ISSN 2039-1676


13 marzo 2018 |

A proposito di "leggi svuotacarceri"

Contributo pubblicato nel Fascicolo 3/2018

1. La locuzione “legge svuotacarceri” è entrata nel lessico dei penalisti, mi sembra, nel 2010, in relazione alla legge che introduceva nel nostro ordinamento la misura alternativa dell’“esecuzione della pena detentiva nel domicilio”: una “variazione sul tema della detenzione domiciliare”[1], destinata a condannati – non esclusi i recidivi reiterati – che devono scontare una pena non superiore ad un anno. Così il legislatore dava una prima risposta a una condanna dell’Italia pronunciata nel 2009 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione del divieto di trattamenti inumani ex art. 3 CEDU[2]: l’addebito che veniva mosso al nostro Stato nasceva dal sovraffollamento carcerario, che nel 2010 era dell’ordine del 150%. Un problema che si sarebbe ampiamente ripresentato anche dopo l’adozione della legge n. 199/2010 e che avrebbe portato ad un’ulteriore condanna dell’Italia nel 2013[3]. Ma tutto ciò è ampiamente noto, come è noto il percorso attraverso il quale il sovraffollamento carcerario è stato temporaneamente debellato negli anni successivi, fino alla chiusura del ‘fascicolo Italia’ disposto dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2016[4].

La locuzione “svuotacarceri”, pur eccessiva e inelegante, non mi sembrava originariamente carica di connotazioni negative: ridurre la popolazione carceraria entro limiti fisiologici, coerenti con la disponibilità di posti negli istituti penitenziari, era un elementare strumento per comporre (o rendere meno stridente) il contrasto tra le condizioni di vita dei detenuti e il principio di umanità della pena. Questo obiettivo veniva perseguito attraverso la rinuncia ad eseguire in carcere pene, anche residue, di ammontare non elevato: una rinuncia non automatica, ma rimessa al vaglio, in concreto, della magistratura di sorveglianza; né si trattava di una rinuncia a punire, bensì della scelta di eseguire la pena in forma diversa, fuori dalle mura del carcere.

Oggi la parola “svuotacarceri”, entrata fragorosamente nel linguaggio della politica, ha assunto invece un significato marcatamente spregiativo: quella di “cieco ‘sversamento’ nella società del pericoloso contenuto dei penitenziari”[5]; niente a che fare, dunque, con l’idea di “provvedimenti che hanno cercato” (o cercano) “di evitare la permanenza o l’ingresso in carcere di chi non avrebbe dovuto” (o non dovrebbe), “in base alla nostra Costituzione e al buon senso, né restarvi, né entrarvi”[6].   

 

2.  Nella campagna elettorale appena conclusa – accanto, in posizione secondaria, ad altri temi di forte impatto sull’opinione pubblica (dalle imposte all’immigrazione) – sono entrati anche temi di politica del diritto penale[7]: tra le parole-chiave, “sicurezza”, “certezza della pena”, nonché, appunto, “svuotacarceri”.  

Sul tema della sicurezza, i programmi proposti dai partiti agli elettori muovevano, all’unisono, da una nozione di ‘sicurezza’ tanto riduttiva, quanto radicata nel subconscio collettivo: sicurezza intesa come garanzia dell’incolumità personale[8] (nonché, aggiungo, dei beni patrimoniali individuali). Muovendo da tale premessa, alcuni partiti politici (M5S, Lega) promettevano ai cittadini “più sicurezza grazie alla costruzione di nuove carceri”. In queste proposte, affiorava dunque, ancora una volta, l’equazione tra carcere e sicurezza pubblica, un’equazione mai seriamente messa in crisi, nella percezione dei più, dai portati delle scienze penalistiche[9]. Nonostante i fallimenti del passato[10], venivano anche nuovamente evocati “Piani carcere”, volti – nella visione dei proponenti – a segnare rilevanti progressi nella lotta alla criminalità. Intesa la sicurezza nell’accezione sopra accennata, se ne traeva, quale ulteriore corollario, una proposta in tema di legittima difesa contenuta nel programma del centro-destra, all’interno di un punto intitolato “Più sicurezza per tutti”: “Introduzione del principio che la difesa è sempre legittima[11]. “Sempre”: dunque, anche quando la difesa non sia necessaria, né proporzionata, né esista il pericolo attuale di un’offesa ingiusta.  

