ISSN 2039-1676


24 marzo 2011 |

Monitoraggio febbraio 2011

Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale

Prosegue il monitoraggio mensile delle sentenze e delle più importanti decisioni della Corte EDU che interferiscono con il diritto penale sostanziale.
La scheda mensile è, come di consueto, preceduta da una breve introduzione contenente una presentazione ragionata dei casi decisi dalla Corte, nella quale vengono segnalate al lettore le pronunce di maggiore interesse.
Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU. Per facilitare il reperimento delle sentenze e delle decisioni della Corte, è stato segnalato in grassetto, oltre alla data del provvedimento e al case title, anche il numero di ricorso.
 
SOMMARIO
 
1. Introduzione
2. Articolo 2 Cedu
3. Articolo 3 Cedu
4. Articolo 5 Cedu
5. Articolo 8 Cedu
6. Articolo 10 Cedu
7. Art. 2 Prot. n. 4 Cedu
 
* * *
 
1. Introduzione
 
a) In tema di art. 2 Cedu, merita menzione anzitutto la sentenza Soare e altri c. Romania, in cui la Corte ha riscontrato una violazione sostanziale e procedurale di detta norma ritenendo non provata, nel caso di specie, l’aggressione ai poliziotti da parte del primo dei ricorrenti e, pertanto, insussistente la legittima difesa invocata da questi ultimi per giustificare la violenza usata nei suoi confronti.
 
Tra i numerosi casi di misteriose “sparizioni” decisi dalla Corte (Açış c. Turchia, Nasukhanovy c. Russia, Dudarovy c. Russia, Palic c. Bosnia Erzegovina, Khakiyeva, Temergeriyeva e altri c. Russia), si segnala invece, in particolare, la pronuncia Palic c. Bosnia Erzegovina, in cui i giudici di Strasburgo hanno escluso la violazione procedurale dell’art. 2 Cedu in riferimento all’ineffettività delle indagini condotte dalle autorità bosniache, rilevando come il corrispondente obbligo positivo che discende da detta norma sia di mezzi e non di risultato (secondo quanto affermato nella sentenza Hugh Jordan c. Regno Unito del 4.5.2001): le autorità avevano fatto quant’era in loro potere per ricostruire le sorti della persona scomparsa, nonostante la situazione difficile in cui esse versavano nel dopoguerra.
 
Merita un cenno, infine, la sentenza Tsintsabadze c. Georgia, in cui la Corte ha ritenuto che le indagini effettuate sul presunto suicidio di un detenuto in carcere, condotte da agenti della stessa polizia penitenziaria, fossero state non solo superficiali, ma addirittura volte a distorcere la realtà dei fatti: all’interno dell’istituto di pena vi erano infatti alcuni detenuti che si imponevano sugli altri grazie alla propria influenza, estorcendo loro somme di denaro che utilizzavano poi per avere favori di vario tipo dal personale penitenziario; ed il figlio della ricorrente – il presunto suicida – era entrato appunto in conflitto con uno di questi (che era stato, verosimilmente, la persona che l’aveva ucciso o fatto uccidere).
 
b) Sul fronte dell’art. 3 Cedu, si segnala in primo luogo la sentenza Yazgül Yılmaz c. Turchia, in cui la Corte ha riscontrato una violazione sostanziale di detta norma perché la ricorrente, all’epoca dei fatti minorenne, era stata sottoposta dai medici dell’istituto di pena nel quale era detenuta ad una visita ginecologica per la quale non aveva prestato il proprio consenso. Sotto il profilo sostanziale, la Corte ha ritenuto che la visita ginecologica suddetta fosse del tutto ingiustificata, perché la ricorrente aveva lamentato mere molestie da parte delle guardie carcerarie (molestie che certo non potevano essere escluse attraverso l’esame dell’imene). Sotto il profilo procedurale, essa ha rilevato invece come un’indagine meramente disciplinare quale era stata quella intentata nei confronti dei sanitari non fosse idonea ad accertare le responsabilità di questi ultimi, e che il termine di prescrizione aveva reso ineffettivi i rimedi attivabili sul piano nazionale (ivi compreso quello civilistico del risarcimento del danno).
 
Merita menzione anche la sentenza Ebcin c. Turchia, in cui la Corte – in relazione all’aggressione subita dalla ricorrente da parte di due persone che, per strada, le avevano gettato dell’acido in faccia – non ha ritenuto che le autorità turche fossero venute meno agli obblighi di protezione nascenti dagli artt. 3 e 8 Cedu, perché non vi era alcun elemento tale da far individuare nella ricorrente un possibile bersaglio di attentati terroristici. Ha riscontrato invece la violazione degli obblighi procedurali nascenti dagli artt. 3 e 8 per difetto del requisito della tempestività delle indagini, a dispetto del fatto che i presunti responsabili dell’aggressione fossero stati processati e condannati a una pena tutt’altro che irrisoria, perché i ritardi avevano reso ineffettivi i procedimenti penali condotti a livello interno e li avevano privati del loro effetto deterrente.
 
