla specifica partizione del codice penale dedicata ai delitti contro l'amministrazione della giustizia rimanendo "confinata" tra i delitti contro la pubblica amministrazione» (così, testualmente, nel sintetizzare gli argomenti posti dalla Cassazione a supporto della asserita irragionevolezza della previsione censurata, Corte cost., n. 163 del 2014, punto 1 del Considerato in diritto).

 

3. La Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla ragionevolezza della differenza di trattamento tra le due fattispecie in esame, si trovava dunque a fronteggiare una censura formulata in relazione al parametro costituzionale dell'art. 3 Cost. e declinata secondo il ben noto e frequentato modello triadico.

Come era probabilmente da attendersi, tuttavia, la questione di costituzionalità - lo si già anticipato - è stata dichiarata inammissibile.

Con motivazione perentoria, la Corte addiviene alla predetta sentenza di rito argomentando in ordine alla sostanziale 'inutilità' di una pronuncia di accoglimento del petitum, inteso ad incidere sulla cornice edittale di cui all'art. 322, co. 2, c.p.

Le ragioni sono presto dette.

In primo luogo, i giudici costituzionali evidenziano l'irrilevanza della questione sollevata rispetto al procedimento a quo, non condividendo l'assunto delle Sezioni Unite in virtù del quale osterebbe all'applicabilità dell'art. 377 c.p. il carattere eminentemente valutativo della consulenza tecnica affidata all'ausiliario del pubblico ministero.

In secondo luogo, viene rilevata la scarsa, se non nulla, funzionalità dell'intervento invocato a fini ripristinatori del principio di ragionevolezza-eguaglianza asseritamente violato.

La Corte costituzionale, infatti, ritiene problematica la stessa equiparazione, quoad poenam, della subornazione del consulente del pubblico ministero alla subornazione del perito, nuovamente dissentendo dal presupposto di partenza delle Sezioni Unite per cui si tratterebbe di «situazioni del tutto analoghe».

A supporto dell'anzidetta conclusione, viene rimarcata la circostanza che la pertinente disciplina codicistica, per le false informazioni al pubblico ministero (art. 371-bis c.p.), contempla una pena inferiore a quella prevista per la fattispecie di falsa testimonianza (art. 372 c.p.), regime cui farebbe da pendant la dicotomia di cornici edittali (connotate, rispettivamente, da minore e maggiore severità) prescritte per la subornazione di persone chiamate a rendere dichiarazioni davanti al pubblico ministero (art. 377 c.p., nella parte in cui rinvia all'art. 371-bis c.p.) e per la subornazione di persone chiamate a rendere dichiarazioni davanti al giudice (art. 377 c.p., nella parte in cui rinvia, viceversa, all'art. 372 c.p.).

L'esigenza di una differenziazione del trattamento punitivo in ragione del destinatario (p.m. o giudice) del mendacio, avvertita in relazione alle persone portatrici di "informazioni non tecniche" s'imporrebbe, allora, anche in relazione alle persone portatrici di "informazioni tecniche", in maniera del resto pienamente rispondente alla logica del processo accusatorio, implicando altresì una necessaria divaricazione della risposta sanzionatoria riservata alle eventuali condotte allettatrici perpetrate nei confronti di tali ultime persone a seconda che esse siano chiamate a rendere dichiarazioni davanti al pubblico ministero o al giudice.

In una tale chiave prospettica, allora, l'intervento sollecitato dai giudici di legittimità, che, in definitiva, avrebbe implicato il riconoscimento di un medesimo disvalore alle condotte subornatrici dell'ausiliario del p.m. e del giudice, lungi dal profilarsi come emendativo di una irragionevole sperequazione sanzionatoria, avrebbe 'asseverato', viceversa, una surrettizia equiparazione tra consulente tecnico del pubblico ministero e perito, parimenti incompatibile, alla luce di un sistema a connotazione non inquisitoria, con l'art. 3 Cost.

D'altronde, esso non sarebbe stato risolutivo neppure su altro e diverso fronte, giacchè inidoneo ad incidere, elidendola, sull'ipotetica ed incongrua duplicazione della risposta punitiva cui, secondo la Corte costituzionale, rischierebbe di esporsi il soggetto che offra o prometta denaro al consulente tecnico cui sia stata affidata un'indagine tecnica postulante tanto il riscontro di dati oggettivi quanto l'espressione di valutazioni. Soggetto chiamato a rispondere, sviluppando compiutamente il ragionamento delle Sezioni Unite, non di uno solo, ma di due reati in concorso formale tra loro.

 

4. Così riassunti i termini della vicenda e i contenuti della pronuncia della Corte costituzionale, la considerazione 'a prima lettura' che la declaratoria di inammissibilità in esame sollecita attiene alla radicale presa di distanza dei giudici costituzionali rispetto all'opzione ermeneutica abbracciata da quelli di legittimità.

In primis, come si è visto, viene reputato non condivisibile l'assunto della non ostatività, agli effetti dell'applicazione dell'art. 377 c.p., del carattere valutativo della consulenza tecnica conferita dal pubblico ministero.

