Prosegue il monitoraggio mensile delle sentenze e delle più importanti decisioni della Corte EDU che interferiscono con il diritto penale sostanziale.
La scheda mensile - a cura di Lorenza Marinetti - è, come di consueto, preceduta da una breve introduzione contenente una presentazione ragionata dei casi decisi dalla Corte, nella quale vengono segnalate al lettore le pronunce di maggiore interesse.
Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale HUDOC della Corte EDU. Per facilitare l'individuazione delle sentenze e delle decisioni della Corte, è segnalato in grassetto, oltre alla data del provvedimento e al case title
, anche il numero di ricorso.
SOMMARIO
1. Introduzione
2. Articolo 2 Cedu
3. Articolo 3 Cedu
4. Articolo 5 Cedu
5. Articolo 7 Cedu
6. Articolo 8 Cedu
7. Articolo 10 Cedu
8. Articolo 3 Prot. n. 1 Cedu
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1. Introduzione
a) Tra le sentenze in tema di art. 2 Cedu, si segnala in primo luogo la sentenza Jularić c. Croazia, relativa alla cattura e all’uccisione di un uomo durante la guerra civile croata, rispetto alla quale la Corte ha ravvisato la violazione degi obblighi procedurali discendenti da detta norma in ragione, tra l’altro, dell’intervento di un provvedimento di amnistia che aveva di fatto paralizzato gli accertamento giudiziari.
Si registrano, poi, ben tre casi di decesso in carcere di detenuti – di cui due a seguito dei maltrattamenti ad opera della polizia penitenziaria (Mikhalkova e altri c. Ucraina e Iorga e altri c. Romania) e uno in ragione del mancato apprestamento delle cure mediche necessarie (Iordanovi c. Bulgaria) – e un episodio di suicidio di un giovane che svolgeva il servizio militare (Servet Gündüz e altri c. Turchia).
b) In tema di art. 3 Cedu, riveste particolare importanza la pronuncia M.S.S. c. Belgio e Grecia, con cui la grande camera ha riscontrato una violazione dell’art. 3 Cedu in relazione al trasferimento di richiedenti asilo in Greca, in applicazione del regolamento "Dublino II". In particolare, la Corte ha ritenuto che la Grecia avesse violato la norma in parola in quanto non aveva un sistema di asilo funzionante: la detenzione del ricorrente in vista del provvedimento era avvenuta in condizioni inumane e degradanti, e dopo il rilascio lo stesso era stato di fatto abbandonato a se stesso. Il Belgio, invece, ad avviso dei giudici europei, ha violato il principio di non-refoulement (ossia il divieto di rinvio di una persona verso un paese in cui potrebbe correre il rischio di subire trattamenti contrari all'art. 3 Cedu), in quanto le autorità belghe sapevano, o comunque avrebbero dovuto sapere, che non vi erano garanzie che la richiesta di asilo fosse presa in seria considerazione dalle autorità greche. Quanto alle ripercussioni di tale pronuncia sulle politiche di asilo dei paesi dell'Unione Europea, basti pensare che davanti alla Corte di Strasburgo pendono oltre 10.000 casi riguardanti l'applicazione del regolamento "Dublino II", soprattutto contro Belgio, Paesi Bassi, Finlandia e Francia come paesi di invio e Italia e Grecia come paesi di destinazione.
Va senz'altro menzionata, poi, la sentenza Payet c. Francia, con cui la Corte ha ravvisato la violazione della norma non solo in riferimento alle condizioni ambientali e igieniche inadeguate della detenzione, ma anche al sistema delle rotations de sécurité previsto nell’ordinamento francese (che prevede continui trasferimenti del detenuto da un istituto di pena a un altro in caso, ad esempio, di tentata evasione).
Nella sentenza Elefteriadis c. Romania, ancora, la Corte – sulla scorta del proprio precedente Florea c. Romania (14.9.2010) – ha riconosciuto la violazione dell’art. 3 Cedu in riferimento al fumo passivo cui il ricorrente, detenuto in condizioni di sovraffollamento carcerario, era stato esposto.