Presenta profili di interesse, poi, la pronuncia Sambor c. Polonia, in cui la Corte non ha riscontrato alcuna violazione dell’art. 3 Cedu in relazione alla forza usata dagli agenti di polizia per neutralizzare un uomo affetto da schizofrenia che si era barricato nella propria camera minacciando il padre con un coltello e un’ascia.
 
Si segnala, ancora, la sentenza Dushka c. Ucraina, in cui la Corte ha ritenuto tra l’altro che la condanna del ricorrente alla detenzione amministrativa – avvenuta in assenza delle più elementari garanzie difensive e in spregio al dettato normativo, che non la ammetteva per i minorenni –  fosse funzionale all’indebolimento psicologico del giovane in vista dell’obiettivo di fargli rendere dichiarazioni confessorie. Essa ha valorizzato anche questo elemento per affermare che il ricorrente, sottoposto a maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie mentre si trovava in vinculis, fosse stato vittima di trattamenti inumani e degradanti.
 
Oltre alle precedenti, la Corte ha reso altre undici pronunce in tema di art. 3 Cedu, delle quali tre in riferimento all’uso della forza da parte degli agenti di polizia durante operazioni di law enforcement (Gülizar Tuncer c. Turchia; Kapanadze c. Russia; Dolgov c. Russia), una rispetto a un episodio di maltrattamenti subiti in carcere dal ricorrente (Desde c. Turchia) e sette rispetto all’inadeguatezza delle condizioni della detenzione (Micu c. Romania, Iliev e altri c. Bulgaria; Radkov c. Bulgaria n. 2, Nisiotis c. Grecia; Dorogaykin c. Russia; Kharchenko c. Ucraina; Rotaru c. Moldavia).
 
c) Tra le pronunce sull’art. 5 Cedu, si segnala la sentenza Ignatenco c. Moldavia, nella quale la Corte non ha riscontrato alcuna violazione dell’art. 5 § 1 Cedu, perché l’arco di tempo in cui la custodia cautelare era stata priva di base legale era appena di 30 minuti; con ciò discostandosi da quanto aveva in precedenza affermato nella sentenza K.-F. c. Germania del 27.11.1997.
 
d) In tema di art. 8 Cedu, oltre a tre sentenze relative ad episodi di censura della corrispondenza dei detenuti (Lesiak c. Polonia; Fetullah Akpolat c. Turchia; Di Cecco c. Italia), merita un cenno la pronuncia Geleri c. Romania, in cui la Corte ha ritenuto che l’espulsione del ricorrente per motivi di ordine pubblico fosse stata disposta in violazione dell’art. 8 Cedu: il soggetto in questione era stato infatti condannato per il reato di falsa identità e passaggio illegale alla frontiere oltre sette anni prima del momento della sua espulsione, e nel frattempo aveva ottenuto lo stato di rifugiato e ricevuto la grazia per il reato commesso.
 
e) Quanto all’art. 10 Cedu, si segnala l’importante decisione di inammissibilità resa dalla Corte nel caso Donaldson c. Regno Unito, relativo al divieto per i detenuti di indossare simboli di natura politica all’interno del carcere.
 
f) Da ultimo, la Corte ha riscontrato nel mese di febbraio 2011 ben cinque episodi di violazione dell’art. 2 § 2 Prot. n. 4 Cedu (che garantisce a ciascuno il diritto di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio), nelle sentenze Nalbantski c. Bulgaria, Potapenko c. Ungheria, Dzhaksybergenov c. Ucraina, Pfeifer c. Bulgaria, e Soltysyak c. Russia. Quest’ultima appare particolarmente interessante: il ricorrente era un militare in pensione che aveva prestato servizio in una base di lancio spaziale, che lamentava la violazione dell’art. 2 Prot. n. 4 Cedu in relazione al divieto di lasciare la Russia per motivi privati impostogli dalle autorità russe perché non divulgasse le informazioni top secret di cui era a conoscenza. La Corte ha ritenuto che la misura restrittiva della libertà di circolazione non fosse proporzionata rispetto all’obiettivo e che, più radicalmente, le autorità russe non avessero chiarito come un simile divieto potesse impedire al ricorrente di divulgare le informazioni segrete, dato che egli avrebbe potuto rompere l’obbligo di segretezza anche senza lasciare il proprio Paese. (Introduzione a cura di Angela Colella).
 