Quanto alla certezza della pena, l’argomento –  a sua volta strettamente correlato con le premesse or ora illustrate – veniva non di rado brandito in campagna elettorale come una mazza ferrata, con affermazioni del tipo “potenzieremo le carceri e ne costruiremo di nuove e faremo pagare chi sbaglia, garantendo certezza della pena[12]. A questo proposito, osservo che la formula “certezza della pena” è stata snaturata nel linguaggio della politica: un esempio paradigmatico di “manomissione delle parole”[13]. Nell’elaborazione penalistica, da Beccaria alla dottrina contemporanea, certezza della pena è sinonimo di probabilità che l’autore di un reato sia scoperto e punito: in questo senso la certezza della pena, e soprattutto la certezza percepita dal destinatario, è condizione primaria per assicurare un effetto di prevenzione generale, accanto alla prontezza e – solo ultima, relativa a specifiche tipologie di reati – alla severità della punizione[14]. Così intesa, la certezza della pena è un obiettivo al quale devono tendere tutte le istanze della giustizia penale. Niente a che vedere, però, con la certezza della pena invocata da alcuni esponenti della politica per asseverare l’esigenza di pene immodificabili in itinere, ovvero la messa al bando di misure di comunità e di ogni incentivo volto a favorire la partecipazione del condannato a percorsi di rieducazione. Emblematica un’affermazione del segretario politico della Lega Nord: “Si parla di pene alternative… Noi faremo l'esatto opposto. Chi deve fare 20 anni di galera ci resta 20 anni[15]. Unico è il punto di contatto tra queste due diverse accezioni di “certezza della pena”: riguarda l’esigenza che le sanzioni di comunità non si riducano a nulla, a simulacri di pena privi di qualsiasi contenuto, un rischio non solo teorico[16], che peraltro la riforma penitenziaria Orlando ha avuto ben presente[17].

Vengo dunque alla riforma penitenziaria Orlando[18], prefigurata in uno schema di decreto legislativo che il Governo, dopo aver avuto parere favorevole da parte delle commissioni parlamentari, ha rinunciato a varare prima delle elezioni: una riforma ormai probabilmente sepolta tra le macerie prodotte dai risultati elettorali in quella che è stata la maggioranza parlamentare di centro-sinistra.   

Il tema della riforma penitenziaria era variamente declinato nel programma dei partiti: da un lato, si parlava di una “piena attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario” e dell’impegno a prevedere “percorsi di esecuzione della pena individualizzati e il ricorso alle misure alternative alla detenzione, attraverso formazione e lavoro” (Partito Democratico); in una logica analoga, si proponeva “una riforma dell’ordinamento penitenziario per garantire il rispetto della dignità della persona, anche quando detenuta” e si chiedeva di “recuperare la funzione rieducativa della pena, rafforzando le misure alternative” (Liberi e Uguali); d’altro lato, si prospettava una “revisione del progetto di modifica dell’ordinamento penitenziario ancora non approvato”, tra l’altro con “l’abolizione della cosiddetta ‘sorveglianza dinamica’ in carcere” (Lega Nord). Quale fosse il tenore della “revisione” auspicata dalla Lega Nord, si chiariva in una dichiarazione del segretario politico di quel partito, il quale definiva “una follia” la riforma in discussione in quel momento – era lo scorso 22 febbraio – nel Consiglio dei Ministri e invocava, come di rito, “certezza della pena”, “nuove carceri” e “maggior sicurezza[19]. Sulla stampa quotidiana vicina ai partiti più critici nei confronti della riforma Orlando, un chiarimento ulteriore veniva da diversi articoli nei cui titoli campeggiava la parola “svuotacarceri”: “Giustizia, Gomez: Svuota-carceri e altre norme fatte apposta per salvare dalla galera i colletti bianchi[20]; “Vittorio Feltri: La riforma svuota-carceri è come il ministro Orlando, piace a comunisti e piccoli delinquenti[21].

Svuotacarceri, dunque, come la più infamante delle accuse mosse a quella che ormai sembra aver assunto i connotati di una mancata riforma.

