ISSN 2039-1676


10 maggio 2016 |

Le Sezioni Unite sul calcolo del termine di prescrizione del reato edilizio in caso di sospensione del procedimento penale

Cass. Pen., Sez. Un., 31 marzo 2016 (dep. 13 aprile 2016), n. 15427, Pres. Canzio, Rel. Ramacci, ric. Cavallo

 

1. Con la sentenza in oggetto, le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla rilevanza della sospensione del procedimento penale ai fini del computo del termine prescrizionale del reato. In particolare, oggetto specifico della pronuncia è l'incidenza sul corso del termine di prescrizione del reato edilizio di quel periodo di sospensione processuale che consegue alla pendenza del procedimento amministrativo finalizzato ad ottenere la sanatoria per l'abuso realizzato. Per meglio comprendere i termini della questione, pare opportuno riassumere brevemente i fatti da cui trae origine l'ordinanza di rimessione.

 

2. Il Tribunale di Brindisi aveva condannato l'imputato per il reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) del d.P.R. 380/2001 (c.d. T.U. Edilizia) per aver realizzato opere edilizie in difformità dal titolo abilitativo rilasciato dalla competente autorità amministrativa[1]. La sentenza di condanna era stata confermata anche in secondo grado dalla Corte di appello di Lecce. Avverso tale ultima pronuncia, l'imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando - tra l'altro - l'inosservanza da parte dei giudici del merito delle norme in materia di prescrizione del reato (in particolare, artt. 157, 159 c.p.).

Durante il primo grado di giudizio, il Tribunale aveva disposto, su richiesta del difensore dell'imputato, la sospensione del procedimento penale in ragione della pendenza presso l'autorità comunale della procedura diretta ad ottenere la concessione di un c.d. permesso in sanatoria per il manufatto abusivo realizzato.

In particolare, il giudice penale aveva accordato il differimento delle udienze anche se la richiesta di sospensione era stata presentata dopo lo spirare del termine previsto per la definizione del procedimento amministrativo; l'art. 36 d.P.R. 380/2001 prevede infatti che l'Amministrazione debba pronunciarsi entro sessanta giorni dall'istanza del privato, pena la formazione di un c.d. silenzio-rifiuto. Per l'effetto, in ossequio alla normativa codicistica che sancisce la sospensione del corso della prescrizione in caso di sospensione del procedimento penale, il giudice aveva escluso che potesse dichiararsi l'estinzione del reato. Tale pronuncia, come anticipato, era stata confermata in appello.

In sede di legittimità il ricorrente aveva sostenuto che i giudici di merito avessero errato nell'accordare la sospensione del procedimento e del termine prescrizionale; ciò in quanto al momento dell'istanza di sospensione la procedura amministrativa doveva già ritenersi conclusa in senso negativo, essendo decorso invano il termine di sessanta giorni di cui all'art. 36 T.U. edilizia per il rilascio del permesso in sanatoria. Ancora, richiamando la giurisprudenza in materia di condono, l'imputato sottolineava come la sospensione non avrebbe potuto spiegare validi effetti, avendo il giudice omesso di valutare preventivamente l'astratta sussistenza dei presupposti della sanatoria.

 

3. Rilevata l'esistenza di incertezze in ordine alla disciplina applicabile, con ordinanza del 26 novembre 2015 (già pubblicata in questa Rivista) la Corte di Cassazione, III sezione penale ha investito del ricorso le Sezioni Unite, rimettendo ad esse la risoluzione di una duplice questione di diritto:

a) «se la sospensione del processo, prevista nel caso di presentazione della istanza di 'accertamento di conformità', ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13 legge n. 47 del 1985), debba essere considerata ai fini del computo del termine di prescrizione del reato edilizio»;

b) «se, in caso di sospensione del processo disposta su richiesta dell'imputato o del suo difensore oltre il termine previsto per la formazione del silenzio-rifiuto ex art. 36  d.P.R. cit., operi la sospensione del corso della prescrizione a norma dell'art. 159, primo comma, n. 3, cod. pen.».

Si anticipa fin d'ora che le Sezioni Unite hanno ad entrambi i quesiti risposta affermativa.

 

4. Riducendo ai minimi termini le questioni oggetto dell'ordinanza di rimessione, si tratta di capire in qual modo la pendenza della procedura amministrativa diretta ad ottenere un c.d. permesso in sanatoria incida sullo svolgimento del procedimento penale e sulle correlate problematiche in materia di prescrizione del reato.

 

4.1. Per quel che attiene al primo quesito sollevato dal giudice a quo, giova premettere che l'art. 45 T.U. Edilizia prevede una sospensione ex officio dell'azione penale fino all'esaurimento dei procedimenti amministrativi di sanatoria contemplati dall'art. 36 dello stesso d.P.R.

In particolare, la sanatoria è finalizzata a rimediare ad una violazione di carattere formale, ossia ad accertare ex post la conformità alle prescrizioni urbanistiche di quei manufatti realizzati in difetto del titolo abilitativo; il relativo permesso viene concesso, dunque, dalla Pubblica Amministrazione su istanza del privato previa verifica di tale presupposto, nonché previa corresponsione di una somma di denaro a titolo oblazione.