2. Articolo 2 Cedu
 
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 1° febbraio 2011, ric. n. 7050/05, Açış c. Turchia (importance level 3)
I ricorrenti sono i più stretti familiari di un ragazzo che, all’epoca dei fatti, era in servizio militare nella Turchia sudorientale. Nel giugno del 1992, alcuni membri del PKK avevano fatto irruzione nella stazione di e durante gli scontri il giovane uomo era stato ferito e portato via come ostaggio. L’operazione militare organizzata per ritrovarlo non aveva avuto buon esito, e così pure l’inchiesta successivamente aperta dalle autorità turche. Nel 2002 i ricorrenti avevano fatto richiesta che venisse emessa una dichiarazione di morte presunta; richiesta che era stata tuttavia respinta perché una lettera dell’ufficiale dell’esercito che aveva il comando dell’area interessata statuiva che l’uomo si era unito ai membri del PKK.
Invocando l’art. 2 Cedu, i ricorrenti lamentano che le autorità competenti erano venute meno al loro dovere di proteggere la vita del giovane, in servizio militare, e che le indagini condotte per far luce sulla sua scomparsa non erano state effettive.
Lamentano inoltre, sotto l’angolo visuale dell’art. 3 Cedu, che le informazioni fornite dalle autorità erano contraddittorie e diffamatorie.
Sotto il profilo procedurale, lamentano che la interruzione dei procedimenti a seguito dell’impossibilità di pagare le tariffe della corte aveva violato l’art. 6 Cedu (che sancisce il diritto di accesso a un tribunale) e l’art. 14 Cedu (perché le autorità non avrebbero trattato il loro caso allo stesso modo di quelli di coloro che avevano ottenuto una dichiarazione di morte presunta), e che non hanno avuto a disposizione un rimedio effettivo, in violazione dell’art. 13 Cedu.
La Corte ritiene irricevibile il ricorso ex art. 2 Cedu, perché i ricorrenti non hanno fornito le ragioni della loro proposizione dello stesso oltre il termine di dieci anni dalla scomparsa del loro parente sancito dalla sentenza Varnava e altri c. Turchia come termine ultimo per adire la Corte.
La Corte riconosce la violazione dell’art. 3 Cedu sub specie di trattamento inumano e degradante in ragione della prolungata sofferenza da essi patita per il fatto di non avere notizie del loro caro per oltre dieci anni e per il carattere contraddittorio delle affermazioni delle autorità competenti (che, da un lato, affermavano che le ricerche erano ancora in corso, e, dall’altro, asserivano che il giovane si fosse unito ai membri del PKK).
Riconosce, altresì, la violazione dell’art. 6 § 1 Cedu per mancanza di un rimedio effettivo (non ritenendo di dover analizzare la questione anche sotto l’angolo visuale dell’art. 13 Cedu). Esclude, infine, la violazione dell’art. 14 della Convenzione, non ravvisando alcun carattere di arbitrarietà nella condotta delle autorità coinvolte.
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 3 febbraio 2011, ric. n. 8532/06, Geppa c. Russia (importance level 2)
La ricorrente è la madre di un detenuto morto in carcere. Lamenta la violazione degli artt. 2 e 3 Cedu perché la morte del figlio è stata il risultato delle violenze subite da questi ad opera delle guardie carcerarie e dell’inadeguatezza delle cure mediche ricevute.
La Corte esclude la violazione dell’art. 2 Cedu, perché non vi era la prova oltre ogni ragionevole dubbio che l’uomo fosse stato effettivamente malmenato e perché le autorità avevano ottemperato all’obbligo positivo di fornirgli cure mediche adeguate (in particolare, non vi era la prova che il ritardo nella diagnosi del tumore da cui questi era affetto avesse accelerato la morte). Non ritiene necessario esaminare il fatto anche sotto l’angolo visuale dell’art. 3 Cedu.
 
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 33114/03, Genchevi c. Bulgaria (importance level 3)
I ricorrenti sono la moglie e i figli di un uomo trovato morto nel 1994 in un campo vicino casa. Lamentano la violazione procedurale dell’art. 2 Cedu perché le indagini interne non hanno consentito di fare piena luce sull’accaduto. La Corte accoglie il ricorso, rilevando in particolare le carenze nell’acquisizione e nella conservazione di elementi di prova determinanti e i ritardi accumulatisi nel corso degli anni.
 
C. eur. dir. uomo, sez. , sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 1572/07, Nasukhanovy c. Russia (importance level 3)
Tipico caso di sparizione di cittadini ceceni, il cui cadavere, carbonizzato dalla testa alla vita, era stato tuttavia ritrovato a distanza di pochi giorni in un campo.
La Corte ravvisa la violazione dell’art. 2 Cedu sotto il profilo sostanziale (rilevando come, in assenza di una diversa prova da parte delle autorità, doveva ritenersi che essi fossero stati uccisi dai soldati russi) e procedurale, per ineffettività dell’inchiesta interna. Ravvisa, altresì, la violazione degli artt. 13 e 2 Cedu perché l’ineffettività delle indagini penali condotte aveva determinato l’ineffettività di qualsiasi altro rimedio, inclusi quelli civilistici. Esclude invece la violazione dell’art. 3 Cedu in riferimento alla sofferenza dei familiari, rilevando come l’impossibilità di seppellire in modo consono i propri cari non integri un trattamento inumano o degradante ai sensi di detta norma per mancato superamento della soglia di gravità.
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 5382/07, Dudarovy c. Russia (importance level 3)
Tipico caso di sparizione di cittadini ceceni, in cui la Corte riconosce la violazione sostanziale e procedurale dell’art. 2, la violazione dell’art. 5, la violazione dell’art. 3 in riferimento alla sofferenza patita dai familiari e degli art. 13 e 2 Cedu e 13 e 5 Cedu in riferimento alla mancanza di un rimedio interno effettivo.
 
