ISSN 2039-1676


23 settembre 2014 |

Alle Sezioni unite la questione relativa al computo dei termini massimi di durata della custodia cautelare in caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale

Cass. Sez. II pen., ord. 27 giugno 2014 (dep. 22 luglio 2014), n. 32419, Pres. Fiandanese, Rel. Di Marzio, Proc. gen. Fraticelli, ric. Ventrici

1. Con l'ordinanza qui pubblicata approda alle Sezioni unite della Corte Suprema una dibattuta questione in materia di misure cautelari: "se ai fini della determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari e, di conseguenza, dei relativi termini di durata, si debba tenere conto - ai sensi dell'art. 63, comma 4, c.p. - in caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale[1], non solo della pena stabilita per la circostanza più grave ma anche dell'aumento complessivo di un terzo per tutte le altre circostanze globalmente considerate".

La discussione del citato ricorso è prevista per l'udienza del 27 novembre 2014.

In breve, nel caso di specie, l'imputato era destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare per i delitti, fra gli altri, previsti e disciplinati dagli artt. 629 co. 2 c.p. in relazione all'art. 628 co. 2 n. 1) c.p. e 7 legge n. 203 del 1991. Avverso tale provvedimento i difensori presentavano un'istanza volta ad ottenere la declaratoria di inefficacia della misura coercitiva per superamento dei termini di fase. Il Tribunale di Vibo Valentia, infatti, determinava in anni due la durata della misura de libertate, in virtù del fatto che la concorrenza di due aggravanti ad effetto speciale avrebbe condotto ad una pena edittale superiore ad anni venti. In sostanza, al massimo edittale previsto dall'art. 629 cpv. c.p. avrebbe dovuto considerarsi l'ulteriore aumento di un terzo per l'aggravante del metodo mafioso. A parere della difesa, invece, la durata massima doveva determinarsi in anni uno e mesi sei, ex art. 303 co. 1 lett. b) n. 2 e n. 3 bis c.p.p. L'aumento di pena conseguente all'aggravante del metodo mafioso rientrava nella valutazione discrezionale del giudice, in attuazione del disposto dell'art. 63 co. 4 del codice penale. In altri termini, ai fini della quantificazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure, la disciplina dettata dall'art. 278 c.p.p. doveva essere integrata dall'art. 63 co.4 c.p., in forza del quale se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla.

Respinte le argomentazioni della difesa, veniva proposto appello sulla base dei medesimi motivi. Tuttavia, l'ordinanza impugnata veniva confermata anche dal Tribunale della libertà di Catanzaro. Ecco che la questione arriva alla Seconda sezione della Suprema Corte.

Il massimo Collegio della Cassazione è dunque chiamato a rispondere al seguente quesito: in presenza del concorso di circostanze ad effetto speciale la circostanza soccombente si trasforma da circostanza ad effetto speciale in circostanza facoltativa comune, ai fini della quantificazione della pena agli effetti della durata delle misure cautelari? Oppure tale regola di diritto vale solamente per la determinazione del trattamento sanzionatorio?

Sul thema decidendum, vengono in rilievo due disposizioni: l'art. 278 c.p.p. che prescrive che agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato, tenendosi, tra l'altro, conto delle circostanze per cui la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale; e l'art. 63 co. 4 c.p., che, come anticipato, in caso di concorso di circostanze ad effetto speciale, accorda la preferenza alla circostanza più grave, con facoltà per il giudice di aumentarla.

 

2. In materia di determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, gli orientamenti della giurisprudenza sono stati disarmonici.

L'indirizzo più conservatore[2] nega l'applicabilità del criterio di computo della pena di cui all'art. 63 co. 4 c.p. in materia cautelare e mette in luce la tendenza dell'art. 278 c.p.p. a salvaguardare esigenze di natura processuale, calibrate alla gravità del reato in questione. Di qui, la necessità di elevare il limite edittale della pena in ragione di ciascuna delle aggravanti accertate[3].

In una posizione più mite si colloca quella giurisprudenza costante (richiamata nel provvedimento impugnato) che, pur riconoscendo l'opportunità di applicare l'art. 63 co. 4 alle misure cautelari, impone di considerare tutte le circostanze ad effetto speciale e non soltanto la più grave di esse: "Una volta stabilita l'autonomia concettuale di ciascuna aggravante il computo dovrà essere effettuato secondo i criteri indicati dall'art. 63 c.p., e perciò nella misura massima prevista per la più grave delle aggravanti ad effetto speciale con un ulteriore aumento di un terzo per le successive complessivamente considerate."[4] In questo modo, queste ultime, mantenendo "ontologicamente" la natura di circostanze ad effetto speciale, "conservano la loro incidenza ai fini della quantificazione della pena edittale che determina la durata massima della custodia cautelare"[5].

