ISSN 2039-1676


20 giugno 2017 |

Riforma Orlando: la delega in materia di ordinamento penitenziario

Contributo pubblicato nel Fascicolo 6/2017

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1. Il provvedimento definitivamente approvato il 14 giugno dalla Camera, e intitolato “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, contiene un’ampia delega al Governo per la riforma dell’ordinamento penitenziario.

Il co. 83 (dell’unico articolo di cui è costituito il disegno di legge) specifica i tempi per l’attuazione della delega, che dovrà essere esercitata entro un anno, mentre il co. 85 contiene i criteri e i principi direttivi per la riforma.

Rinviando ad un successivo commento, ci limitiamo in questa sede ad indicare i principali profili sui quali il Governo è chiamato a legiferare, sulla base di criteri direttivi che appaiono peraltro estremamente generici.

 

2. Un primo obiettivo che traspare dalla lettura dei criteri direttivi è certamente quello dell’ampliamento dell’ambito di operatività delle misure alternative alla detenzione, anche attraverso la semplificazione delle procedure di accesso. Si vedano in questo senso i criteri di cui al co. 85, lett. a-d, che riportiamo integralmente:

a) semplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza, fatta eccezione per quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione;

b) revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti sogget- tivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale;

c) revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni e che il procedimento di sorveglianza garantisca il diritto alla presenza dell’interessato e la pubblicità dell’udienza;

d) previsione di una necessaria osservazione scientifica della personalità da condurre in libertà, stabilendone tempi, modalità e soggetti chiamati a intervenire; integrazione delle previsioni sugli interventi degli uffici dell’esecuzione penale esterna; previsione di misure per rendere più efficace il sistema dei controlli, anche mediante il coinvolgimento della polizia penitenziaria.     

Da segnalare l’attenzione al profilo del contenuto e del controllo delle misure alternative: un presupposto necessario per conservarne la credibilità e la reale funzionalizzazione ad obiettivi di prevenzione. Rimane peraltro il dubbio di come un tale obiettivo possa essere realizzato, nei fatti, in presenza di una clausola di invarianza finanziaria (co. 92), che preclude la possibilità di investire le risorse necessarie per dare effettività al sistema.   

 

3. Sempre nel senso di un utilizzo della pena detentiva come extrema ratio, si prevede il superamento degli automatismi che precludono o limitano l’accesso alle forme extra-murarie di esecuzione della pena detentiva a categorie di detenuti che si presumono pericolosi, anche in relazione ai casi del c.d. ergastolo ostativo. Si veda in questo senso, il co. 85 lett. e

e) eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono ovvero ritardano, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l’individualizzazione del trattamento rieducativo e la differenziazione dei percorsi penitenziari in relazione alla tipologia dei reati commessi e alle caratteristiche personali del condannato, nonché revisione della disciplina di preclusione dei benefìci penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità specificatamente individuati e comunque per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale;

Già da una prima lettura, risulta però evidente che l’attuazione di tali criteri potrà consentire un superamento solo parziale degli automatismi preclusivi. Ciò, in primo luogo, perché la legge delega circoscrive gli interventi del legislatore delegato alle norme dell’ordinamento penitenziario, mentre la completa eliminazione degli automatismi imporrebbe anche la modifica delle norme del codice penale che contengono presunzioni assolute di pericolosità (si pensi, per fare solo un esempio, alla disciplina differenziata relativa al bilanciamento delle circostanze ex art. 69 c.p. in relazione ai recidivi reiterati). In secondo luogo, perché il divieto dell’utilizzo di automatismi fondati su presunzioni assolute di pericolosità non è bandito nei casi “di eccezionali gravità e pericolosità” e “comunque” per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo: dunque proprio nei casi di operatività dell’art. 4 bis o.p., la cui sopravvivenza è dunque ancora assicurata.

 

4. Un secondo obiettivo perseguito dal legislatore è una profonda riforma dell’esecuzione intramuraria della pena detentiva. A questo fine, il provvedimento contiene un lungo elenco di criteri, che paiono più affermazioni di principio che non vere e proprie direttive, relativi all’incremento delle opportunità di lavoro (lett. g), alla valorizzazione del volontariato (lett. h), al mantenimento delle relazioni familiari anche attraverso l’utilizzo di collegamenti audiovisivi (lett. i), al riordino della medicina penitenziaria (lett. l. m), al riconoscimento del diritto all’affettività (lett. n), all’agevolazione dell’integrazione dei detenuti stranieri (lett. o), alla tutela delle donne e, nello specifico, delle detenute madri (lett. s,t), al rafforzamento della libertà di culto (lett. v).

Tra questi merita un’attenzione particolare quello di cui alla lett. f, che prevede la “previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative”.

Tra i vari criteri direttivi, alla lett. r, si stabilisce la “previsione di norme volte al rispetto della dignità umana attraverso la responsabilizzazione dei detenuti, la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna, la sorveglianza dinamica”: un principio generale – trasversale ai tutti i criteri direttivi – con cui si dà espressione all’idea, affatto scontata nella realtà, che non può esservi alcuna ‘tensione’ verso la rieducazione in un sistema penitenziario che non sia animato dall’obiettivo della tutela della dignità umana e dei diritti fondamentali della persona.

Occorre peraltro osservare come strida con un’affermazione di così ampio respiro – e più in generale con una riforma che mira – come si è visto – a dare maggiore tutela a diritti fondamentali della persona detenuta – l’esclusione aprioristica da tutti i criteri di legge delega (quindi, per fare un esempio, anche da quelli che riguardano il riordino della medicina penitenziaria) dei detenuti sottoposti al regime detentivo speciale: secondo quanto risulta dall’incipit del co. 85, infatti, gli interventi sull’ordinamento penitenziario dovranno operarsi “fermo restando quanto previsto dall’art. 41 bis”.

 

5. Una menzione a parte merita poi il criterio di cui alla lett. p, concernente “l’adeguamento delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di età”, sulla base di una serie di criteri che vengono specificati. Un adeguamento a lungo atteso, che dovrebbe porre fine all’applicazione quarantennale dell’art. 79 o.p., secondo cui “le norme della presente legge di applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto con apposita legge”.

 

6. Suscita invece perplessità il criterio di cui alla lett. q, che stabilisce “l’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento peniten- ziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell’inte- grità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato”.

Oltre alla estrema vaghezza dell’enunciato, che rende assai problematica l’individuazione delle materie che dovrebbero essere trasferite nel codice penale, risulta incomprensibile la ragione della sua collocazione tra i criteri relativi alle modifiche alla legge di ordinamento penitenziario.

 

7. Nello stesso senso, suscita perplessità la collocazione del criterio di cui alla lett. u), dedicato alla riforma del sistema delle pene accessorie, materia che viene delegata al Governo senza alcun criterio direttivo, se non quello – condivisibile ma estremamente generico – secondo cui la revisione deve essere “improntata al principio della rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato ed esclusione di una loro durata superiore alla durata della pena principale”.