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 15 febbraio 2011, ric. n. 4704/04, Palic c. Bosnia Erzegovina (importance level 2)
La ricorrente è la moglie di un comandante militare della forza bosniaca coinvolta nel conflitto che si verificò in Bosnia Erzegovina dal 1992 al 1995. Nel luglio del 1995, dopo che le forze serbe presero il controllo dell’area, il sig. Palic andò a negoziare le condizioni della resa e sparì.
Dal settembre del 2000 in avanti furono fatti numerosi tentativi dalle istituzioni locali per capire quale fosse stata la sorte del sig. Palic. La Camera dei diritti umani, un organo interno costituito nel 1995 per casi di questo tipo, concluse che era stato vittima di una sparizione forzata, riconobbe una possibile lesione dei diritti umani ed ordinò allo Stato in questione di investigare sulla sorte del predetto, riconoscendo altresì un indennizzo alla moglie. Le autorità pagarono l’indennizzo e, tra il 2002 ed il 2009, compirono diversi atti al fine di verificare la sorte del militare bosniaco. Fu in particolare stabilito che lo stesso venne catturato dalle forze serbe e sparì la notte del 4 settembre 1995. Per effetto di queste indagini una delle persone coinvolte nella sparizione fu inviata al Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia (ICTY) e mandati di cattura internazionali furono spiccati nei confronti degli altri sospettati che si erano sistemati in Serbia e che avevano la cittadinanza. I resti di Palic furono infine localizzati e restituiti alla moglie.
Lamenta la ricorrente la violazione dell’art. 2, con riferimento all’ineffettività delle procedure di ricerca, nonché dell’art. 3 con riferimento alla risposta fornita dalle autorità al problema della sparizione dei propri cari. Prospetta altresì una violazione dell’articolo 5 per le stesse ragioni indicate all’articolo 2.
La Corte, a maggioranza e con due dissenting opinion, ritiene non sussistere alcuna delle violazioni qui in contestazione. Con riferimento alla prima, evidenziano i giudici che l’obbligo delle procedure di investigazione scaturente dall’art. 2 Cedu a carico degli Stati membri è di mezzi e non di risultato, come affermato dalla corte nella sentenza Hugh Jordan c. Regno unito: bisognava considerare il difficile dopoguerra, e comunque dal 2005 in avanti le investigazioni erano state costanti.
Quanto alla seconda – la violazione dell’art. 3 Cedu – i giudici evidenziano come le autorità abbiano adempiuto agli obblighi sia quanto al pagamento dell’indennizzo alla moglie sia quanto alle ricerche effettuate. Reputano infine non sussistere neanche la violazione dell’art. 5 Cedu per le analoghe motivazioni evidenziate con riferimento alla prima.
 