Ma vi è di più. In un'altra occasione l'organo della nomofilachia[6] mette in luce come "la scelta legislativa di moderazione punitiva, mediante il criterio del cumulo giuridico, non è affatto idonea a trasformare ciascuna delle più circostanze ad effetto speciale, meno gravi o di pari gravità rispetto a quella più grave, in circostanza comune, di conseguenza irrilevante ai fini del computo dei termini di durata della misura cautelare personale". La necessità di apprezzare tali circostanze troverebbe conforto, secondo la Corte, nel testo dell'art. 278 c.p.p. laddove prescrive di tener conto, per la determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure, delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

Infine, secondo una visione più elastica e garantista, a lungo rimasta isolata, agli effetti dell'art. 278 c.p.p., non bisognerebbe valutare quelle circostanze che, smarrendo la loro matrice di circostanze ad effetto speciale, diventano estranee al novero delle circostanze di cui la disposizione richiamata impone di tener conto ai fini dell'applicazione della misura cautelare. Diversamente, si attribuirebbe ad esse natura "ancipite", in quanto verrebbero valutate comuni, ai fini del giudizio, e ad effetto speciale, ai fini cautelari[7].

 

3. Più di recente, tale indirizzo risulta avvalorato dalle Sezioni unite.

Invero, la tematica del concorso di circostanze ad effetto speciale ai fini della quantificazione della pena non è nuova al massimo Collegio della Cassazione[8]. Quest'ultimo, infatti, nel 2011, è stato chiamato a pronunciarsi sulla natura della recidiva quale circostanza ad effetto speciale, e, di conseguenza, sull'applicabilità del meccanismo ex art. 63 co. 4 c.p. nel caso di ricorrenza di più aggravanti ad effetto speciale.

Sotto questo profilo, la Corte ha ribadito la necessità di applicare soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; inoltre, ha riconosciuto al giudice il potere (espressamente attribuito dalla legge) di valutare, a propria discrezione, l'opportunità di aumentare la pena per l'operatività delle altre circostanze[9]. È in tale facoltà del giudice che si sostanzia la differenza tra l'ipotesi di concorso di circostanze ad effetto speciale e la situazione del cumulo giuridico in tema di concorso di reati e di reato continuato. Nella prima, infatti, la variazione di pena è facoltativa, nella seconda è obbligatoria. Rebus sic stantibus, "la circostanza aggravante soccombente, che consente al giudice di applicare un ulteriore aumento di pena, si trasforma da circostanza ad effetto speciale in circostanza facoltativa comune, atteso che il legislatore non ha predeterminato l'entità della variazione di pena che il giudice può apportare".

Come già anticipato, gli elementi fondanti il ricorso fanno leva sul recente orientamento delle Sezioni unite[10].

 

4. Alla luce della digressione giurisprudenziale risulta di tutta evidenza come il nodo della questione ruoti attorno ai rapporti tra due norme, l'art. 278 c.p.p., espressamente dedicato al computo della durata delle misure cautelari, e l'art. 63 co. 4 c.p., riservato alla quantificazione del trattamento sanzionatorio.

Si tratta quindi di comprendere se il meccanismo predisposto da quest'ultima disposizione possa trovare terreno fertile nel campo dei provvedimenti de libertate.

Se è vero, da un lato, che il processo di merito e il procedimento incidentale cautelare sono differenti per fondamento (acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell'imputato per il primo, e ragionevole e probabile colpevolezza ai fini dell'applicazione del potere cautelare, per il secondo) ed esiti, dall'altro, vero è anche che tale diversità non giustifica una molteplice interpretazione delle medesime regole a seconda che vengano disposte dal giudice di merito o da quello della cautela[[11]]. D'altronde, la riforma del giusto processo ha portato ad un livellamento delle difformità prima esistenti, con l'obiettivo di preservare le stesse garanzie e gli stessi diritti in due procedimenti che, seppur differenti, rivelano interferenze[12].

 

5. Delineati brevemente i termini della querelle, non resta che attendere il verdetto auspicabilmente definitivo delle Sezioni Unite. In previsione, sembra plausibile ritenere che la soluzione non dovrebbe discostarsi dall'orientamento seguito dal massimo Collegio nel 2011.

Se l'art. 63 co. 4 c.p. regola il funzionamento del concorso tra più circostanze ad effetto speciale, non si comprende per quale ragione il suo campo d'azione debba essere limitato alla quantificazione del trattamento sanzionatorio. Anzi, se il meccanismo di favore dispiega i suoi effetti ai fini della determinazione della sanzione, esito finale del giudizio di merito (la condanna), nessun dubbio dovrebbe residuare circa la sua applicabilità ai fini del computo dei termini di custodia cautelare, misura ante iudicio che presuppone la non colpevolezza dell'imputato.

