ISSN 2039-1676


06 dicembre 2016 |

Il “nuovo” art. 309 c. 10 c.p.p. supera l’esame di costituzionalità (ma non ancora quello della prassi applicativa)

Nota a Corte cost., sent. 21 settembre 2016 (dep. 3 novembre 2016) n. 233, Pres. Grossi, Rel. Lattanzi

 

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1. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 233 del 2016 si confronta, per la prima volta, con il problema della compatibilità, con i principi sanciti nella Carta fondamentale, della disposizione contenuta nel comma 10 dell’art. 309 c.p.p. così come riformulato a seguito dell’intervento novellistico operato con l’art. 10 comma 11 della legge 47/2015[1]. I Giudici di Palazzo della Consulta, disattendendo le aspettative di un intervento dichiarativo degli ipotizzati profili di illegittimità costituzionale della nuova disciplina, respingono la questione sottoposta al loro vaglio ritenendola ammissibile, ma infondata.

È opportuno procedere per gradi ricordando, anzitutto, quale fosse l’oggetto del quesito sottoposto allo scrutinio di legittimità costituzionale.

 

2. Con l’ordinanza di rimessione pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nola, che riportava - vale la pena di ricordarlo - una data di solo venti giorni successiva all’entrata in vigore della l. 47/2015[2], la Corte Costituzionale era chiamata a giudicare la compatibilità, da un lato, con l’art. 3 Cost. e, dall’altro, con gli artt. 101 comma 2 e 104 comma 1 Cost., del riformato art. 309 comma 10 c.p.p. nella parte in cui - a seguito della novella legislativa – precludeva, qualora l’ordinanza applicativa di una misura coercitiva avesse perso efficacia per uno dei motivi previsti nella stessa disposizione, la rinnovazione del provvedimento, salvo che non sussistessero «eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate», e non limitava l’operatività di tale meccanismo alla reiterazione della sola custodia cautelare in carcere.

Il profilo di illegittimità costituzionale, avente come parametro di riferimento l’art. 3 Cost., in quanto espressione dei principi di uguaglianza sostanziale e di ragionevolezza, veniva sviluppato da parte del Giudice remittente articolando il quesito lungo tre principali linee argomentative: in primo luogo, si rilevava come la nuova disciplina determinasse, subordinando la reiterazione di ogni misura coercitiva alla sussistenza di «eccezionali esigenze cautelari», una rottura dell’equilibrio sotteso alla disciplina delle misure cautelari personali tra esigenze cautelari e tutela del destinatario della misura[3]; in secondo luogo, si eccepiva che si fosse venuta a creare un’irragionevole differenza tra la disciplina prevista dall’art. 309 c. 10 c.p.p. e altre ipotesi normative statuenti, egualmente, la caducazione del provvedimento restrittivo della libertà personale (rispettivamente, ex art. 302 c.p.p., per omesso interrogatorio di garanzia previsto dall’art. 294 del codice di rito; ai sensi dell’art. 13 l. 22 aprile 2005 n. 69, per mancato invio da parte dell’autorità richiedente degli atti previsti, nell’ambito del mandato d’arresto europeo, e, in forza dell’art. 27 c.p.p., a seguito del mancato intervento del giudice competente) dal momento che rispetto a queste ultime fattispecie si prevedeva l’estinzione della misura, ma non se ne subordinava la rinnovazione alla sussistenza di «eccezionali esigenze cautelari»; infine, si riscontrava che la perdita di efficacia, intervenuta, nell’ambito di procedimenti plurisoggettivi, solo rispetto alle ordinanze cautelari emesse nei confronti di alcuni dei coindagati, accompagnata dall’insussistenza di «eccezionali esigenze cautelari», avrebbe potuto causare, pur in presenza di uguali presupposti sottostanti, trattamenti cautelari differenti tra le diverse persone interessate.