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 15 febbraio 2011, ric. n. 35403/06, Tsintsabadze c. Georgia (importance level 3)
La ricorrente è la madre di un detenuto del carcere di Khoni, in Georgia, morto in circostanze sospette. Lamenta la violazione dell’art. 2 con riferimento all’ineffettività delle indagini, le quali avevano frettolosamente qualificato il decesso come suicidio nonostante la presenza di elementi che facessero deporre in altro senso, nonché al fatto che le stesse fossero state condotte da componenti non indipendenti ed imparziali.
La Corte ritiene sussistente la violazione. In particolare, nel ricostruire la vicenda, evidenzia come dalla testimonianza di un detenuto emergesse che all’interno del carcere vi fossero alcuni detenuti che si imponevano sugli altri grazie alla propria influenza, estorcendo somme di denaro ed utilizzando lo stesso per avere favori di vario tipo dal personale penitenziario ed il figlio della ricorrente era entrato in conflitto con uno di questi. Evidenziano i giudici che il rispetto dell’articolo 2 impone che qualsiasi investigazione sulla privazione della vita di un individuo, massimamente se in stato di detenzione e quindi sotto la diretta responsabilità dello Stato, deve essere condotta in modo oggettivo attraverso un’analisi imparziale di tutti gli elementi rilevanti che sia in grado di fornire una risposta soddisfacente; cosa che non era stata nel caso di specie, nel quale il dubbio non risultava in alcun modo fugato e anzi vi era più di un motivo per ritenere che la realtà fosse risultata profondamente distorta in seguito alle diverse omissioni nel corso delle indagini (mancato rilevamento delle impronte digitali sul luogo del decesso, incompletezza dell’autopsia e mancata audizione di alcuni testimoni). A ciò si aggiunge che le indagini erano state condotte da membri legati al personale penitenziario della prigione, che potevano quindi idealmente difettare della necessaria imparzialità.
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 22 febbraio 2011, ric. n. 24239/02 e Soare e altri c. Romania (importance level 1)
I ricorrenti, cittadini romeni, lamentano la violazione di diverse norme della convenzione. L’episodio oggetto di valutazione riguarda il ferimento di uno dei ricorrenti da parte della polizia romena avvenuto in circostanze poco chiare. In particolare, ad avviso delle forze dell’ordine, il primo ricorrente, cui sarebbe stato intimato l’alt a causa di una rissa scoppiata tra connazionali, avrebbe minacciato gli agenti con un coltello riuscendo anche ad attingere uno di essi all’addome. Per effetto di ciò, nella concitazione del momento, il poliziotto avrebbe tentato di sparare in aria, ma perdendo l’equilibrio avrebbe colpito l’assalitore. Prova dell’aggressione risiederebbe in una lesione da taglio a carico del poliziotto, nonché in un coltello rinvenuto all’interno della macchina della polizia, ma sul quale tuttavia alcuna perizia dattiloscopica era stata in seguito fatta.
Contestano tale versione dei fatti i ricorrenti – il secondo ed il terzo erano stati testimoni oculari della vicenda – i quali evidenziano come nessuna aggressione fosse avvenuta ai danni dei poliziotti.
Il primo dei ricorrenti, rimasto semiparalizzato, denuncia la violazione dell’art. 2 Cedu sotto l’aspetto materiale e procedurale, dell’art. 3 Cedu, dell’art. 13 Cedu in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 con riferimento alla garanzia di un ricorso effettivo, nonché dell’art. 6 § 1 Cedu. Lamenta inoltre una violazione dell’art. 14 Cedu in quanto ritiene tali episodi dovuti al fatto di essere di etnia rom.
Con riferimento a tali doglianze la Corte accerta anzitutto la violazione dell’art. 2 sia sotto il profilo sostanziale che procedurale. Con riguardo al primo profilo i giudici di Strasburgo non ritengono sussistere la legittima difesa, in quanto non ritengono in alcun modo provata, secondo i rigidi parametri imposti dalla propria giurisprudenza, l’aggressione subita dai poliziotti. Quanto al profilo procedurale i giudici sottolineano come le indagini non siano state effettive in quanto non sono stati effettuati alcuni rilievi – uno su tutti, la perizia dattiloscopica – e le indagini stesse non sono state svolte da organi imparziali, poiché di esse si erano occupati militari dello stesso corpo di appartenenza degli autori del fatto. La Corte ritiene inoltre sussistente una violazione dell’art. 13 con riferimento all’art. 2 Cedu sotto il profilo procedurale, poiché l’ineffettività delle indagini aveva altresì precluso la possibilità per il ricorrente di ottenere un risarcimento.
Non ravvisa invece alcuna violazione dell’art. 3 Cedu, in quanto non ritiene che gli episodi subiti dal ricorrente richiedano esame ulteriore rispetto a quello operato con riguardo all’articolo 2. Per questo motivo respinge altresì le doglianze riguardanti l’articolo 13 in combinato con esso.
La Corte ritiene inoltre insussistenti anche la violazione dell’articolo 6 nonché dell’articolo 14. Sotto questo ultimo profilo rileva come non vi sia nessun dato che faccia emergere che il comportamento delle forze di polizia sia stato posto in essere a causa dell’odio razziale per l’etnia del ricorrente.
Gli altri due ricorrenti, cioè i testimoni oculari della vicenda, lamentano invece la violazione degli artt. 3 e 5 Cedu con riferimento al fatto di essere stati trattenuti per ore presso le stazioni di polizia per l’interrogatorio, nonché l’illegittimità dello stato di detenzione. La Corte ritiene anzitutto sussistente la violazione dell’art. 3 Cedu, perché durante le operazioni, protrattesi anche nel corso della notte, i due testimoni oculari sarebbero stati privati di cibo, acqua e non sarebbe stato consentito loro di riposare. Non si ritienene invece integrata la violazione dell’art. 5 Cedu, perché l’arresto sarebbe stato effettuato per garantire l’esecuzione di un obbligo imposto dalla legge e cioè la loro audizione. 
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 17 febbraio 2011, ric. n. 45081/06 e 7820/07, Khakiyeva, Temergeriyeva e altri c. Russia (importance level 3)
Altro tipico caso di sparizione di cittadini ceceni, in cui la Corte riconosce la violazione sostanziale e procedurale dell’art. 2, la violazione dell’art. 5, la violazione dell’art. 3 con riguardo ai patimenti dei familiari per la sorte toccata ai propri cari.
 
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3. Articolo 3 Cedu
 
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 21 settembre 2010, ric. n. 12903/02, Gülizar Tuncer c. Turchia (importance level 3)
La ricorrente, avvocato e membro di un’associazione per i diritti umani, nel dicembre 2000 partecipava a un corteo contro l’introduzione delle carceri “del tipo F” in Turchia. Riportava ferite a seguito dello scontro occorso tra i manifestanti e la polizia, che era intervenuta per disperdere il corteo.
La Corte accerta la violazione sostanziale e procedurale dell’art. 3 Cedu, perché il ricorso alla forza non poteva ritenersi proporzionato (essendo la manifestazione del tutto pacifica) e perché il procedimento penale instaurato a livello interno non ha fatto luce su questo punto.
Dichiara invece irricevibile, perché tardiva, la doglianza fondata sull’art. 11 Cedu.
 