Meritano un cenno anche le sentenze Kashavelov c. Bulgaria, con cui la Corte ha riscontrato la violazione dell'art. 3 Cedu in riferimento al fatto che il ricorrente, tutte le volte che era stato portato fuori dalla cella nei 13 anni che aveva trascorso in carcere, era stato sempre ammanettato, e Kupczak c. Polonia, nel quale essa è pervenuta alle medesime conclusioni in relazione all'inadeguatezza delle cure mediche apprestate al ricorrente, paraplegico, nel periodo di detenzione (in particolare, la morfina che doveva essergli continuamente somministrata era stata sostituita con soluzione salina).
Altre pronunce riguardano, infine, ipotesi di maltrattamenti in carcere ad opera della polizia (Lipencov c. Moldovia, Åžafak c. Turchia, Gisayev c. Russia).
c) Sul fronte dell’art. 5 § 1 Cedu, si segnala la sentenza Haidn c. Germania, in cui la Corte ha dichiarato la violazione dell’art. 5 § 1 poiché le motivazioni a fondamento della proroga della custodia cautelare non erano sufficientemente concrete e specifiche.
d) Particolare interesse rivestono, in tema di
art. 7 Cedu, le tre sentenze
Schummer, Mautes e Kallweit, con cui la Corte è tornata a ribadire che la custodia di sicurezza prevista nell’ordinamento tedesco (
Sicherungsverwahrung) integra una vera e propria sanzione penale ai sensi della Convenzione e dunque è soggetta al principio di irretroattività. Si rinvia, in proposito, alla dettagliata
sintesi curata da Giorgio Abbadessa su questa rivista.
e) In tema di art. 8 Cedu, si segnala in particolare la sentenza Haas c. Svizzera, con cui la Corte è tornata a occuparsi di decisioni di fine-vita e sulla quale ci si riserva di pubblicare su questa rivista un contributo più meditato. Nel caso di specie il ricorrente, che aveva già tentato invano il suicidio per ben due volte, lamentava che la richiesta di una prescrizione medica prevista dall’ordinamento svizzero per l’ottenimento di una sostanza attraverso l’assunzione della quale avrebbe potuto portare a compimento con successo e senza sofferenze il proprio proposito integrasse una violazione dell’art. 8 Cedu, nella sua dimensione positiva. La Corte ha escluso, nel caso di specie, la violazione di detta norma.
f) Quanto all’art. 10 Cedu, merita menzione la sentenza Hoffer e Annen c. Germania, in cui la Corte non ha ritenuto che violasse la libertà di espressione la condanna penale per diffamazione (a una lieve pena pecuniaria) di due attivisti contro l’aborto che, in un volantino, avevano paragonato l’interruzione volontaria della gravidanza all’olocausto e avevano quindi dato del nazista al medico che aveva praticato gli interventi abortivi. La Corte ha tenuto conto del contesto storico tedesco per rilevare come il paragone fosse gravemente offensivo nei confronti del sanitario, e giustificasse pertanto una condanna in sede penale (sia pur a sola pena pecuniaria).
g) Last but not least – è proprio il caso di dirlo – riveste estrema importanza, specie alla luce delle prevedibili ricadute sull’ordinamento interno, la sentenza
Scoppola c. Italia n. 3, con cui la Corte ha ravvisato una violazione dell’
art. 3 Prot. 1 Cedu (che sancisce il diritto di voto) in riferimento alla
perdita del diritto di elettorato attivo che consegue nel nostro ordinamento alla condanna a una pena detentiva non inferiore nel massimo a tre anni, in virtù dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Per un’analisi maggiormente approfondita della problematica in questione, si rinvia al
commento pubblicato su questa rivista in data 8 marzo 2011, nel quale si prefigura l’intervento della Corte costituzionale per porre fine al contrasto della normativa interna con la Cedu
. (
Introduzione a cura di Angela Colella).