L’argomentazione sviluppata, poi, dal Giudice per le indagini preliminari di Nola a sostegno della censura di incostituzionalità sub artt. 101 comma 2 e 104 comma 1 Cost. (che rispettivamente sanciscono il principio di soggezione dei giudici soltanto alla legge e quello di indipendenza della magistratura) faceva leva sul rilievo che, per effetto della disposizione censurata, il giudice, nell’esercizio del potere cautelare (in sede di rinnovazione dell’ordinanza applicativa delle misure coercitive), non sarebbe stato soggetto solo alla legge, ma anche alla tempestività e alla regolarità del sub-procedimento di notificazione dell’avviso all’indagato, e, quindi a circostanze, del tutto casuali e fuori dal controllo diretto della stessa autorità giudiziaria.

Nessuno dei dubbi di legittimità costituzionale è stato, però, come si accennava, ritenuto fondato da parte della Corte Costituzionale.

 

3. I Giudici costituzionali affrontano le questioni sollevate nell’ordine scelto dal Giudice remittente, ritenendo che, conformemente alla prospettazione contenuta nell’ordinanza di rimessione, il profilo cui attribuire maggior peso sia quello relativo alla presunta violazione da parte della disposizione di nuovo conio dell’art. 3 Cost..

In riferimento a tale prima prospettiva, la Corte Costituzionale, innanzitutto, ritiene di non poter condividere la stessa premessa del ragionamento del Giudice a quo, ossia che il requisito costituito dalle “esigenze cautelari eccezionali” si colleghi necessariamente all’applicazione della sola misura cautelare prevista dall’art. 285 c.p.p.[4]. Il rigetto della suddetta tesi è costruito sulla base di un duplice ordine di elementi che ripercorrono – e scardinano – la linea argomentativa avanzata nell’ordinanza di rimessione. In primo luogo, infatti, viene sottolineato come la scelta di una misura cautelare debba avvenire prendendo in considerazione non solo il grado delle esigenze cautelari, ma anche la loro natura che «quale che ne sia il grado, può essere tale da rendere in ogni caso adeguata una misura diversa da quella carceraria». In secondo luogo, i Giudici di Palazzo della Consulta evidenziano come, alla base dell’adozione della misura ex art. 285 c.p.p., sia necessaria la previa verifica di ulteriori requisiti. Per un verso, infatti, proprio l’accertamento della sussistenza del presupposto dettato dall’art. 274 comma 1, lett. c) c.p.p. (esigenza cautelare ravvisata nella fattispecie concreta sottoposta al giudizio del Giudice per le indagini preliminari di Nola) subordina la scelta della custodia cautelare al fatto che il reato per cui si procede sia un delitto per il quale sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni; per l’altro, l’art. 275 comma 3 c.p.p. richiede di escludere che ogni altra misura risulti adeguata[5]. Alla luce di siffatte premesse, appare infondato l’assunto affermato dal giudice rimettente, secondo cui, considerato il parametro richiesto dal nuovo comma 10 dell’art. 309 c.p.p. per la rinnovazione, l’unica misura riapplicabile sarebbe, a quel punto, quella custodiale. Al contrario, «indipendentemente dal ‘grado’ dell’esigenza cautelare e dall’intensità del pericolo, è possibile che venga adottata una misura diversa da quella carceraria, sia perché lo impone la pena comminata per il reato (inferiore nel massimo a cinque anni), sia perché, pur non ostando la pena, la misura prescelta risulta adeguata, cioè idonea a contrastare il pericolo. Il principio di adeguatezza impone infatti al giudice di adottare la misura che comporta per chi la subisce il minor sacrificio necessario per fronteggiare i pericula libertatis, ed è ipotizzabile l’esistenza di un’eccezionale situazione di pericolo, che, se non fosse contrastata, determinerebbe con elevata probabilità l’evento da prevenire, e tuttavia potrebbe (e dunque dovrebbe) essere efficacemente contrastata con misure diverse dalla custodia cautelare in carcere». In questo senso, contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza di remissione, la previsione di nuovo conio non si porrebbe in contrasto con la necessità, costituzionalmente fondata, di un equilibrio, rispetto alla disciplina in tema di restrizioni della libertà personale ante iudicium, tra esigenze di difesa sociale e tutela della posizione del singolo.