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 1° febbraio 2011, ric. n. 36369/06, Yazgül Yılmaz c. Turchia (importance level 2)
La ricorrente, all’epoca dei fatti sedicenne, si trovava in custodia cautelare perché sospettata di aver prestato assistenza ai membri del PKK. Era stata sottoposta a una visita ginecologica da parte dei medici dell’istituto di pena per verificare se fosse stata o meno oggetto di violenze da parte delle guardie carcerarie, senza che la richiesta della visita fosse stata da lei firmata.
Dopo il suo rilascio, la giovane donna – che a seguito di quell’episodio aveva sofferto di depressione post-traumatica da stress e di altri disturbi, tutti oggetto di puntuale riscontro medico – aveva fatto un esposto nei confronti dei medici che la avevano sottoposta alla visita ginecologica senza il suo consenso; esposto al quale non faceva seguito, tuttavia, nessun provvedimento nei confronti dei sanitari, neppure sul piano disciplinare, per decorso del termine di prescrizione biennale.
La Corte riconosce la violazione sostanziale dell’art. 3 Cedu in riferimento alla visita ginecologica effettuata senza il consenso della ricorrente, che appariva del tutto ingiustificata perché la stessa aveva lamentato mere molestie da parte delle guardie carcerarie (molestie che certo non potevano essere escluse attraverso l’esame dell’imene). Sotto il profilo procedurale, la Corte rileva come un’indagine meramente disciplinare non fosse idonea ad accertare le responsabilità dei sanitari, e che il termine di prescrizione aveva reso ineffettivi i rimedi attivabili sul piano nazionale (ivi compreso quello civilistico del risarcimento del danno).
I giudici di Strasburgo non hanno ritenuto invece necessario analizzare le doglianze sub artt. 6, 8 e 13 Cedu.
 
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 1° febbraio 2011, ric. n. 19506/05, Ebcin c. Turchia (importance level 2)
La ricorrente, un’insegnante turca, era stata aggredita per la strada da due persone che le avevano gettato dell’acido in faccia, riportando lesioni gravissime. Lamenta che le autorità turche non hanno fatto nulla per prevenire l’aggressione, anche se i reports di organizzazioni sui diritti umani evidenziavano come fossero ben 143 gli insegnanti uccisi nel sud-est della Turchia dal 1984 al 1995, presumibilmente ad opera di membri del PKK. La Corte esclude la violazione degli obblighi di protezione nascenti dagli artt. 3 e 8 Cedu, perché non vi era alcun elemento tale da individuare nella ricorrente un possibile bersaglio di attentati terroristici. Riscontra invece la violazione degli obblighi procedurali nascenti dagli artt. 3 e 8 per difetto del requisito della tempestività delle indagini, a dispetto del fatto che i presunti responsabili dell’aggressione fossero stati processati e condannati a una pena tutt’altro che irrisoria: essi erano stati infatti arrestati solo dopo sei anni, mentre il processo nei confronti del presunto istigatore era durato 7 anni e quelli nei confronti dei complici erano tuttora pendenti davanti alla Corte di Cassazione. Ad avviso dei giudici di Strasburgo, tutti questi ritardi hanno reso ineffettivi i procedimenti penali condotti a livello interno e li hanno privati del loro effetto deterrente.
La Corte non ha invece ritenuto necessario analizzare la vicenda sotto l’angolo visuale dell’art. 6 § 1 Cedu.
 
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 1° febbraio 2011, ric. n. 15579/05, Sambor c. Polonia (importance level  3)
Il ricorrente, affetto da schizofrenia pananoica, a seguito di un litigio con il padre si era barricato nella sua camera minacciando quest’ultimo con un coltello e un’ascia. Quando la polizia era occorsa sul posto, aveva aperto il fuoco sugli agenti. Fallito il tentativo di negoziazione intentato dalla polizia con l’ausilio di uno psicologo e di un medico, gli agenti avevano fatto irruzione nella sua stanza e gli avevano sparato un colpo di pistola alla gamba.
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 Cedu in riferimento al pericolo per la vita che egli aveva corso in quell’occasione e all’uso sproporzionato della forza da parte degli agenti coinvolti nell’operazione, a seguito della quale la gamba ferita aveva dovuto essergli amputata. Lamenta inoltre l’inadeguatezza dell’inchiesta condotta a livello interno.
La Corte esclude la violazione dell’art. 3 Cedu, rilevando come gli agenti non avrebbero potuto neutralizzare in altro modo il ricorrente, che aveva posto in pericolo non solo la loro vita ma anche la propria e quella dei genitori, e che pochi mesi prima era stato protagonista di un episodio analogo, sebbene dall’epilogo meno tragico.
Quanto all’asserita violazione procedurale, la Corte ritiene che l’indagine condotta a livello interno sia stata tempestiva ed efficace.
I giudici europei non ritengono necessario esaminare il ricorso sotto l’angolo visuale dell’art. 2 Cedu, pure invocato dal ricorrente.
 