Su tale presa di posizione non è dato nutrire particolari dubbi. Sebbene in prima battuta si possa essere anche disposti a ritenere che le affermazioni della Corte riguardino soltanto il caso di specie, in quanto intese ad evidenziare come la peculiare verifica in ordine all'idoneità di un addestramento di un pilota di aereo non sia etichettabile come indagine tecnica «di tipo squisitamente valutativo», con conseguente irrilevanza della questione per l'ipotesi in esame, a conclusione opposta si sarebbe portati a giungere dopo la lettura della parte finale della pronuncia che prospetta gli incongrui esiti cui in generale si addiverrebbe, abbracciando la tesi propugnata dalle Sezioni Unite della Cassazione, in riferimento a consulenze a carattere 'misto'.

Tuttavia, è in relazione alla incriminazione assunta a tertium comparationis dal Collegio remittente che le considerazioni dei Giudici costituzionali si fanno più ficcanti, posto l'inopinato richiamo alla fattispecie di cui all'art. 377 c.p., in relazione all'art. 373 c.p.

Del resto, l'ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite esibiva indubbi profili di criticità da tale punto di vista.

Nello stesso provvedimento, in effetti, si era motivato tanto in merito alla differenza tra perito e consulente tecnico del pubblico ministero (in specie § 5), quanto, in linea di principio, in merito alla applicabilità, proprio in relazione all'ausiliario della parte pubblica, degli artt. 371-bis e 372 c.p., anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 377 c.p. (in particolare §§ 6 e 7).

E, una volta ravvisato nella peculiare connotazione della consulenza tecnica l'ostacolo all'applicazione concreta delle disposizioni da ultimo citate, coerenza avrebbe voluto che la fattispecie con cui comparare la più severa previsione di cui all'art. 322, co. 2 c.p. fosse stata quella di cui all'art. 377 c.p., in relazione all'art. 371-bis c.p.

Il raffronto, viceversa, viene operato con l'art. 373 c.p. in ragione della similare caratterizzazione delle dichiarazioni-valutazioni cui sarebbe chiamato il consulente tecnico del pubblico ministero e il perito (consulente tecnico) del giudice.

Ma in ciò, appunto, la fallacia argomentativa.

Come ben evidenzia la Corte costituzionale, nel vigente ordinamento, la differenziazione del trattamento sanzionatorio non correrebbe lungo il crinale del carattere tecnico o non tecnico delle dichiarazioni rese o da rendere (come si ricava dalla identità di pena contemplata per la falsa testimonianza e per la falsa perizia e, corrispondentemente, per la subornazione di testimone e per la subornazione di perito), ma dipenderebbe dal destinatario (pubblico ministero o giudice) del mendacio o delle dichiarazioni che il subornato sia chiamato a rendere.

A questo punto, non resta che attendere la decisione della Cassazione.

Non sembra possa essere esclusa - anche se probabilmente è recessiva in virtù delle notazioni della Corte costituzionale in punto di rilevanza rispetto al procedimento a quo - l'ipotesi che i giudici di legittimità ritengano di tener ferma la propria ricostruzione ermeneutica e, al contempo, di sollevare una nuova eccezione di costituzionalità che tenga in conto le indicazioni della sentenza in commento.

Ma, in una tale evenienza, meriterebbe forse ripensare, più in generale, i termini della questione di legittimità, posto, da un lato, che permarrebbero comunque le difficoltà, da più parti evidenziate, connesse ad una incisione dell'art. 322, co. 2, c.p. e considerato, dall'altro, che sarebbe più agevolmente percorribile la strada di un intervento manipolativo sull'art. 377 c.p., in relazione all'art. 371-bis c.p., (se e) nella parte in cui si ritenga che la disposizione non attragga al proprio perimetro applicativo l'ipotesi di condotta allettatrice di consulente tecnico chiamato ad esprimere le proprie valutazioni al p.m.

La sensazione, ad ogni modo, è che, una volta opinato nel senso che, in linea di principio, l'art. 371-bis c.p. possa trovare applicazione nei confronti dell'ausiliario tecnico del pubblico ministero, quand'anche solo nominato da quest'ultimo - il vero punctum crucis, in realtà, della problematica in esame -, l'interprete disporrebbe di margini tutto sommato sufficienti per ricondurre all'ambito di operatività della fattispecie di subornazione, reato di mero pericolo, la condotta allettatoria di costui, ancorché chiamato a rendere dichiarazioni involgenti apprezzamenti o valutazioni.

Parrebbe sollecitare a tanto la Corte costituzionale. Sebbene non un interprete qualsiasi, ma l'organo della nomofilachia.

 


[1]  Sulla problematica in esame, tra i contributi più recenti, oltre a quelli pubblicati nella presente Rivista, si segnalano quelli di B. Pasquale, La 'subornazione' del consulente del pubblico ministero tra istigazione alla corruzione e intralcio alla giustizia, in Cass. pen., n. 3/2014, pp. 897 ss.; B. Romano, L'istigazione nei confronti del consulente tecnico: le Sezioni Unite investono la Corte costituzionale, ivi, n. 2/2014, pp. 462 ss.; Id., Istigare un consulente tecnico del pubblico ministero a predisporre una falsa consulenza costituisce reato? Alle Sezioni Unite vecchie incertezze e nuovi dubbi, ivi, n. 4/2013, pp. 1304 ss.

Quanto al reato di intralcio alla giustizia si rinvia, tra gli altri, a F. Siracusano, Dalla subornazione all'intralcio alla giustizia: gli adeguamenti tecnici e le nuove esigenze di tutela, in Cass. pen., n. 9/2012, pp. 3217 ss.