ISSN 2039-1676


07 novembre 2018 |

Riforma dell'ordinamento penitenziario: le novità in materia di assistenza sanitaria, vita detentiva e lavoro penitenziario

Decreti legislativi 2 ottobre 2018, n. 123 e 124 (G.U. 26 ottobre 2018)

 

1. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei tre decreti legislativi n. 121, 123 e 124 del 2 ottobre 2018, si conclude il tortuoso iter della riforma dell’ordinamento penitenziario. Si tratta, come noto, dei decreti legislativi che hanno dato (parziale) attuazione alla legge delega 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando) e, in particolare, del d. lgs. 2 ottobre 2018, n. 121 (clicca qui per il testo del decreto), Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 81, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103; d. lgs. 2 ottobre 2018, n. 123 (clicca qui per il testo del decreto), Riforma dell’ordinamento; penitenziario, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere a), d), i), l), m), o), r), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103; d. lgs. 2 ottobre 2028, n. 124 (clicca qui per il testo del decreto), Riforma dell’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere g), h) e r), della legge 23 giugno 2017, n. 103.

In questo contributo si darà conto delle principali novità contenute nei capi I e IV del d. lgs. 123/2018, in materia di assistenza sanitaria e vita detentiva, nonché delle novità contenute nel d. lgs. 124/2018, contenente (altre) disposizioni in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario.

Per le disposizioni dei capi II e III del d. lgs. 123/2018, relativi rispettivamente alla semplificazione delle procedure e alle modiche in tema di competenze degli uffici locali di esecuzione esterna e della polizia penitenziaria, cfr. il commento di Massimo Ruaro di prossima pubblicazione in questa Rivista. A breve sarà poi pubblicato, sempre in questa Rivista, anche il commento di Lina Caraceni sul d. lgs. 121/2018, in materia di esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni.

 

2. Prima di addentrarci nell’esame dei contenuti delle riforme, appare opportuno evidenziare che, secondo quanto affermato nella Relazione illustrativa allo schema di decreto inviato dal Governo alle Camere, il testo del decreto in materia di assistenza sanitaria, semplificazione dei procedimenti e vita penitenziaria – dunque quello che sarebbe poi divenuto il d. lgs. 123 – rappresenta una “nuova elaborazione” rispetto al testo elaborato dalle Commissioni nominate dal precedente Ministro della giustizia.

Si osserva nella Relazione che il Governo, in considerazione dei pareri negativi resi dalle Camere, ha avviato un nuovo procedimento di esercizio della delega (avvalendosi a questo fine della facoltà di proroga contenuta nel comma 83 dell’articolo unico della l. 103/2017), per pervenire così ad un “testo diverso, nelle opzioni di fondo, rispetto al precedente con conseguente superamento dell’assetto complessivo della riforma”.

Come precisato espressamente nella già citata Relazione, il nuovo testo è contrassegnato dalla “scelta di mancata attuazione della delega nella parte complessivamente volta alla facilitazione dell’accesso alle misure alternative e alla eliminazione di automatismi preclusivi” (lettere b), c) ed e) del comma 85 della legge delega).

Emerge però dalla lettura dei nuovi testi che sono anche altre le parti della legge delega che il Governo, pur senza averlo dichiarato espressamente, ha scelto di non esercitare: si pensi, ad esempio, alla mancata attuazione del criterio di legge delega relativo al potenziamento dell’assistenza psichiatrica, di cui si dirà a breve, o quello relativo al diritto all’affettività delle persone detenute e internate (criterio questo, a dire il vero, al quale già il precedente Governo aveva scelto di non dare attuazione).