Come già evidenziato, la norma prevede che il funzionario debba pronunciarsi entro il termine di sessanta giorni dalla richiesta dell'interessato, pena la formazione di un c.d. silenzio-rifiuto.

Sul punto, la Corte ha anzitutto ricordato come la previsione del citato termine di sessanta giorni abbia indotto la giurisprudenza (tanto quella di legittimità quanto quella costituzionale: ex plurimis, si vedano Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 1992, n. 4154 e Corte Costituzionale, ord. n. 304/1990) a ritenere che esso costituisca altresì un limite alla durata della sospensione ex lege del procedimento penale, la quale non può esservi evidentemente superiore («si è osservato come la sospensione dipenda direttamente dalla richiesta del titolo abilitativo in sanatoria e la sua durata corrisponda al tempo stabilito dalla legge per la definizione del procedimento, cioè per sessanta giorni dalla richiesta, con la conseguenza che il provvedimento del giudice, avente natura meramente dichiarativa, non può svolgere alcun ruolo preclusivo, cosicché non potrà assumere rilievo [...] un periodo di sospensione superiore a quello fissato dalla legge», sentenza in commento, p. 12).

Ciò premesso, le Sezioni Unite hanno mostrato di aderire a quelle opinioni ermeneutiche sviluppatesi principalmente in materia di condono[2], secondo le quali la legittimità della sospensione ex officio del processo è altresì subordinata ad una previa valutazione da parte del giudice in merito alla sussistenza in astratto delle condizioni per l'ottenimento di un provvedimento favorevole (sia esso un condono o un permesso in sanatoria)[3].

In particolare, si è affermato che «a fronte di una situazione, risultante chiaramente dagli atti o dell'imputazione, che evidenzi, pacificamente e senza necessità di specifici accertamenti, l'assenza dei requisiti per l'accoglimento della domanda [...], la sospensione, per il periodo di sessanta giorni indicato dalla legge per la definizione del procedimento amministrativo [...] non potrà operare e, se disposta comunque dal giudice, autonomamente e senza richiesta di parte, non potrà produrre effetti di sospensione dei termini di prescrizione» (sentenza in commento, p. 15).

Quel che se ne ricava è che la sospensione disposta d'ufficio può validamente spiegare i suoi effetti soltanto per un tempo limitato, pari al tempo utile per il rilascio del permesso in sanatoria. Di conseguenza, anche il corso del termine prescrizionale ex art. 159, comma 1 c.p. potrà in tal caso ritenersi sospeso soltanto per un tempo pari a quello della valida sospensione del procedimento, ossia per sessanta giorni.

 

4.2. Con riferimento alla seconda questione prospettata nell'ordinanza di rimessione, il contrasto giurisprudenziale riguarda la possibilità di sospendere il corso della prescrizione per l'intera durata della sospensione del procedimento qualora il differimento del processo oltre il termine dei sessanta giorni sia stato disposto non d'ufficio, bensì su istanza del difensore o dello stesso imputato.

Secondo un primo orientamento, l'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento penale per un tempo eccedente i sessanta giorni deve in ogni caso essere qualificata come illegittima, ponendosi in contrasto con la disciplina contenuta nel d.P.R. 380/2001; allo stesso modo, illegittima è l'ordinanza che dispone una sospensione del corso della prescrizione per un periodo superiore al predetto termine (si veda Cass. pen., sez. feriale, 9 agosto 2013, n. 34938, c.d. sentenza Bombaci)[4]. Invero, difetta in tale ipotesi la possibilità di ottenere il rilascio del permesso in sanatoria, essendo il procedimento amministrativo già perfezionatosi con la formazione di un silenzio-rigetto.

Per contro, altro orientamento ammette tanto la legittimità di una sospensione del procedimento disposta su istanza di parte oltre il termine dei sessanta giorni quanto la sua piena operatività ai fini del computo del termine di prescrizione per la complessiva durata del differimento (si veda Cass. pen., sez. III, 28 maggio 2014, n. 41349, c.d. sentenza Zappalorti).

In particolare, nella pronuncia Zappalorti, la Suprema Corte - richiamando quanto già affermato in precedenza dalle Sezioni Unite in punto di prescrizione (Cass. pen, Sez. Unite, 28 novembre 2001, n.1021) - ha anzitutto sottolineato come «il processo penale vive prevalentemente delle iniziative non solo istruttorie delle parti anche private, che hanno il potere di contribuire autonomamente a determinare tempi, modalità e contenuti delle attività processuali. Infatti, le parti non hanno più solo poteri limitativi dell'autorità del giudice, ma condividono con il giudice la responsabilità dell'andamento del processo e devono assumersi conseguentemente gli oneri connessi all'esercizio dei loro poteri. Tale responsabilità comporta, dunque, l'incongruità di una interpretazione della norma che consenta alla stessa parte che ha chiesto ed ottenuto il rinvio della udienza, pur in mancanza dei presupposti legittimanti, di lamentare la correlata considerazione della sospensione della prescrizione proprio da tale rinvio derivante».