 

3. Che la riforma penitenziaria Orlando sia (o fosse) una ‘riforma svuotacarceri’ è innanzitutto falso, o quanto meno è un’affermazione che dà conto soltanto di una componente secondaria della riforma. In questa sede, mi limito ad un rilievo in materia di misure alternative alla detenzione, riferito dunque al capo IV dello schema di decreto legislativo. È vero che tra i criteri direttivi della delega figurava la “revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse” (art. 1 co. 85, lett. c, l. 23 giugno 2017, n. 103); tuttavia gli interventi di riforma prefigurati nello schema di decreto, al di là di qualche ampliamento dell’ambito applicativo delle misure, soprattutto ne arricchivano e precisavano i contenuti, secondo una logica in parte ispirata alle istanze della giustizia riparativa e alla valorizzazione di attività di volontariato. Altri interventi miravano poi ad un doveroso coordinamento della disciplina vigente. Emblematico l’intervento teso ad allineare la disciplina della sospensione dell’esecuzione delle pene detentive ex art. 656 co. 5 c.p.p. con i limiti all’applicabilità del c.d. affidamento in prova allargato di cui all’art. 47 co. 3 bis ord. penit.[22]: un’esigenza tanto forte da portare la Corte costituzionale – con una sentenza depositata pochi giorni fa – a dichiarare l’illegittimità dell’art. 656 co. 5 c.p.p. per violazione dell’art. 3 Cost.[23]. Altri interventi, ancora, miravano a dare attuazione al principio di umanità della pena: per es., estendendo la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare ex art. 47 ter co. 1 ord. penit. alla madre (o al padre) di figlio gravemente disabile, senza limiti di età e senza una preclusione assoluta per i condannati ex art. 4 bis ord. penit. (art. 15 d.lgs.). Comunque si valuti tale disposizione, è certo che non prospettava l’immissione nelle vie delle nostre città di orde di efferati criminali, il cui accesso alla detenzione domiciliare doveva comunque passare al vaglio della magistratura di sorveglianza[24].  

Falso, dunque, che si trattasse di un provvedimento svuotacarceri, così come falso – clamorosamente falso – che si trattasse di un generoso regalo rivolto a mafiosi e terroristi sottoposti al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis ord. penit.[25].

 

4. Tuttavia, proprio gli attacchi alla riforma penitenziaria Orlando portati nell’assunto che si trattasse di un provvedimento svuotacarceri sollevano un interrogativo, che qualcuno riterrà provocatorio: sarebbe davvero una “follia” un nuovo intervento del legislatore che oggi si proponesse di ridimensionare la popolazione penitenziaria, dopo i reiterati tentativi compiuti in questa direzione negli anni scorsi?

La risposta va cercata, evidentemente, in primo luogo, nei dati statistici forniti dal Ministero della Giustizia.

Al 31 dicembre 2017 nelle carceri italiane erano presenti 57.608 detenuti, dei quali 37.451 condannati definitivi; il numero degli imputati era prossimo a 20.000 (19.815), quello degli internati superava di poco le 300 unità (307).

La quota degli imputati era dunque pari al 34,4%: una quota decisamente elevata, ancorché in calo (nel 2010 gli imputati rappresentavano il 43,4% del totale), superiore tra l’altro alla mediana europea, che, secondo l’ultima rilevazione del Consiglio d’Europa, si attestava al 26,9[26].   

Quanto alla tipologia dei reati commessi, prevalevano i reati contro il patrimonio, i reati contro la persona e i reati relativi alla droga.

Gli stranieri in carcere, a fine dicembre 2017, erano 19.745, per una quota pari al 34,3% del totale: anche in questo caso si registra un tendenziale, modesto calo (nel 2011, ad esempio, gli stranieri rappresentavano il 36% della popolazione carceraria), che peraltro si è arrestato nell’ultimo anno. Per nazionalità, prevalgono — nell’ordine — marocchini, albanesi, romeni, tunisini e nigeriani, che, sommati fra loro, costituiscono il 61% degli stranieri in carcere.

Un’altra categoria che alimenta largamente il sistema penitenziario italiano è tuttora quella dei tossicodipendenti: al 31 dicembre 2016, secondo quanto riferisce il Governo nella Relazione annuale al Parlamento 2017 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, i detenuti con problemi correlati alla droga sfioravano il 26% del totale.