All’esito di tali interventi – e della soppressione dei due capi dedicati alle misure alternative a all’eliminazione degli automatismi preclusivi – il nuovo testo del d. lgs. 123 risulta costituito da un capo I dedicato all’assistenza sanitaria in ambito penitenziario, un capo II sulla semplificazione delle procedure, un capo III contenente modiche in tema di competenze degli uffici locali di esecuzione esterna e della polizia penitenziaria ed un capo IV contenente disposizioni in tema di vita penitenziaria. Complessivamente, più che ad un “testo diverso”, rispetto a quello licenziato dal precedente Governo, la sensazione è di essere davanti ad una versione ridotta di quello stesso testo, dal quale sono state eliminate le disposizioni che avrebbero consentito una riforma sostanziale, e non solo di facciata, del sistema penitenziario.

 

3. Venendo ora alle disposizioni in materia di assistenza sanitaria in ambito penitenziario, occorre prima di tutto osservare che dei due criteri di legge delega relativi a questo profilo – ossia, ex art. 1 co. 85, lett. l., l’adeguamento ai principi del d. lgs. 22 giugno 1999, n. 230 (che ha trasferito le competenze della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale) ed il potenziamento dell’assistenza psichiatrica negli istituti di pena – il secondo non ha ricevuto attuazione. Nessuna traccia dunque, nel capo I del d. lgs. 123, delle proposte contenute nel progetto Pelissero su questo punto (si pensi, in particolare, alla prospettata equiparazione del disagio psichico a quello fisico ai fini del rinvio della pena ex art. 147 c.p. e della detenzione domiciliare ex art. 47 ter co. 1 ter; alla proposta di introdurre una specifica tipologia di affidamento in prova per i soggetti con disagio psichico; all’ipotizzata previsione di sezioni penitenziarie specializzate nel trattamento del disagio psichico).

 

4. Quanto invece all’altro criterio, ossia l’adeguamento alla normativa di riordino della medicina penitenziaria, il d. lgs. n. 123 interviene sul testo dell’art. 11 o.p., che è appunto la norma dell’ordinamento penitenziario dedicata alla disciplina della sanità in carcere, recependo per lo meno in parte le indicazioni contenute nel progetto Pelissero.

Concentrando ora l’attenzione non tanto su ciò che è stato tralasciato, ma sulle novità introdotte, deve in primo luogo evidenziarsi l’importanza della disposizione posta in apertura dell’art. 11, ove si afferma che “il servizio sanitario nazionale opera negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni nel rispetto della disciplina sul riordino della medicina penitenziaria”: il richiamo al d. lgs. 230/1999 deve intendersi come il richiamo al principio della parità tra detenuti (e internati) e soggetti liberi nella tutela del diritto alla salute e quindi al diritto a godere di prestazioni sanitarie efficaci, tempestive ed appropriate. Sempre in ossequio a quanto previsto dal d. lgs. 230/1999, il nuovo co. 3 dell’art. 11 o.p. prescrive l’adozione da parte dell’azienda sanitaria locale nel cui ambito sia ubicato un istituto penitenziario di una carta dei servizi, che deve essere messa a disposizione dei detenuti e degli internati con idonei mezzi di pubblicità.

Desta invece un certo stupore la nuova formulazione del co. 2. Nel ribadire quanto già era previsto nella previgente formulazione circa la predisposizione all’interno degli istituti penitenziari di un servizio sanitario “rispondente alle esigenze della salute dei detenuti e degli internati”, il nuovo co. 2 dell’art. 11 omette il riferimento al servizio psichiatrico: dunque, la nuova disposizione non solo non prevede il potenziamento di tale servizio (come richiesto nella legge delega e come previsto nel progetto Pelissero), ma addirittura elimina la previsione, contenuta nel ‘vecchio’ co. 1, secondo cui ogni istituto deve disporre “dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria”: un’omissione che può forse considerarsi come un eccesso di delega, per il fatto che il legislatore delegato è intervenuto sulla materia dell’assistenza psichiatrica operando nella direzione opposta rispetto a quella indicata nella legge delega.