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2. Articolo 2 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 gennaio 2011, n. 10919/05, Mikhalkova e altri c. Ucraina (importance level 2)
I ricorrenti sono i parenti di un giovane morto a causa delle percosse subite da alcuni agenti della polizia, intervenuti in seguito alla chiamata della madre che chiedeva di portare il ragazzo, alcolizzato, in un centro di riabilitazione. Durante la cattura, il ragazzo veniva malmenato e preso a calci e quando la madre, il giorno dopo, giungeva alla centrale della polizia per avere sue notizie, scopriva che era morto.
I ricorrenti lamentano la violazione dell'art 2 e dell'art. 3 CEDU. La Corte accerta che la responsabilità della morte del ragazzo è da attribuire agli agenti e che le autorità non hanno portato avanti indagini adeguate pertanto conferma la violazione degli artt. 2 e 3 CEDU.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 20 gennaio 2011, n. 20106/06, Jularić c. Croazia (importance level 2)
La ricorrente è la moglie di un uomo che nel 1991, durante la guerra civile croata, era stato catturato ed ucciso dall'esercito jugoslavo. La donna lamenta la violazione dell'art. 2 CEDU perché dal 1991 ad oggi le indagini non hanno portato a risultati rilevanti, nonostante le numerose testimonianze contro i sospettati, e nel 2010 sono state interrotte in virtù di un provvedimento di amnistia e i sospettati sono stati qualificati come “ribelli armati”. La Corte dichiara la violazione dell'art. 2 CEDU per l'inadeguatezza delle indagini delle autorità giudiziarie.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 20 gennaio 2011, n. 16212/08, Skendžić e Krznarić c. Croazia (importance level 2)
I ricorrenti sono i parenti di un uomo scomparso nel 1991, dopo essere stato arrestato dalla polizia croata come sospetto terrorista. La Corte dichiara la violazione dell'art. 2 CEDU perché le indagini svolte dalle autorità competenti non sono state adeguate né indipendenti.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 11 gennaio 2011, n. 4611/05, Servet Gündüz e altri c. Turchia (importance level 2)
I ricorrenti sono i parenti di un ragazzo che si è suicidato mentre svolgeva il servizio militare obbligatorio, dopo un litigio con un superiore. La Corte dichiara la violazione dell'art 2 CEDU in quanto le autorità militari non hanno preso in adeguata considerazione i problemi psicologici di cui soffriva il giovane, portandolo, così, al suicidio.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 25 gennaio 2011, n. 26246/05, Iorga e altri c. Romania (importance level 2)
I ricorrenti sono i parenti di un uomo morto mentre in prigione mentre scontava una pena di 40 giorni per non aver pagato una multa di 20 euro. L'uomo, alcolizzato cronico, era stato rinchiuso in una cella sovraffollata dov'era stato picchiato a morte da uno dei detenuti.
La Corte dichiara la violazione del''art. 2 CEDU perché le autorità carcerarie non hanno tenuto conto dei problemi di alcolismo dell'uomo, mettendolo in cella con troppe persone, e non hanno adeguatamente sorvegliato le sue condizioni in carcere. Inoltre le indagini non si sono rivelate sufficienti poiché non hanno accertato la responsabilità di alcuna guardia nella morte dell'uomo.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 27 gennaio 2011, n. 10907/04, Iordanovi c. Bulgaria (importance level 2)
Il caso riguarda un ragazzo morto mentre era sotto la custodia della polizia. Le cause della morte sono riconducibili a complicazioni legate al diabete, malattia di cui soffriva.
I genitori lamentano la violazione dell’art. 2 CEDU perché le indagini interne non hanno attribuito alcuna responsabilità alle autorità, nonostante l’avvocato del ragazzo avesse evidenziato la necessità di cure mediche. La Corte ritiene violato l’art. 2 CEDU in quanto le autorità non sono state in grado di proteggere la vita del giovane, avendo ignorato le indicazioni dell’avvocato, e le indagini svolte su internet non sono state efficaci nell’individuare i medici responsabili.