Da tale passaggio, si può evincere, inoltre, un primo importante chiarimento in ordine alla corretta interpretazione da darsi al presupposto delle «eccezionali esigenze cautelari»: il requisito di cui al “nuovo” art. 309 c. 10 c.p.p. viene, infatti, a essere significativamente collegato, dalla Corte, alla natura delle esigenze cautelari e non al loro grado. Sotto questo aspetto la clausola in oggetto, nonostante l’apparente assonanza, risulta, in realtà, avere un significato diverso rispetto a quella («esigenze cautelari di eccezionale rilevanza») utilizzata dal legislatore penale in altre occasioni, come, per esempio, avviene nell’ambito dell’art. 275 comma 4 c.p.p. allo scopo di legittimare l’adozione della custodia cautelare in carcere in presenza di condizioni soggettive del destinatario ritenute inconciliabili con l’estrema privazione della libertà personale realizzata da tale misura cautelare.

Il ragionamento sviluppato dalla Corte, in ordine al primo profilo di ritenuta violazione dell’art. 3 Cost. della nuova disciplina, contiene un altro importante sviluppo: chiariscono, i giudici di Palazzo della Consulta, come (anche alla luce dei lavori parlamentari[6]) la ratio della modifica apportata all’art. 309 comma 10 c.p.p. vada rinvenuta nell’esigenza di «impedire che ‘l’ordinanza che dispone la misura coercitiva’ sia ‘rinnovata’, cioè che l’ordinanza sia riemessa con la stessa motivazione, nonostante la perdita di efficacia». In questa direzione, la novità introdotta dalla l. 47/2015 tenderebbe a porre rimedio a certe «prassi distorsive, verificatesi in passato, come quella dell’adozione di una nuova ordinanza cautelare prima ancora della scarcerazione dell’interessato o quella della successione di ‘ordinanze-fotocopia’, caducate e non controllate»[7] che comportavano un irragionevole sacrificio dei diritti della persona sottoposta a restrizione della libertà personale.

Al fine di supportare la propria conclusione, per cui la l. 47/2015 sarebbe, comunque, rimasta «nei limiti considerati congrui dal legislatore», la Corte richiama anche l’opinione, espressa da autorevole dottrina, secondo cui il legislatore del 2015 ha «inteso affrontare in maniera unitaria la tematica delle impugnazioni cautelari, in modo da rendere più certa la tempistica del giudizio di riesame (anche in sede di rinvio) ed effettiva la previsione della perdita di efficacia conseguente all’inosservanza dei termini perentori fissati»[8].

Individuata la ratio della riformata disposizione nel fine di evitare che in futuro si perpetui il fenomeno della successione, nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto, di una serie di ordinanze con identica motivazione, la Corte sottolinea come costituisca logico corollario del suddetto meccanismo la necessità che il provvedimento di rinnovazione della misura debba fondarsi su ulteriori elementi rispetto a quelli giustificativi del provvedimento che ha perso efficacia.

Sul punto, però, l’argomentare della Corte, racchiuso, a dire il vero, in poche battute, risulta non del tutto lineare. Riferendosi sempre all’ipotesi di estinzione della misura ai sensi dell’art. 309 comma 10 c.p.p., il Giudice delle leggi rileva come «in casi del genere dunque è possibile che il giudice riscontri quelle esigenze cautelari eccezionali che a norma dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. giustificano, attraverso una specifica motivazione, l’emissione di un nuovo provvedimento cautelare; negli altri casi, invece, un nuovo provvedimento potrà essere emesso solo se sopravvengono ulteriori elementi indicativi di pericolosità».

La formulazione, sin troppo stringata, lascia aperti alcuni interrogativi. Innanzi tutto, resta da chiarire se, nel pensiero della Corte, ai fini della rinnovazione della misura ai sensi del comma 10 dell’art. 309 sia necessario che le «eccezionali esigenze cautelari» sopravvengano ex novo ovvero sia possibile fare riferimento ad elementi già presenti agli atti[9].

Inoltre, non appare del tutto chiara la distinzione tra l’ipotesi di rinnovazione della misura precedentemente estinta (subordinata, ai sensi della nuova disposizione, alla realizzazione della clausola restrittiva) e quella di adozione di una nuova misura  (sulla base, invece, delle regole comuni)[10].