Il d. lgs. 123 interviene poi sulla competenza a disporre il ricovero all’esterno: se nel progetto Pelissero le proposte erano nel senso di accrescere la competenza del magistrato di sorveglianza rispetto a quelle del giudice che procede e di rendere il provvedimento delegabile, a certe condizioni, al direttore dell’istituto, il decreto legislativo entrato in vigore opera nel senso esattamente opposto, accrescendo cioè, rispetto alla disciplina attuale, la competenza del giudice che procede a discapito di quella del magistrato di sorveglianza (che è ora competente solo per condannati ‘definitivi’ ed internati) ed escludendo qualsiasi possibilità di delega dei provvedimenti in materia di salute al direttore dell’istituto, anche nei casi di assoluta urgenza. Vero è che rimane la previsione regolamentare secondo cui il direttore può disporre il ricovero all’esterno laddove l’attesa del provvedimento giudiziale sarebbe pregiudizievole per la salute del detenuto o dell’internato (art. 17 co. 8 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), tuttavia la mancanza di una ‘base legale’ parrebbe esporre la disciplina contenuta nel co. 4 dell’art. 11 o.p. ad una censura di incostituzionalità, per non avere la legge operato un ragionevole bilanciamento tra le esigenze di sicurezza da un lato e la tutela del diritto alla salute dall’altro.

Con riferimento poi all’ingiustificato allontanamento del detenuto o internato dal luogo del ricovero, il co. 6 afferma l’applicabilità dell’art. 385 c.p. anche al caso di allontanamento in presenza di piantonamento, innovando rispetto alla disciplina previgente, che limitava – a dire il vero senza ragione – l’ipotesi di evasione al solo caso di allontanamento da parte del detenuto ricoverato senza piantonamento.

Alcune novità di rilievo riguardano la disciplina della ‘prima’ visita, ossia la visita medica a cui il detenuto o l’internato è sottoposto all’atto dell’ingresso in istituto. A questo proposito, nel nuovo co. 7 dell’art. 11 o.p., si prevede che, fermo l’obbligo di referto, il medico che riscontri “segni o indici che facciano apparire che la persona possa aver subito violenze o maltrattamenti” deve darne comunicazione al direttore dell’istituto e al magistrato di sorveglianza. Tale previsione riproduce una proposta del progetto Pelissero (ove si prevedeva anche l’obbligo, ora scomparso, della documentazione fotografica), che su questo specifico punto aveva tenuto in considerazione i preziosi rilievi del Garante nazionale dei detenuti. Se si deve certamente apprezzare la novità introdotta – poiché la comunicazione al direttore e al magistrato di sorveglianza può rappresentare uno strumento importante per l’emersione di eventuali violenze occorse in una fase precedente all’ingresso in istituto – non si può fare a meno di evidenziare ciò che non è stato riprodotto: nelle disposizioni del progetto Pelissero si stabiliva che la ‘prima visita’ dovesse avvenire “in coordinamento con il presidio psichiatrico e il servizio per le dipendenze”, al fine evidentemente di intercettare ‘all’ingresso’ il disagio psichico dei detenuti ed arginare così il fenomeno, purtroppo assai frequente nella prassi, degli atti di autolesionismo e dei suicidi.

Nel nuovo co. 7 trovano poi espressione alcuni importanti principi, già contenuti nel d. lgs. 230/1999: il diritto a ricevere informazioni complete sullo stato di salute durante la detenzione a al momento della rimessione in libertà, il principio di globalità dell'intervento sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, d’integrazione dell’assistenza sociale e sanitaria e la garanzia della continuità terapeutica (nella prassi di frequente non assicurata a causa anche dei trasferimenti dei detenuti da un istituto all’altro). A proposito della continuità terapeutica, si specifica poi che essa deve essere garantita con particolare attenzione ai soggetti che, all’atto di ingresso in carcere, abbiano in corso un programma terapeutico di transizione sessuale, in considerazione degli effetti pregiudizievoli per la salute che discendono dall’interruzione della terapia ormonale. Come evidente l’effettività di tali principi non potrà che dipendere dal grado di attuazione che sarà dato alle norme che li prevedono.