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3. Articolo 3 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 11 gennaio 2011, n. 2573/03, Hacioglu c. Romania (importance level 3)
Il ricorrente veniva arrestato nel 1999 per aver tentato di uscire dalla Romania con documenti riservati sottratti ad una società rivale di quella in cui lavorava, e veniva condannato per spionaggio industriale.
Lamenta la violazione dell'art. 3 CEDU per le condizioni della detenzione. La Corte conferma la violazione dell'art. 3 per la mancanza di spazio vitale nella cella e per le condizioni sanitarie non soddisfacenti.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 20 gennaio 2011, n. 51246/08, El Shennawy c. Francia (importance level 2)
Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 per aver subito frequenti e invasive perquisizioni corporali durante la sua detenzione nel carcere di Pau. La Corte conclude per la violazione dell'art. 3 CEDU in quanto i trattamenti subiti dal ricorrente non erano necessari per motivi di sicurezza.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 20 gennaio 2011, n. 19606/08, Payet c. Francia (importance level 1)
Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 CEDU per via delle condizioni di detenzione e per i suoi continui trasferimenti da un istituto carcerario a un altro in virtù dell’applicazione del regime delle rotations de sécurité (disposto in esito a suoi tentativi di evasione).
La Corte dichiara la violazione dell'art. 3 CEDU in relazione alle condizioni della detenzione, perché egli era detenuto in un edificio carcerario decadente, nel quale vi erano perdite d’acqua e scarsa luminosità, e ciò poteva causargli sofferenza fisica e psichica e violava la sua dignità.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 20 gennaio 2011, n. 30112/04, Petrenko c. Russia (importance level 3)
Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 CEDU per le condizioni della cella durante la sua detenzione. La Corte dichiara la violazione dell'art. 3, poiché tre delle quattro celle in cui ha trascorso la detenzione erano troppo piccole rispetto ai detenuti che vi vivevano, causando una sofferenza fisica e psichica al ricorrente.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 20 gennaio 2011, n. 14811/04, Gisayev c. Russia (importance level 2)
Il ricorrente è un uomo arrestato dall'esercito russo e sottoposto a pestaggi e torture allo scopo di scoprire informazioni su ribelli ceceni. La Corte riscontra una violazione dell'art. 3 CEDU, poiché il ricorrente è stato tenuto in condizioni di dolore fisico ed ansia. I maltrattamenti hanno causato gravi danni fisici e, nel loro complesso, devono essere qualificati come torture.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 20 gennaio 2011, n. 891/05, Kashavelov c. Bulgaria (importance level 2)
Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 CEDU per i trattamenti subiti durante la sua detenzione. La Corte conclude per la violazione dell'art. 3 CEDU perché il detenuto veniva ammanettato ogni volta che veniva portato fuori dalla sua cella, mentre non vi era violazione per le condizioni della detenzione.
C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 21 gennaio 2011, n. 30696/09, M.S.S. c. Belgio e Grecia (importance level 1)
Il ricorrente è fuggito dall'Afghanistan attraverso l'Iran e la Turchia ed è entrato in Europa dalla Grecia. Arrivato in Belgio chiede asilo politico alle autorità belghe e queste inoltrano la richiesta alle autorità greche. Nonostante la richiesta dell'UNHCR di sospendere il trasferimento dell'uomo in Grecia, le autorità belghe danno l'approvazione e questi viene mandato in Grecia, dove viene immediatamente rinchiuso insieme ad altri 20 uomini in un edificio accanto all’aeroporto, in attesa della carta per la richiesta d’asilo, e poi rilasciato senza soldi e mezzi di sostentamento. In seguito ad un tentativo di fuga con documenti falsi viene nuovamente arrestato e durante la detenzione subisce maltrattamenti dagli agenti greci.
Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 CEDU per le condizioni di detenzione e di vita in Grecia. È stato rinchiuso in una stanza piccola con altre venti persone, poteva utilizzare i servizi igienici solo quando lo permettevano le guardie e non poteva uscire all’aria aperta. La Corte condanna il Belgio per aver portato l'uomo a subire i trattamenti degradanti subiti durante la detenzione in Grecia e condanna quest'ultima per le condizioni inaccettabili e degradanti a cui è stato sottoposto l'uomo. Ordina inoltre alle autorità greche di prendere le misure di carattere generale necessarie a evitare in futuro altre violazioni della Convenzione.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 25 gennaio 2011, n. 38427/05, Elefteriadis c. Romania (importance level 2)
Il ricorrente, condannato nel 1992 all'ergastolo per omicidio, lamenta la violazione dell'art. 3 CEDU perché la condivisione di celle con detenuti fumatori gli ha provocato diverse malattie polmonari nel corso degli anni e le sue richieste di trasferimento in celle per non fumatori sono sempre state rigettate fino al 2009, quando è stato trasferito in una cella singola.
La Corte ritiene violato l'art. 3 CEDU perché il rifiuto dei giudici nazionali di accordare il risarcimento si fondava unicamente sulla mancanza di prove dell'effettivo danno subito dal detenuto e sul fatto che le sue condizioni di salute erano migliorate dopo il trasferimento, ma nonostante questo il tribunale nazionale avrebbe dovuto accertare i danni subiti dal ricorrente.
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 25 gennaio 2011, n. 27763/05, Lipencov c. Moldovia (importance level 2)
I ricorrenti sono madre e figlio, il ragazzo, all'età di 17 anni era stato picchiato da alcuni poliziotti dopo essere stato arrestato per un sospetto furto. La Corte ritiene violato l'art. 3 CEDU perché nonostante gli evidenti segni dei maltrattamenti da parte degli agenti, gli sono state rifiutate le cure mediche, e per la mancanza di effettività delle indagini.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 25 gennaio 2011, n. 38879/03, Åžafak c. Turchia (importance level 2)
Il ricorrente lamenta di non aver ricevuto adeguate cure mediche per la sua tossicodipendenza durante la sua detenzione. La corte accerta la violazione dell'art. 3 CEDU per i trattamenti degradanti subiti dal ragazzo e per la mancanza di effettività delle indagini.
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 25 gennaio 2011, n. 2627/09, Kupczak c. Polonia (importance level 3)
Il ricorrente è paraplegico dal 1998 a causa di un incidente stradale e per questo motivo gli è stata impiantata una pompa che inietta morfina direttamente nel liquido spinale. Nel 2006 viene arrestato in quanto sospettato di essere a capo di un'organizzazione criminale specializzata nel riciclaggio di denaro sporco e per questo viene messo in custodia cautelare. Durante la detenzione, quando finisce la morfina viene sostituita da soluzione salina. La Corte dichiara la violazione dell'art. 3 CEDU perché le autorità giudiziarie non hanno tenuto in considerazione la serietà dello stato di salute del ricorrente e non hanno provveduto alle cure mediche necessarie e adeguate.
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4. Articolo 5 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 11 gennaio 2011, n. 19547/07, Darvas c. Ungheria (importance level 3)
Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 5 § 1 CEDU per l'eccessiva durata della sua detenzione dopo l'arresto per traffico di stupefacenti. La Corte conferma la violazione in quanto le proroghe decise dalle Corti durante il processo non erano giustificate da situazioni attinenti al caso.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 gennaio 2011, n. 36794/03, Svetoslav Hristov c. Bulgaria (importance level 2)
Il ricorrente, arrestato per contrabbando di sigarette, lamenta la violazione dell’art. 5 CEDU §1 per l’illegittimità della sua detenzione e perché ha potuto presentarsi davanti ad un giudice solo sei giorni dopo il suo arresto. La Corte dichiara la violazione del’art. 5 CEDU § 1 per la mancanza nelle norme interne di una chiara indicazione delle finalità e della durata massima che deve avere l’arresto preventivo e pertanto, nel caso in esame, esso non è legittimo perché non giustificato dalla pubblica sicurezza.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 gennaio 2011, n. 6587/04, Haidn c. Germania (importance level 1)
Il ricorrente era stato condannato nel 1999 a 3 anni e 6 mesi di reclusione per violenza sessuale. Nell’aprile 2002, a due giorni dalla fine della condanna, il giudice nazionale, applicando una legge approvata nel gennaio dello stesso anno, prorogava la pena a tempo indeterminato perché, in base a perizie mediche e psichiatriche, riteneva che vi fosse un alto rischio che il soggetto commettesse di nuovo lo stesso reato.