 

4. Risolto questo primo nodo problematico, i Giudici di Palazzo della Consulta, passano ad affrontare gli altri due profili di asserita violazione dell’art. 3 Cost. prima citati. 

In relazione alla irragionevole differenza tra quanto previsto dalla nuova disposizione rispetto al regime dettato, con riguardo a situazioni analoghe, dalla normativa processuale, viene escluso che possa essere impostato un confronto tra la fattispecie di cui all’art. 309 comma 10 c.p.p. e le altre tre ipotesi di perdita di efficacia di misure cautelari individuate dal giudice remittente come termini di comparazione (contenute rispettivamente negli artt. 302 e 27 c.p.p. e nell’art. 13 l. 22 aprile 2005, n. 69), poiché si tratta di casi – questi ultimi - completamente differenti rispetto al primo. Nella situazione regolamentata dall’art. 309 comma 10 c.p.p., infatti, la misura coercitiva si estingue, seppure per ragioni formali, a seguito del procedimento di riesame; la norma impugnata, in questo senso, è diretta – secondo la lettura datane dalla Corte - a evitare che l’esito favorevole ottenuto dalla persona che ha attivato il mezzo di impugnazione «sia frustrato attraverso la reiterazione del provvedimento cautelare caducato e la necessità per l’interessato di promuovere un nuovo procedimento di riesame, identico al precedente. Se potesse avvenire ciò, infatti, la perdita di efficacia della misura coercitiva si risolverebbe in un danno per l’interessato, che vedrebbe solo rinviato il momento della decisione sulla richiesta di riesame e il suo eventuale accoglimento».

La sentenza in esame, inoltre, dedica una ulteriore e specifica considerazione all’improprietà del paragone – impostato dal giudice remittente - con la disciplina di cui all’art. 302 c.p.p.: tale comparazione, infatti, secondo la Corte sarebbe incongrua perché la previsione posta a confronto, in realtà, non consente che la misura sia immediatamente reiterata, stabilendo, al contrario, che la rinnovazione possa avvenire solo «previo interrogatorio, allorché, valutati i risultati di questo, sussistono le condizioni indicate negli artt. 273, 274 e 275»[11].

Con riguardo, infine, al terzo profilo di sospetta violazione del principio sancito dall’art. 3 della Carta fondamentale, i Giudici costituzionali, liquidano la questione loro posta affermando, lapidariamente, che, nell’ipotesi in cui il titolo cautelare abbia perso efficacia solo per alcuni indagati, la causa della differenza di trattamento che si viene a determinare non è da individuare nel meccanismo di preclusione alla reiterazione della misura previsto dall’articolo censurato, ma, a monte, nella ragione che ha cagionato l’applicazione dello stesso (i.e. il mancato rispetto delle cadenze temporali stabilite dall’art. 309 del codice di rito) che ha riguardato solo alcuni, e non tutti, i soggetti virtualmente interessati. Pertanto, a parere della Corte, il diverso regime di trattamento si giustifica, in questo caso, in ragione della differenza delle posizioni coinvolte.

 

5. Il provvedimento in esame si conclude con un breve – ma incisivo – paragrafo dedicato all’esposizione delle ragioni per le quali il “nuovo” art. 309 comma 10 c.p.p. non violerebbe neppure gli artt. 101 comma 2 e 104 comma 1 Cost. La soluzione del problema, secondo la Corte Costituzionale, deve essere rinvenuta nel fatto che «la legge infatti ben può ricollegare particolari effetti ad accadimenti processuali sottratti al totale controllo dell’autorità giudiziaria, senza che ciò possa menomare la posizione del giudice, che rimane soggetto ‘soltanto alla legge’ (art. 101, secondo comma, Cost.), o incidere sulla sua indipendenza e autonomia (art. 104, primo comma, Cost.)». In altri termini, se è, per un verso, incontrovertibile che l’inosservanza dei termini stabiliti dall’art. 309 c.p.p. possa anche non dipendere da un comportamento del giudice, va, per l’altro, ribadito come «la norma che ricollega a quell’inosservanza gli effetti processuali censurati non menoma le sue prerogative e non comporta ingerenze estranee sulla sua attività» e, di conseguenza, non determina alcuna lesione né del principio di soggezione dei giudici soltanto alla legge né quello di indipendenza della magistratura.