Se deve poi essere valutato positivamente il nuovo co. 12 laddove introduce la possibilità per il detenuto e l’internato di essere visitato, a proprie spese, da un “esercente di una professione sanitaria” di fiducia (una possibilità che, nella disciplina previgente, era prevista per il solo medico), lascia invece perplessi la modifica apportata al co. 11: mentre prima la norma stabiliva che il “sanitario deve visitare (…) coloro che ne facciano richiesta”, configurando quindi la visita del medico penitenziario come un diritto del detenuto, ora si stabilisce che, in caso di richiesta, il medico possa valutare la necessità della visita sulla base di “criteri di appropriatezza clinica”.

 

5. A conclusione di questa prima parte del decreto, dedicata alla sanità penitenziaria, non può non esprimersi un profondo rammarico per le scelte compiute in sede di ‘seconda’ attuazione della delega: se infatti la mancata attuazione di alcuni criteri di legge delega (si pensi ad esempio a quelli relativi all’ampliamento delle misure alternative) si può spiegare alla luce della diversa visione di politica criminale espressa dalla nuova compagine governativa, la mancata attuazione del criterio di legge delega relativo al potenziamento dell’assistenza psichiatrica – che si è tradotta in una puntigliosa soppressione di qualsiasi previsione del progetto Pelissero finalizzata ad intercettare e a rispondere al disagio psichico di detenuti e internati – non trova ragionevole giustificazione. Qualsiasi sia la visione di politica criminale che si persegua, residua in capo allo Stato l’obbligo inderogabile di tutelare la salute fisica e psichica dei soggetti affidati alla sua custodia: lo impone il principio dell’umanità del trattamento ex art. 27 co. 3 Cost. ma, ancor prima, il carattere inviolabile della vita, della salute e della dignità della persona sancito nell’art. 2 Cost.

 

6. Il capo IV del d. lgs. 123, “Disposizioni in tema di vita penitenziaria”, è dedicato alle modifiche al regime intramurario: come per la materia dell’assistenza sanitaria, anche in relazione a questo profilo, il testo del decreto si configura come una versione drasticamente ridotta e in parte anche modificata del testo elaborato in sede di prima attuazione della legge delega (in questo caso dalla commissione Giostra).

Cominciando dalle modifiche apportate all’art. 1 o.p., deve certamente apprezzarsi l’introduzione nella norma della disposizione secondo cui “ad ogni persona privata della libertà sono garantiti i diritti fondamentali”: solo il riconoscimento del fatto che la privazione della libertà personale non priva la persona dei suoi diritti può garantire un trattamento conforme al senso di umanità ed un percorso di esecuzione della pena teso alla rieducazione del condannato. Anche l’espressa menzione, nel tessuto dell’art. 1, del divieto, di fonte costituzionale, di ogni violenza fisica e morale nei confronti delle persone private della libertà ha un importante significato di principio, poiché ribadisce il dovere dello Stato di tutelare l’incolumità e la dignità di coloro che, in quanto privati della libertà personale, sono affidati alla sua custodia.

Il divieto di discriminazione di cui all’art. 1 si arricchisce poi di nuovi contenuti attraverso l’inserimento, tra i fattori che non possono costituire causa di indebite differenziazioni trattamentali, del sesso, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale.