Il ricorrente ritiene che la sua detenzione per scopi preventivi violi l’art 5 § 1 CEDU. La Corte dichiara la violazione dell’art. 5 § 1 poiché le motivazioni a fondamento della proroga della condanna non sono sufficientemente concrete e specifiche, in quanto inizialmente al ricorrente non era stato diagnosticato alcun disturbo della personalità e fino al 2004 è stato detenuto in una prigione ordinaria. Pertanto la detenzione a scopi detentivi non era giustificata.
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5. Articolo 7 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 gennaio 2011, n. 27360/04, Schummer c. Germania (importance level 2)
Il ricorrente è stato condannato a 5 anni di reclusione per stupro e sequestro di persona. Dopo aver scontato l’intera pena, viene sottoposto a custodia di sicurezza per 10 anni sulla base di una perizia neurologica, perché ritenuto capace di commettere nuovamente il reato.
La Corte ritiene violato l’art. 7 CEDU. La custodia di sicurezza è considerata una vera e propria pena e all’epoca in cui fu commesso il reato, nel 1984, essa non poteva avere una durata superiore ai 10 anni. Solo nel 1998 il legislatore tedesco aveva infatti eliminato il limite massimo per la prevenzione detentiva: pertanto, un’applicazione retroattiva di tale norma comporta la violazione di detta norma.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 gennaio 2011, n. 20008/07, Mautes c. Germania (importance level 2)
Il ricorrente veniva condannato per reati sessuali. Veniva quindi sottoposto a custodia di sicurezza per ulteriori 10 anni sulla base del parere di esperti psichiatrici che lo ritenevano in grado di commettere ancora il reato.
La Corte ritiene violato l’art. 7 CEDU per le stesse ragioni esposte sopra.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 gennaio 2011, n. 17792/07, Kallweit c. Germania (importance level 2)
Il ricorrente è stato condannato per abuso di minore. Dopo aver scontato l’intera pena, veniva sottoposto a custodia di sicurezza di 10 anni in base ad una perizia psichiatrica, perché, se rilasciato, poteva commettere ancora reati gravi.
La Corte ritiene violato l’art. 7 CEDU per le stesse ragioni di cui sopra.
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6. Articolo 8 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 11 gennaio 2011, n. 15672/08, Mehmet Nuri Özen e altri c. Turchia (importance level 1)
I ricorrenti, un gruppo di detenuti di un carcere ad alta sicurezza in Turchia, lamentano la violazione dell'art. 8 CEDU perché le autorità penitenziarie si sono rifiutate di inviare le loro lettere in quanto scritte in curdo e le autorità giudiziarie hanno approvato la scelta perché il contenuto era incomprensibile e impossibile da controllare.
La Corte ritiene violato l'art. 8 CEDU perché il rifiuto di spedire le lettere costituisce un'ingerenza nella vita privata dei ricorrenti senza che questa sia motivata dalla legge, che prevede restrizioni alla corrispondenza solo in caso di contenuti giudicati pericolosi, ma che non disciplina anche la lingua in cui questa deve essere scritta.
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 18 gennaio 2011, n. 479/03, Mikolajová c. Slovacchia (importance level 2)
Nel 2000 il marito della ricorrente aveva sporto querela contro di lei per maltrattamenti ma in seguito, nel corso delle indagini, aveva ritirato la querela.
La donna lamenta la violazione dell'art. 8 CEDU perché, nonostante il ritiro della querela, i risultati delle indagini mostravano che ella aveva commesso un reato ed erano stati poi resi noti alla compagnia assicurativa del marito, che le aveva addebitato le spese mediche. La Corte conferma che l'ingerenza nella reputazione della donna non è giustificata dalla legge e conclude per la violazione dell'art. 8 CEDU.