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 1° febbraio 2011, ric. n. 23909/03, Desde c. Turchia (importance level 3)
Il ricorrente, di nazionalità tedesca e residente a Berlino, lamenta di essere stato e torturato mentre si trovava in carcere in quanto sospettato di essere membro di un’organizzazione illegale (il Partito bolscevico del Kurdistan del nord e della Turchia). In particolare, afferma di essere stato bendato e denudato, malmenato e violentato dagli agenti, e si duole dell’ineffettività dell’indagine avviata a livello interno per far luce sulle sue allegazioni.
Lamenta, inoltre, che il processo nei suoi confronti non è stato equo, e che la confessione resa in carcere in assenza dell’avvocato e sotto costrizione è stata utilizzata come prova a suo carico.
La Corte esclude la violazione sostanziale dell’art. 3 Cedu, perché ritiene che i referti medici allegati dal ricorrente non siano sufficienti per concludere che i disturbi psicologici riscontrati dai medici siano dovuti proprio agli abusi subiti in carcere (e non, ad esempio, alla stessa detenzione).
Ravvisa invece una violazione procedurale di detta norma a causa dell’inadeguatezza del sistema di accertamenti medici delle condizioni dei detenuti, oltre alla violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 lett. c) Cedu , perché le autorità giurisdizionali non si erano fatte carico di accertare se le affermazioni del ricorrente in merito alle torture subite in carcere fossero o meno fondate, utilizzando la dichiarazione resa “in odor di tortura”.
 
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 3 febbraio 2011, ric. n. 29175/04, Dushka c. Ucraina (importance level 3)
Il ricorrente, all’epoca dei fatti diciassettenne, era stato arrestato dalla polizia sulla base del sospetto che fosse l’autore della rapina e successivamente condannato – senza l’assistenza di un difensore e senza che i suoi genitori fossero avvertiti – a 10 giorni di detenzione amministrativa per il suo rifiuto di collaborare con l’autorità giudiziaria. Secondo la sua ricostruzione dei fatti, mentre si trovava in cella era stato ammanettato a un calorifero e colpito ripetutamente con una bottiglia di plastica finché, dopo essere svenuto diverse volte, si decideva a firmare dichiarazioni confessorie scritte sotto dettatura. La sentenza di condanna alla detenzione amministrativa veniva successivamente annullata poiché il giovane era minorenne, mentre i procedimenti intentati per accertare la responsabilità degli agenti delle forze dell’ordine si concludevano con l’archiviazione per mancanza di prove. 
La Corte, chiamata a valutare la sussistenza di una violazione sostanziale e procedurale dell’art. 3 Cedu, ha ritenuto che il ricorrente avesse fornito prove riscontri sufficienti alle proprie allegazioni, e che doveva ritenersi che lo stesso fosse stato vittima di maltrattamenti ad opera delle guardie carcerarie. La condanna alla detenzione amministrativa – avvenuta in assenza delle più elementari garanzie difensive – sembrava inoltre funzionale all’indebolimento psicologico del giovane proprio in vista dell’obiettivo di fargli rendere dichiarazioni confessorie: la Corte ha tenuto in considerazione anche questo profilo per affermare che, anche alla luce della sua età, il ricorrente fosse stato vittima di un trattamento inumano e degradante.
Essa ha riconosciuto inoltre la violazione procedurale dell’art. 3 Cedu in ragione dell’ineffettività dell’indagine svolta a livello interno (rilevando peraltro come siano numerosi i casi di supposti maltrattamenti in carcere sui quali le autorità ucraine non hanno fatto luce sottoposti al suo esame). 
 
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 8 febbraio 2011, ric. n. 28883/06, Micu c. Romania (importance level 3)
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 Cedu con riferimento alle condizioni della detenzione (in particolare, al sovraffollamento carcerario, perché per tutta la durata della detenzione aveva avuto a disposizione uno spazio individuale di soli 1,90 metri quadri).
La Corte accoglie il ricorso. Dichiara, invece, irricevibile la doglianza relativa ai maltrattamenti asseritamente subiti dal ricorrente ad opera delle guardie carcerarie per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
 
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 10 febbraio 2011, ric. nn. 4473/02 e 34138/04, Iliev e altri c. Bulgaria (importance level 3)
La Corte accoglie il ricorso dei ricorrenti, che lamentavano l’inadeguatezza delle condizioni della detenzione, rilevando che le celle erano sovraffollate e prive di aereazione e illuminazione sufficienti, che il cibo era di cattiva qualità e che i detenuti non avevano accesso al bagno durante la notte. Riscontra pertanto una violazione dell’art. 3 Cedu sub specie di trattamento inumano e degradante.
Rileva, altresì, la violazione degli artt. 8 e 13 Cedu con riferimento alla censura della corrispondenza dei ricorrenti, che non avevano a disposizione alcun rimedio giurisdizionale ad hoc a livello interno.
 