Non è stata invece riprodotta nel nuovo testo dell’art. 1 la previsione del progetto Giostra secondo cui “la sorveglianza delle persone detenute dovrà avvenire con modalità tali da consentire ai detenuti e agli internati di trascorrere la maggior parte della giornata fuori dalle aree destinate al pernottamento anche al fine di favorire i rapporti interpersonali e l’osservazione del comportamento e della personalità”. La disposizione faceva riferimento alla c.d. sorveglianza dinamica, ossia, come noto, ad un modello di vigilanza che presuppone che il perimetro della detenzione non sia quello della cella, riservata al solo pernottamento, ma quello della sezione e che si caratterizza per la sostituzione del controllo ‘fisico’ sul detenuto da parte della polizia penitenziaria con un’attività di controllo basata sull’osservazione e sulla conoscenza della persona, in una logica, da un lato, di valorizzazione del ruolo della polizia penitenziaria e, dall’altro, di responsabilizzazione del detenuto. La mancata consacrazione nella legge di tale modello di vigilanza – la cui valorizzazione è auspicata anche dalla Corte di Strasburgo come strumento per garantire l’adeguamento del nostro sistema penitenziario agli standard richiesti dall’art. 3 Cedu – ne rimette la sopravvivenza nelle mani dell’amministrazione penitenziaria (come si ricorderà, infatti, tale modello è stato introdotto nell’ordinamento attraverso circolari del Dap, a partire da quella n. 3594 del 2011, in questa Rivista). Con riferimento alla possibilità del detenuto di trascorrere del tempo fuori della cella, deve peraltro segnalarsi la modifica dell’art. 10 o.p., che innalza da due a quattro il numero minimo di ore che possono essere trascorse all’aperto, salva la possibilità di riduzione ad un minimo di due (era una, nel testo originale dell’art. 10) per giustificati motivi (non più “eccezionali”, come invece era nel testo originale e nel progetto Giostra) da parte del direttore dell’istituto, che è tenuto a darne comunicazione al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e al magistrato di sorveglianza.

 

7. Seguono poi una serie di modifiche ad altre disposizioni dell’ordinamento penitenziario che appaiono apprezzabili nella misura in cui siano destinate a trovare realmente attuazione e non rimangano invece mere affermazioni di principio. Si pensi alla modifica dell’art. 13 o.p. che, stabilendo l’opportunità di avviare, nel corso del trattamento, “una riflessione sul fatto criminoso commesso, sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte, in particolare per la vittima, nonché sulle possibili azioni di riparazione”, apre chiaramente la strada alle attività della giustizia riparativa.

In varie disposizioni viene poi ribadito il principio, già presente nella legge di ordinamento penitenziario, secondo cui nell’assegnazione e nel trasferimento dei detenuti debba essere tenuta in considerazione la vicinanza del detenuto al luogo di residenza, sia in fase di assegnazione dell’istituto, sia in relazione ad eventuali trasferimenti (art. 14 o.p. e art. 42 o.p.), in quanto evidentemente funzionale ad evitare la rottura dei legami familiari e sociali. A proposito dei trasferimenti, vale la pena evidenziare la previsione introdotta nell’art. 42 o.p., che stabilisce il dovere dell’amministrazione penitenziaria di provvedere entro sessanta giorni sulle richieste di trasferimento dei detenuti: una disposizione che consentirà al detenuto di proporre reclamo ex art. 35 bis, nel caso non solo di rigetto, ma anche di silenzio sulla sua richiesta.  

Sempre in relazione ai rapporti del detenuto con l’esterno, va segnalata la riforma della disciplina dei colloqui di cui all’art. 18 o.p., ove viene esplicitato il principio secondo cui i detenuti hanno diritto al colloquio con il difensore sin dall’inizio della custodia cautelare (nei limiti di quanto previsto dall’art. 104 c.p.p.) o dell’esecuzione della pena (secondo quanto già stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 212 del 1997), con previsione di analoga facoltà anche per i garanti dei diritti dei detenuti. Non è stata invece introdotta la proposta di modifica dell’art. 40, contenuta nel progetto Giostra, che avrebbe consentito ai detenuti di avvalersi nei colloqui, fatte “salvo le cautele previste dal regolamento”, di strumenti di comunicazione a distanza “mediante programmi informatici di conversazione visiva, sonora e di messaggistica istantanea attraverso la rete internet”: un’occasione persa, poiché la ‘messa a regime’ di sistemi di comunicazione a distanza avrebbe potuto realmente contribuire ad attenuare i devastanti effetti di desocializzazione legati all’esperienza detentiva.