Tali considerazioni hanno indotto i giudici a sostenere che «il provvedimento di rinvio del processo per esigenze proprie della parte richiedente dà luogo in ogni caso a sospensione della prescrizione per l'intera durata del rinvio ex art. 159 cod. pen., a prescindere dalle ragioni che la stessa parte ha posto a fondamento della richiesta, con l'ovvia esclusione del caso in cui tali ragioni consistano nell'impedimento della parte o del difensore[5]».

Con la pronuncia in oggetto, le Sezioni Unite hanno aderito a quest'ultima opinione giurisprudenziale.

Invero, i giudici di legittimità hanno evidenziato come lo spirare invano del termine previsto dal legislatore per la definizione del procedimento amministrativo non privi l'autorità competente del potere di pronunciarsi positivamente sulla richiesta di sanatoria in un momento successivo. Ne deriva la fondatezza di una richiesta di differimento del processo penale anche laddove i sessanta giorni siano decorsi senza l'adozione di un provvedimento da parte dell'amministrazione e, dunque, la legittimità della sospensione accordata dal giudice e la sua piena valenza ex art. 159, comma 1, n. 3) c.p. per il computo del termine prescrizionale.

In caso contrario - ha sottolineato la Corte - ne deriverebbero conseguenze prive di ogni logica. Invero, occorre prendere atto che, nella maggior parte dei casi, l'autorità amministrativa non rispetta il termine de quo, e considerare che la sanatoria può pacificamente essere rilasciata anche dopo la sua decorrenza.

Date queste premesse, se si seguisse l'orientamento proposto dalla sentenza Bombaci, ossia si affermasse l'illegittimità di ogni sospensione superiore ai sessanta giorni, ne deriverebbe «una singolare situazione, nella quale, al fine di evitare il decorso dei termini di prescrizione, il giudice si vedrebbe costretto a proseguire comunque nella trattazione del processo, anche in presenza di una espressa richiesta in tal senso della parte» (sentenza in commento, p. 14).

 


[1] Ai sensi dell'art. 44, comma 1, d.P.R. 380/2001, «salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica: a) l'ammenda fino a 10329 euro per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire; b) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 5164 a 51645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione; c) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 15493 a 51645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell'articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso».

[2] Sanatoria e condono sono istituti che si differenziano quanto a ratio e finalità. Invero - come ben evidenziato anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (si veda sul punto, la citata Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2015, n. 466) - il condono edilizio costituisce un rimedio ad una violazione di carattere sostanziale, in quanto diretto a regolarizzare ex lege un'opera realizzata in un predeterminato lasso temporale in difformità dalla normativa urbanistica e in assenza del necessario titolo abilitativo; per contro, come già evidenziato supra, la sanatoria è diretta a rimediare ad una violazione di carattere formale, ossia a verificare ex post la compatibilità con le prescrizioni urbanistiche di quelle opere compiute in assenza di un valido titolo abilitativo o in difformità da esso.

[3] Si tratta di un orientamento giurisprudenziale sviluppatosi successivamente alla c.d. sentenza Sadini (Cass. pen., Sez. Unite, 24 novembre 1999, n. 22), nella quale le Sezioni Unite hanno affermato che la non condonabilità dell'intervento edilizio, da un lato, impedisce la sospensione e, dall'altro, neutralizza i suoi effetti qualora questa sia stata ciononostante disposta dal giudice.

[4] «E, invero, pur considerando la diversità esistente tra l'istituto della sospensione del corso della prescrizione nel procedimento penale, ai sensi dell'art. 159, comma primo, n. 3), cod. pen., su richiesta di mero rinvio dell'imputato o del suo difensore, da un lato, e la sospensione dell'azione penale fino all'esaurimento del procedimento amministrativo di sanatoria edilizia di cui agli artt. 45 e 36 d.P.R. n. 380 del 2001, dall'altro, se il differimento dell'udienza disposto dal giudice penale viene giustificato con esclusivo riferimento alla pendenza del procedimento amministrativo di sanatoria, esso non può prescindere dai tempi di definizione di quest'ultimo prescritti in sessanta giorni dal comma 3 dell'art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, cit., decorsi i quali la richiesta si intende respinta; ne discende l'illegittimità di un termine di differimento del procedimento penale, determinato esclusivamente dalla pendenza del procedimento amministrativo di sanatoria, eccedente il tempo fissato dalla legge per la definizione di quest'ultimo, con la conseguente illegittimità anche dell'ordinanza di sospensione dei termini di prescrizione per un tempo superiore alla durata della procedura amministrativa», sentenza Bombaci.

[5] Si tratta di un'ipotesi espressamente contemplata dallo stesso art. 159, comma 1, n. 3) c.p., in presenza della quale è fissato un termine massimo di sospensione pari a sessanta giorni.