Peraltro, "Il processo penale è il luogo ove nel modo più evidente e in tutta la sua intensità si manifesta la tensione che contrappone l'autorità statuale alla libertà del singolo individuo"[13]; e tale compromissione della libertà personale si verifica non solo nella fase finale nel processo, ma anche nel suo evolversi, attraverso una vasta gamma di interventi di varia natura, probatoria o cautelare. Partendo dalla situazione attuale, resa drammatica da numerosi interventi legislativi di carattere securitario e da interpretazioni giurisprudenziali lontane dalla ratio originaria delle disposizioni in materia, occorre rivitalizzare il principio costituzionale della inviolabilità della libertà personale[14]. "Bisogna dunque muoversi su un piano diverso che sia proiettato verso un regime che dia attuazione al principio secondo cui la libertà ante iudicium è la regola, la misura restrittiva l'eccezione"[15].

 


[1] Si ricorda che per circostanza ad effetto speciale si intende quella che importa un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo (art. 63 co.3 c.p.).

[2] In questo senso: Cass. pen., Sez. I, 2 aprile 1996, n. 2125; Cass. pen., Sez. VI, 6 marzo 1995, n. 824.

[3] In particolare cfr. Cass. pen., Sez. I, 19 aprile 1996, n. 2125: "La disposizione dell'art. 63 co. 4 c.p. che prevede la facoltà del giudice, nel concorso di più circostanze ad effetto speciale, di aumentare la pena stabilita per la circostanza più grave, attiene esclusivamente alla concreta entità del trattamento sanzionatorio all'esito del giudizio di merito, mentre la disciplina della determinazione della pena ex art. 278 c.p.p. siccome ricollegata a esigenze di cautela di natura processuale, è in grado di assicurarne la realizzazione solo attraverso il sistema di calcolo ivi considerato."

[4] Così anche v. Cass. pen., Sez. V, 13 marzo 1997, n. 1240; Cass. pen., Sez. I, 31 marzo 2005, n. 19841 (in questa occasione, peraltro la Suprema Corte si imbatte in un caso simile a quello in commento. Nella specie si trattava di estorsione aggravata ed ulteriormente aggravata ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203 del 1991.); Cass. pen., Sez. VI, 24 ottobre 2007, n. 41233.

[5] V. Cass. pen., Sez. I., 9 aprile 1996, n. 2314. In questo senso: Cass. Sez. un., 8 aprile 1998, n. 16 (In particolare, "ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, nel caso concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o circostanze ad effetto speciale, si deve tener conto, ai sensi dell'art. 63 co. 4 c.p., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumentata di un terzo, e tale aumento costituisce cumulo giuridico delle ulteriori pene e limite legale dei relativi aumenti per le circostanze meno gravi del tipo già detto che mantengono la loro natura").

[6] Cass. pen., Sez. I, 19 aprile 1996, n. 2125.

[7] Cass. pen., Sez. I., 27 febbraio 1996, n. 1301.

[8] Cass., Sez. un., 24 febbraio 2011, n. 20798.

[9] In questo senso anche: Cass. pen., Sez. I, 17 maggio 2010, n. 18513.

[10] Peraltro, non si può trascurare che in sede di valutazione sulla rilevanza o meno della circostanza aggravante meno grave ai fini della determinazione della pena, il giudice ha uno specifico dovere di motivazione; in particolare, nel caso in cui non la escluda dovrà mettere in luce le ragioni che hanno indotto alla quantificazione dell'aumento. Cfr. Cass. pen., Sez. II, 22 novembre 2012, n. 5911.

[11] E' la stessa Cassazione a sottolinearlo (Cfr. Cass. pen., Sez. I., 27 febbraio 1996, n. 1301).

[12] Per alcune riflessioni di ordine generale sul punto, cfr. L. Lupària, Appunti sparsi sull'incidente cautelare, tra incongruenze logico-sistematiche e contaminazioni del merito, in AA. VV., Libertà dal carcere, libertà nel carcere. Affermazione e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale, Torino, 2013, p. 229. Qualche approfondimento relativo alla questione qui affrontata in E. N. La Rocca, Ancora incertezze su termini di custodia cautelare e criteri di determinazione della pena: alle Sezioni unite il compito di far chiarezza, in Archivio Penale, n. 3, 2014; B. Lavarini, Di nuovo alle Sezioni unite la questione della computabilità a fini cautelari del concorso omogeneo di circostanze ad effetto speciale, in Archivio Penale, n. 3, 2014.

[13] G. Colaiacovo, Le fragili garanzie della libertà personale per una effettiva tutela dei principi costituzionali, in Cass. pen., n. 2, 2014, p. 731.

[14] G. Colaiacovo, op. cit.; nella stessa prospettiva si veda: M. Ceresa-Gastaldo, Riflessioni de iure condendo sulla durata massima della custodia cautelare, in Riv.it.dir.proc.pen., n. 2, 2014, p. 824.

[15] E. Amodio, Inviolabilità della libertà personale e coercizione cautelare minima, in Cass. pen., n. 1, 2014, p.12.