 

6. In conclusione, nonostante l’esito del vaglio della Corte Costituzionale sia stato un provvedimento dichiarativo dell’infondatezza delle questioni prospettate[12], i Giudici delle Leggi hanno comunque fornito alcuni importanti chiarimenti, con riguardo sia al senso sia alla funzione della nuova disposizione di cui all’attuale art. 309 comma 10 c.p.p.. Tale prima ricognizione – anche se non completamente esaustiva rispetto a molteplici problemi applicativi che la previsione in oggetto pone[13] – non potrà che essere di aiuto tanto agli interpreti quanto agli operatori[14].

 

 

[1] Il testo dell’ordinanza di rimessione è stato pubblicato in questa Rivista, 23 luglio 2015.

[2] Per un più articolato commento del provvedimento di rimessione, si rimanda, volendo, a G. Angiolini, Il “nuovo” procedimento di riesame delle misure cautelari personali al vaglio della Corte Costituzionale, in questa Rivista, 23 luglio 2015.

[3] A parere del giudice remittente, la previgente disciplina si presentava, sotto questo profilo, più adeguata, nella misura in cui ricollegava alla inosservanza dei termini previsti per lo svolgimento del procedimento di riesame la sola perdita di efficacia dell’ordinanza impugnata. In termini diversi, sul punto, M. Bargis, Commento all’art. 13 l. 47/2015, in www.legislazionepenale.eu, 22 settembre 2015, p. 12.

[4] Sul punto, per alcune osservazioni critiche, E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al tribunale della libertà, in AA. VV., La riforma delle misure cautelari personali, a cura di L. Giuliani, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 239 e ss.

[5] Per inciso vale la pena di segnalare come la stessa novella del 2015 abbia ulteriormente rafforzato l’obbligo per il giudice, stabilendo, a presidio contro un ricorso eccessivo alla misura restrittiva più afflittiva, che la custodia cautelare venga applicata solo quando le esigenze cautelari non possano venir soddisfatte neppure con l’adozione cumulativa di altre misure, coercitive o interdittive.

[6] Per un’accurata analisi dei lavori parlamentari che hanno portato all’inserimento, nell’art. 309 comma 10 c.p.p., dell’inciso censurato, cfr. E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al tribunale della libertà, cit., pp. 235 e ss..

[7] La Corte si riferisce alla costante interpretazione giurisprudenziale (sviluppatasi - nel silenzio nella formulazione previgente dell’art. 309 comma 10 c.p.p. circa la possibilità di rinnovazione dell’ordinanza - a seguito di Cass. Pen., Sez. Un., 1 luglio 1992, n. 11, Grazioso ed altri, in CED Cass. n. 191182) che aveva affermato il potere in capo al giudice di emettere, anche prima dell’esecuzione del provvedimento di liberazione conseguente alla perdita di efficacia della misura, una nuova ordinanza applicativa della stessa misura cautelare nei confronti del medesimo soggetto e per gli stessi fatti anche senza l’acquisizione di ulteriori elementi indiziari. In dottrina, avevano rilevato i profili critici di tale orientamento M. Ceresa-Gastaldo, Il riesame delle misure coercitive nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1993, pp. 169-170; Id., Riformare il riesame dei provvedimenti di coercizione cautelare, in Riv. Dir. Proc. 2011, pp. 1182-1183; E. N. La Rocca, Il riesame delle misure cautelari personali, Ipsoa, Milanofiori Assago-Torino, 2012, p. 201 e C. Santoriello, Vizi formali del provvedimento coercitivo e giudicato cautelare, in Giur. It. 2000, fasc. 1, pp. 142 e ss..

[8] Per tale osservazione M. Bargis, Commento all’art. 13, cit., p. 11.

[9] La dottrina si è espressa, sul punto, in maniera non univoca. In sede di commento alla l. n. 47/2015, vi è, infatti, chi ha sostenuto che, ai fini del ripristino della misura, le «eccezionali esigenze cautelari» debbano materializzarsi successivamente alla perdita di efficacia dell’iniziale provvedimento (così M. Bargis, Commento all’art. 13, cit., p. 12). Contra, nel senso che «l’eccezionalità delle esigenze cautelari [debba] essere recuperata all’interno dell’ordinanza originaria», E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al tribunale della libertà, cit., p. 242.

