Con la sentenza depositata il 18 maggio 2010, allegata in calce alle presenti note, la Corte d’appello di Genova ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale del capoluogo ligure in merito all’irruzione all’interno della scuola Diaz avvenuta nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, durante il vertice del G8.
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A seguito di riunione di diversi procedimenti, il giudizio di primo grado si svolgeva nei confronti di 31 imputati, tutti appartenenti alle forze dell’ordine impegnate all’interno della scuola Diaz nelle operazioni di perquisizione ad iniziativa della polizia giudiziaria ex art. 41T.U.L.P.S., all’esito delle quali:
- tutti coloro che si trovavano all’interno e all’esterno della scuola (93 persone) erano stati arrestati con le accuse di associazione finalizzata alla devastazione e al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie;
- ben 87 dei 93 arrestati avevano riportato lesioni (in particolare lesioni craniche lacero contuse per 12 soggetti);
- due di essi avevano corso addirittura pericolo di vita.
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Dopo un lunghissimo dibattimento, nel quale si erano costituite parti civili molte delle vittime, il Tribunale di Genova emetteva, in data 13 novembre 2008, la sentenza di primo grado.
Pur riconoscendo che quanto accadde all’interno della scuola era avvenuto “non solo al di fuori di ogni regola e di ogni previsione normativa, ma anche di ogni principio di umanità e di rispetto delle persone” (cfr. sentenza di primo grado, p. 312), il Tribunale era pervenuto in quell’occasione alla condanna di soli tredici imputati, tra i quali non figuravano i vertici delle forze dell’ordine coinvolte.
Le condanne riguardavano i reati – commessi dagli imputati singolarmente o in concorso, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ai sensi dell’art. 81 comma 2 c.p. – di falso ideologico in atto pubblico commesso da pubblico ufficiale (un imputato); calunnia (tre imputati); lesioni aggravate (dieci imputati); percosse (un imputato); porto abusivo d’armi da guerra (due imputati), con pene comprese tra un mese e quattro anni di reclusione.
La pena veniva condizionalmente sospesa nei confronti di due imputati e, per gli altri, condonata in tutto o in parte, in applicazione del provvedimento d’indulto di cui alla legge n. 241 del 2006.
Quanto alle statuizioni civili, il Tribunale condannava gli imputati, oltre che alle refusione delle spese processuali, al risarcimento del danno da determinarsi in separata sede a favore dei danneggiati, in solido con il Ministero dell’Interno, in qualità di responsabile civile. Concedeva, inoltre, una provvisionale (d’importo variabile tra i 2.500 e i 30.000 euro).
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Contro la sentenza di primo grado proponevano appello il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, il Procuratore Generale, alcuni degli imputati, il Ministero dell’Interno in qualità di responsabile civile, la maggior parte delle persone offese costituitesi parti civili.
Il 18 maggio 2010, la Corte d’Appello di Genova pronunciava sentenza di secondo grado, che riformava parzialmente quella emessa dai giudici di prime cure.
In estrema sintesi, la Corte d’Appello condannava ventiquattro imputati (tra i quali i vertici delle forze dell’ordine coinvolte) per i reati – commessi dagli imputati singolarmente o in concorso, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ai sensi dell’art. 81 comma 2 c.p. – di falso ideologico in atto pubblico commesso da pubblico ufficiale (quattordici imputati); calunnia aggravata (un imputato); lesioni aggravate (nove imputati).
Conseguentemente, previa esclusione delle circostanze attenuanti generiche nei confronti di quasi tutti gli imputati già condannati in primo grado, riderminava le relative pene, che vanno da un minimo di 3 anni e 8 mesi a un massimo di 5 anni di reclusione.
Tutte le pene sono state condonate nella misura di tre anni per effetto del menzionato provvedimento di indulto.
La Corte d’Appello pronunciava, poi, sentenza di proscioglimento per prescrizione in ordine ai reati di calunnia (due imputati); arresto illegale (dodici imputati); lesioni lievi (un imputato); percosse (un imputato); perquisizione arbitraria (un imputato); danneggiamento (un imputato); violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale (un imputato); violenza privata (un imputato).
Veniva, infine, applicata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni nei confronti della maggior parte degli imputati, mentre trovavano conferma le statuizioni civili e la condanna al pagamento delle spese processuali, con estensione anche a coloro che in primo grado erano stati assolti.
Il giudizio è tuttora pendente dinanzi alla Corte di Cassazione.
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Per una più ampia analisi di questa vicenda e di quella parallela relativa ai fatti accaduti nella caserma di Bolzaneto, si consenta il rinvio ad A. Colella,
C'è un giudice a Strasburgo. In margine alle sentenze sui fatti della Diaz e di Bolzaneto: l'inadeguatezza del quadro normativo italiano in tema di repressione penale della tortura, in
Riv. it. dir. proc. pen., 2009, pp. 1801-1843.
(Note a cura di Angela Colella e Francesco Viganò)