Altre disposizioni sono dedicate alla tutela delle categorie più vulnerabili della popolazione detenuta: le donne e gli stranieri. Con riferimento alle donne, nell’art. 14 o.p. viene previsto espressamente che le sezioni femminili non siano di dimensioni eccessivamente ridotte, così da non compromettere (come spesso avviene nella prassi) le attività trattamentali; nell’art. 19 o.p. si afferma poi il principio della parità di accesso delle donne alla formazione culturale e professionale; nell’art. 31 o.p., infine, si prevede che negli istituti penitenziari che ospitano sezioni femminili le commissioni che prevedono la rappresentanza dei detenuti (si pensi a quelle per il controllo del cibo, la gestione della biblioteca, il lavoro o l’organizzazione di attività culturali e ricreative) debbano includere anche una donna.

Quanto agli stranieri, da segnalare la modifica all’art. 19 o.p., ove si sancisce che “speciale attenzione è dedicata all’integrazione dei detenuti stranieri anche attraverso l’insegnamento della lingua italiana e la conoscenza dei princìpi costituzionali” e all’art. 27 o.p. che stabilisce l’inserimento di un mediatore culturale nella commissione che organizza le attività culturali, ricreative e sportive.

Sempre nell’art. 19 o.p., al fine di potenziare l’istruzione universitaria e quella tecnica superiore, si prevede espressamente la possibilità di stipulare apposite convenzioni con le Università (nella prassi sono già più di venti quelle esistenti) e con gli istituti che gestiscono la formazione tecnica superiore.

Il progetto Giostra interveniva poi su due istituti molto delicati, per la loro incidenza sui diritti fondamentali della persona: l’isolamento ex art. 33 o.p. e le perquisizioni ex art. 34 o.p..

In relazione all’isolamento il decreto 123 accoglie quasi in toto le proposte della Commissione Giostra, prevedendo che le modalità dell’esecuzione di tale misure debbano essere definite nel regolamento, che non sono ammesse limitazioni alle “normali condizioni di vita”, dovendosi considerare legittime solo le restrizioni funzionali alle ragioni che lo hanno determinato e che, con riferimento all’isolamento c.d. giudiziario, il provvedimento giudiziale che lo dispone debba indicarne durata e ragioni.

Non è stata invece modificata la disciplina delle perquisizioni, nonostante che l’assoluta genericità della disciplina contenuta nell’art. 34 o.p. attribuisca un’enorme discrezionalità all’amministrazione penitenizaria nell'individuazione dei limiti e delle modalità di tale strumento, che nella prassi spesso si presta a gravi abusi. Al fine di garantirne un’esecuzione rispettosa della dignità della persona, le proposte di modifica dell’art. 34 elaborate dal progetto Giostra andavano nel senso di circoscriverne quanto più possibile l’utilizzo, di garantire che l’esplorazione delle parti intime venisse effettuata da un sanitario e di imporre in ogni caso la verbalizzazione delle attività svolte.

Un cenno merita poi la modifica apportata all’art. 40 co. 2 che, in esecuzione di quanto previsto nella legge delega, ha escluso il sanitario dal consiglio di disciplina competente a deliberare le sanzioni disciplinari, inserendovi al suo posto un professionista esperto nominato ai sensi dell’art. 80 o.p. e la modifica apportata all’art. 43 che, nell’ottica di agevolare il processo di reinserimento sociale dispone che i detenuti e gli internati debbano essere dimessi “con documenti di identità validi”.