Anche la giurisprudenza di legittimità si è occupata del requisito delle “eccezionali esigenze cautelari” rilevando, in particolare, come «le eccezionali esigenze cautelari […] non richiedono un "quid pluris" rispetto alla situazione precedente, né la necessità di elementi nuovi sopravvenuti; tuttavia, non coincidono con una normale situazione di pericolosità, identificandosi piuttosto in una esposizione al pericolo per la collettività di tale consistenza da non risultare compensabile se non con l'imposizione di una misura coercitiva» (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 13 marzo 2016, n. 28002, in CED Cass. n. 267662). 

[10] A tal proposito, va sottolineato come, secondo alcuni, la previsione censurata non escluderebbe comunque la possibilità per il pubblico ministero di richiedere, per lo stesso fatto, l’emissione di un nuovo provvedimento cautelare, basandosi su ulteriori elementi (elementi, cioè, diversi, nuovi o comunque non addotti precedentemente) rispetto a quelli utilizzati a sostegno della originaria domanda. Così M. Bargis, Commento all’art. 13, cit., p. 12; G. Illuminati, Verso il ripristino della cultura delle garanzie in tema di libertà personale dell’imputato, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2015, fasc. 3, p. 1162. Un cenno in questa direzione si trova anche nella Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione n. III/03/2015. Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari, in questa Rivista, 7 maggio 2015, p. 32.

[11] Per una conclusione analoga, in dottrina, v. M. Bargis, Commento all’art. 13, cit., p. 11 ed E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al tribunale della libertà, cit., p. 238. In senso contrario, cfr. Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione n. III/03/2015. Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari, cit., pp. 31-32. 

[12] Commentando l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Nola, G. Illuminati, Verso il ripristino della cultura delle garanzie in tema di libertà personale dell’imputato, cit., p. 1162 aveva escluso che «il vaglio di ragionevolezza richiesto […] po[tesse] prevalere sulla discrezionalità legislativa, trattandosi di una norma di favore che tutela l’inviolabilità della libertà personale».

[13] In ordine alla definizione del concetto di “eccezionalità” delle esigenze cautelari rilevante ex art. 309 comma 10 c.p.p., v. anche Cass. Pen., Sez. III, 2 febbraio 2016, n. 28957, in CED Cass. n. 267472 secondo cui le straordinarie esigenze cautelari «si identificano nella "imminenza del pericolo", inteso come elevata probabilità non soltanto della commissione delle condotte (reiterazione di ulteriori reati, fuga, inquinamento probatorio) che si intende prevenire, ma altresì delle concrete occasioni per la commissione di tali condotte», inoltre, «il grado di intensità cautelare preteso dalla disposizione citata deve ritenersi intermedio rispetto ai due estremi individuati nelle "ordinarie" esigenze cautelari di cui all'art. 274 cod. proc. pen. e nelle "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza" che fondano, ai sensi dell'art. 275 cod. proc. pen. e dell'art. 89 d.P.R. 309/1990, l'esclusiva necessità della custodia in carcere».

[14] Al riguardo occorre ricordare come, rispetto al problema della rinnovazione della misura estintasi ex art. 309 comma 10 c.p.p., in passato era stata avanzata, in dottrina, in una prospettiva de iure condendo, una soluzione diversa da quella poi recepita dalla l. 47/2015. In particolare, si era proposto di intervenire nel senso di rendere doverosa «l’immediata adozione, in caso di perdita di efficacia della misura per inutile decorso del termine, del provvedimento liberatorio, al contempo specificando che la misura non [avrebbe potuto] essere nuovamente eseguita né disposta prima dell’intervento della decisione sulla richiesta di riesame» (così M. Ceresa-Gastaldo, Riformare il riesame dei provvedimenti di coercizione cautelare, cit., p. 1183). Ritiene che questa soluzione sarebbe stata preferibile rispetto a quella poi adottata M. Bargis, Commento all’art. 13, cit., p. 12.