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 18382/05, Radkov c. Bulgaria n. 2 (importance level 2)
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 Cedu per l’inadeguatezza delle condizioni della detenzione e dell’art. 13 Cedu perché non aveva avuto a disposizione un rimedio giurisdizionale effettivo.
La Corte accoglie il ricorso, rilevando in particolare come le celle fossero sovraffollate e non sufficientemente areate, e come ai detenuti fosse concesso di andare in bagno solo tre volte al giorno, dovendo per il resto fare i propri bisogni in un secchio, davanti ai compagni di cella.
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 34704/08, Nisiotis c. Grecia (importance level 3)
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 Cedu in riferimento alle condizioni della detenzione: si trovava infatti in una cella fatiscente e priva di areazione di 50 metri quadri insieme ad altri 29 detenuti.
La Corte accoglie il ricorso. 
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 19120/05, Kapanadze c. Russia (importance level 3)
Il ricorrente, che aveva rapinato la cassa di un ospedale psichiatrico ed era stato per questo sottoposto alla custodia in carcere, lamenta la violazione dell’art. 3 Cedu in riferimento alla forza usata dalla polizia per il suo arresto.
La Corte accoglie il ricorso, rilevando come la forza fisica fosse stata usata dopo che il ricorrente si era già arreso gettandosi in terra e buttando via l’arma, e pertanto non fosse necessaria.
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 22475/05, Dolgov c. Russia (importance level 3)
Il caso è del tutto analogo a quello precedente. La Corte riscontra, altresì, la violazione dell’art. 5 § 1 Cedu perché si erano ecceduti i limiti massimi di durata previsti dalla legge per la custodia cautelare.
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 1066/05, Dorogaykin c. Russia (importance level 3)
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 Cedu in riferimento alle condizioni della detenzione. La Corte accoglie il ricorso, rilevando in particolare come il ricorrente non avesse a disposizione un letto per dormire.
  
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 10 febbraio 2011, ric. n. 40107/02, Kharchenko c. Ucraina (importance level 3)
Il ricorrente lamenta l’inadeguatezza delle condizioni della detenzione. La Corte riscontra la violazione dell’art. 3 Cedu perché la cella era sovraffollata e non ventilata, mentre non ha a disposizione elementi sufficienti per concludere che vi è stata una violazione di detta norma anche sotto il profilo delle cure mediche prestate dalle autorità carcerarie.
Riscontra inoltre una triplice violazione dell’art. 5 § 1 Cedu (una delle quali dovuta al fatto che la decisione di sottoporre il ricorrente a custodia cautelare era stata presa da un organo della pubblica accusa, e non da un giudice).
 
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 15 febbraio 2011, ric. n. 51216/06, Rotaru c. Moldavia (importance level 3)
Il ricorrente, arrestato per i reati di rapina e furto, lamenta la violazione dell’art. 3 Cedu con riferimento, alle condizioni dello stato di detenzione che gli hanno fatto contrarre la tubercolosi e altre malattie. Rileva inoltre la violazione dell’art. 13 Cedu con riguardo all’impossibilità di presentare ricorso in sede nazionale per le violazioni di cui all’art. 3.
La Corte ritiene sussistenti entrambe le violazioni. Quanto alla prima, pure avuto riguardo alle difficoltà economiche del Paese ed ai connessi problemi di finanziamento del sistema penitenziario, i giudici di Strasburgo rilevano che le condizioni della detenzione in cui si era trovato il ricorrente erano state pericolose per la sua salute (la cella era umida e la dieta era insufficiente, perché priva di carne e pesce). Per quel che attiene alla seconda, gli stessi evidenziano che alcun rimedio per dolersi della violazione dell’art. 3 era stato accordato al ricorrente.
 
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4. Articolo 5 Cedu
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 3 febbraio 2011, ric. n. 37345/03, Kharin c. Russia (importance level 2)
Il ricorrente lamenta l’illegittimità della sua detenzione in un “sobering-up centre” per ubriachezza in luogo pubblico. La Corte esclude la violazione dell’art. 5 § 1, ritenendo che la privazione della libertà fosse giustificata ai sensi della lett. e), dal momento che nel caso di specie erano presenti i requisiti richiesti dall’ordinamento interno per la detenzione nel centro e che la misura doveva ritenersi necessaria per evitare che l’uomo cagionasse pericoli ad altri e a se stesso.   
 
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 8 febbraio 2011, ric. n. 36988/07, Ignatenco c. Moldavia (importance level 3)
Il ricorrente, arrestato per appropriazione indebita di immobili e falsificazione di documenti a seguito di una complessa vicenda che lo vedeva coinvolto in un affare per la costruzione di 18 caseggiati, lamenta tra l’altro l’illegittimità della custodia cautelare in carcere.
La Corte non riscontra alcuna violazione dell’art. 5 § 1 Cedu, perché l’arco di tempo in cui la custodia cautelare era stata priva di base legale era appena di 30 minuti (discostandosi da quanto aveva in precedenza affermato nella sentenza K.-F. c. Germania del 27.11.1997).
 
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 febbraio 2011, ric. n.