 

8. Esaurito l’esame del d. lgs. 123, si segnalano ora le principali novità contenute nel d. lgs. 124 che è strutturato in due capi: un primo contenente “Disposizioni in tema di vita penitenziaria” – dunque identico, nella denominazione, a quello contenuto nel d. lgs. 123 – ed un secondo contenente “Disposizioni in tema di lavoro penitenziario”. Nella Relazione illustrativa allo schema di decreto inviato dal Governo alle Camere si afferma che “per le parti relative alla vita e al lavoro penitenziario, si è utilizzato il contributo della Commissione specificamente presieduta dal prof. Glauco Giostra, facendo tesoro delle indicazioni conclusive degli Stati generali sull’esecuzione penale, avviati dal Ministro della giustizia il 19 maggio 2015”. Come vedremo in realtà, anche questo decreto si differenzia dal testo della Commissione Giostra per alcuni ‘tagli’ molto significativi.

 

9. Il capo I contiene alcune modifiche agli artt. 5, 6 e 8 o.p. relative ad interventi sulle strutture penitenziarie: si stabilisce che gli edifici penitenziari debbano essere dotati di spazi per lo svolgimento delle attività lavorative e formative (art. 5); che le aree residenziali siano strutturate in modo da consentire “una gestione cooperativa della vita quotidiana nella sfera domestica” (art. 6); che i servizi igienici siano collocati in spazi riservati (art. 8). Intervento questo ultimo da considerarsi davvero urgente, posto che – secondo dati diffusi dal Dap – ancora oggi sono più di mille i detenuti ristretti in celle con servizi igienici ‘a vista’: stride con tale urgenza la previsione, contenuta nell’art. 3 del d. lgs. in esame, secondo cui le modifiche previste dall’art. 8 co. 2 (così come quelle previste dall’art. 6) avranno efficacia a decorrere dal 21 dicembre 2021.

Sempre in relazione ad interventi di edilizia penitenziaria, occorre infine segnalare il mancato accoglimento della proposta di modifica dell’art. 26 o.p. elaborata nel progetto Giostra, che prevedeva tra l’altro, in attuazione del principio della libertà religiosa ex art. 8 Cost., la predisposizione di “locali idonei per la celebrazione dei riti e lo svolgimento delle pratiche di culto”.

 

10. Nel capo II sono contenute le modifiche alle norme sul lavoro penitenziario. Gli obiettivi della riforma – che su questo profilo ha accolto molte delle proposte dalla Commissione Giostra – sono quelli di potenziare il lavoro, che come noto soffre nella prassi di una gravissima carenza di effettività, per le sue enormi potenzialità come strumento per il processo risocializzativo e come mezzo indispensabile per assicurare e promuovere la dignità della persona.

Norma centrale in questa materia è l’art. 20 o.p., che viene completamente riscritta. In essa si prevede espressamente che debbano essere ammessi a fruire al lavoro non solo i soggetti ospitati negli istituti penitenziari, ma anche coloro che si trovano nelle altre strutture ove si eseguono misure privative della libertà (come ad esempio le REMS). Si elimina poi la previsione dell’obbligatorietà del lavoro penitenziario, certamente in contrasto con il principio del libero consenso al trattamento.

Altre modifiche riguardano la composizione e il funzionamento della commissione deputata alla formazione delle graduatorie di avvio al lavoro; la valorizzazione della produzione in autoconsumo; la previsione secondo cui gli introiti delle lavorazioni penitenziarie, destinati al bilancio dello Stato, siano accantonati per finanziare lo sviluppo della formazione professionale e del lavoro dei detenuti. Ancora si interviene sulla disciplina della remunerazione dei detenuti e degli internati di cui all’art. 22 o.p., stabilendone la quantificazione in una misura fissa, pari a due terzi del trattamento economico dei contratti collettivi: una disposizione che si spiega con la necessità di semplificare la procedura di determinazione del quantum della retribuzione, che oggi genera, nella prassi, ritardi intollerabili. Da segnalare poi la prevista istituzione negli istituti penitenziari, a norma del nuovo art. 25 ter o.p., di un servizio di assistenza ai detenuti e agli internati per il conseguimento delle prestazioni assistenziali e previdenziali.