C. eur. dir. uomo, sez. , sent. 20 gennaio 2011, ric. n. 31322/07, Haas c. Svizzera (importance level 1)
Il ricorrente, affetto da gravi disturbi di salute, aveva già tentato due volte il suicidio, senza successo.
Invocando l’art. 8 Cedu, il ricorrente lamentava che la necessità di una prescrizione medica per ottenere una sostanza che gli avrebbe consentito di porre fine alla propria vita in modo sicuro e senza conseguenze (il pentobarbitale sodico) integrava un’ingerenza nel proprio diritto al rispetto della vita privata.
La Corte non ha ritenuto che il limite della prescrizione medica previsto dalla legislazione svizzera intergrasse una violazione di detta norma convenzionale.
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7. Articolo 10 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 gennaio 2011, n. 397/07 e 2322/07, Hoffer e Annen c. Germania (importance level 2)
I ricorrenti sono due attivisti contro l’aborto condannati ad una pena pecuniaria di 15 quote giornaliere a 10 euro l’una e 10 quote giornaliere a 10 euro l’una per diffamazione, dopo aver distribuito davanti ad una clinica alcuni volantini nei quali, tra gli slogan, si paragonava la pratica dell’aborto all’olocausto e si lanciavano accuse nei confronti di un sanitario.
Essi lamentano la violazione della loro libertà di espressione. La Corte ritiene che non vi sia violazione dell’art. 10 CEDU in quanto la frase in oggetto, nel contesto storico tedesco, costituisce una grave offesa ai diritti del medico e la pena inflitta è proporzionata all’entità del reato.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 25 gennaio 2011, n. 33347/04, MenteÅŸ c. Turchia n. 2 (importance level 2)
La ricorrente è stata condannata a 10 mesi di detenzione per aver organizzato e partecipato ad una manifestazione contro la pena di morte al leader curdo del PKK e per aver parlato alla stampa. La Corte dichiara la violazione dell'art. 10 CEDU, perché la sentenza di condanna non conteneva informazioni circa il contenuto lesivo delle dichiarazioni della donna. Pertanto, l'ingerenza nella libertà di espressione della ricorrente non poteva ritenersi necessaria in una società democratica.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 27 gennaio 2011, n.16637/07, Aydn c. Germania (importance level 2)
In Germania, il partito del PKK è bandito dal 1993. La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 CEDU perché è stata sanzionata per aver violato questo divieto nel 2001, quando aveva firmato una dichiarazione a favore del PKK nella quale affermava di far parte del partito e aveva elargito donazioni ad un’organizzazione inclusa nel divieto.
La Corte ritiene che non vi sia la violazione dell’art. 10 CEDU in quanto i giudici nazionali non hanno fondato la loro decisione sul fatto che la donna avesse espresso una determinata opinione, ma che questa abbia agito in violazione di una legge che vieta attività in favore del PKK. La Corte osserva che il divieto sarebbe inefficace se i seguaci del PKK fossero di fatto liberi di perseguire gli scopi vietati dalla legge. Per questo motivo l’ingerenza nella libertà di espressione della donna è tollerabile in una società democratica e, inoltre, la pena è proporzionata allo scopo perseguito dalla norma.
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8. Articolo 3 Prot. 1 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 18 gennaio 2011, ric. n. 126/05, Scoppola c. Italia n. 3 (importance level 3)
Il ricorrente lamenta che la privazione del diritto di voto a seguito della condanna penale a pena detentiva riportata integra una violazione dell’art. 3 Prot. 1 Cedu.
La Corte accoglie il ricorso, rilevando nella disciplina italiana sull’interdizione dai pubblici uffici il medesimo automatismo già censurato con riferimento alla legge britannica e a quella austriaca nelle sentenze Hirst c. Regno Unito e Frodl c. Austria.