 

11. Importanti novità riguardano, infine, il lavoro di pubblica utilità da parte di detenuti ed internati, che trova ora una più ampia e dettagliata disciplina nel nuovo art. 20 ter o.p. La considerazione, da un lato, che il lavoro penitenziario “soffre di un cronico problema di effettività” e la convinzione, dall’altro, che l’occupazione di detenuti ed internati in attività lavorative di utilità sociale abbia un’alta valenza risocializzante aveva indotto la Commissione Giostra a valorizzare nel suo progetto tale tipo di attività.

Il d. lgs. 124 riprende, ma come vedremo solo in parte, le proposte della Commissione. Tra le novità di rilievo, occorre innanzitutto evidenziare che il lavoro di pubblica utilità – che era stato introdotto con il d.l. 78/2013 nel co. 4 ter dell’art. 21 o.p., come modalità di lavoro all’esterno – è configurato come un elemento del trattamento rieducativo (tanto che la “partecipazione a progetti di pubblica utilità” compare ora tra gli elementi indicati nell’art. 15 o.p.) e viene quindi ‘sganciato’ dal lavoro all’esterno, con un conseguente ampliamento del suo ambito di operatività: ora infatti il lavoro di pubblica utilità potrà svolgersi anche all’interno degli istituti con la partecipazione di detenuti e internati che non hanno i requisiti per essere ammessi al lavoro all’esterno ex art. 21. Per l’ammissione al lavoro di pubblica utilità all’esterno si prevede, tramite il richiamo all’art. 21 co. 4, l’approvazione del magistrato di sorveglianza.

Sono poi previste alcune limitazioni all’accesso alla partecipazione a tali programmi: da un lato, come già previsto nel progetto Giostra, ne sono esclusi detenuti ed internati per reati di cui all’art. 416 bis c.p. e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste; dall’altro, innovando rispetto al progetto Giostra, si stabilisce che per i detenuti e gli internati per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1, ter e 1 quater dell’art. 4 bis diversi dall’art. 416 bis c.p. l’ammissione al lavoro di pubblica utilità all’esterno deve essere valutata dal magistrato di sorveglianza “tenendo prioritariamente conto delle esigenze di prevenire il pericolo di commissione di altri reati, della natura del reato commesso, della condotta tenuta, nonché del significativo rapporto tra la pena espiata e la pena residua”. Tale ultima limitazione, nel rimarcare la differenziazione del trattamento per i detenuti e gli internati del ‘doppio binario’, ci sembra tuttavia attribuire un’ampia discrezionalità al magistrato di sorveglianza nella valutazione circa l’ammissione al programma.

La previsione di una specifica disciplina in ordine alle condizioni di accesso all’istituto porta a concludere per la totale autonomia del lavoro di pubblica utilità svolto all'esterno dell’istituto penitenziario dal lavoro all’esterno in senso proprio di cui all’art. 21 o.p., con la conseguenza che quelli indicati nell’art. 20 ter devono considerarsi come gli unici limiti applicabili, con conseguente non applicabilità al lavoro di pubblica utilità delle altre limitazioni previste per il lavoro all’esterno nell’art. 21 o in altre norme che ad esso si richiamino (si pensi ad esempio ai divieti contenuti nell’art. 58 quater o.p.).

Il lavoro di pubblica utilità penitenziario – che sino ad oggi non ha trovato soddisfacente attuazione nella prassi – trovava un reale incentivo, nel progetto Giostra, nella previsione di un aumento dello sconto di pena riconosciuto a titolo di liberazione anticipata ex art. 54 o.p. (da quantificarsi nella misura massima di 15 giorni al semestre) per coloro che avessero ‘proficuamente’ partecipato a tali progetti. La previsione non è stata però inserita nel decreto 124, rendendo così vano il tentativo di conferire effettività al lavoro di pubblica utilità per detenuti ed internati.