Nel 2017 i suicidi in carcere – drammatico indicatore delle condizioni legate allo stato di detenzione – sono stati 48: erano stati 42 nel 2013, erano scesi a 39 nel 2015 e nel 2016, per poi subire un brusco incremento lo scorso anno. Nel 2017 il tasso di suicidi in carcere è stato di 8,4 su 100.000 detenuti, il valore più elevato degli ultimi 5 anni: ben al di sopra della media europea – 7,2 su 100.000 detenuti – rilevata nel rapporto Space I – 2015[27].

Quanto alla disponibilità di posti-carcere, la capienza regolamentare degli istituti —calcolata in ragione di 9 mq. per persona per le celle individuali, aumentati di 5 mq. per detenuto in caso di celle a più posti — era di 47.709 unità a fine 2013, 49.592 a fine 2015, per raggiungere quota 50.499 a fine 2017.

Ciò significa che il tasso di sovraffollamento, che si era ridotto al 105,18% a fine 2015, è ora nuovamente risalito al 114%: e la crescita continua. Incombe, per ora da lontano, lo spettro del 151% raggiunto nel 2010. Si consideri, inoltre, che il dato medio europeo, relativo al 2015, era di 94 detenuti per 100 posti disponibili; peraltro, in Europa gli istituti penitenziari sovraffollati rappresentavano il 33,3%[28].

Follia, dunque, pensare ad una nuova legge svuotacarceri, se così la vogliamo chiamare, o follia, piuttosto, lasciare che la tendenza in atto si consolidi per gli anni a venire? Dobbiamo restare in attesa di una nuova condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo? O forse qualcuno – complice l’aria frizzante del dopo elezioni – pensa che l’Italia possa prendere commiato non solo dalla moneta unica europea, e magari dall’Unione Europea, ma anche dal Consiglio d’Europa e liquidare come ciarpame i diritti dell’uomo?

 


[1] Così S. Turchetti, Legge svuotacarceri e esecuzione della pena presso il domicilio: ancora una variazione sul tema della detenzione domiciliare? Considerazioni a margine della l. 26 novembre 2010, n. 199, in questa Rivista, 14 dicembre 2010.

[2] Corte Edu, sez. II, 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, n. 22635/03. A commento, v. per tutti L. Eusebi, Ripensare le modalità delle risposte ai reati traendo spunto da C. eur. dir. uomo 19 giugno 2009, Sulejmanovic c. Italia, in Cass. pen., 2009, p. 4938 ss. Sulla risposta delle istituzioni italiane alla sentenza Sulejmanovic, cfr. A. Della Bella, Emergenza carceri e sistema penale, 2014, p. 3 ss.

[3] Corte Edu, Sez. II, 8 gennaio 2013, Torreggiani e a. c. Italia, in questa Rivista, 9 gennaio 2013, con nota di F. Viganò, Sentenza pilota della Corte EDU sul sovraffollamento delle carceri italiane: il nostro Paese chiamato all’adozione di rimedi strutturali entro il termine di un anno. A commento della sentenza v. inoltre, fra molti, P. Corvi, Sovraffollamento carcerario e tutela dei diritti del detenuto: il ripristino della legalità, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2013, p. 1794 ss.; M. Dova, Torreggiani c. Italia: un barlume di speranza nella cronaca del collasso annunciato del sistema sanzionatorio, ivi, 2013, p. 948 ss.; M. Pelissero, La crisi del sistema sanzionatorio e la dignità negata: il silenzio della politica, i compiti della dottrina, in Dir. pen. proc., 2013, p. 261 ss.; G. Tamburino, La sentenza Torreggiani ed altri della Corte di Strasburgo, in Cass. pen., 2013, p. 11 ss.   

[4] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di dir. pen., pt. gen., VI ed., 2017, p. 641 ss. 

[5] Così G. Giostra, Questione carceraria, insicurezza penale e populismo penale, in Quest. Giust., 27 giugno 2014, p. 3.

[6] V. ancora G. Giostra, Questione carceraria, cit., ibidem.

[7] Per un quadro di sintesi, cfr. D. Aliprandi, Il carcere tra slogan populisti e partiti di sinistra divisi, in Il Dubbio, 27 febbraio 2018.

[8] Cfr. G. Giostra, Questione carceraria, cit., p. 3.

[9] Cfr. R. Saviano, Se la Costituzione finisce in carcere, in L’Espresso, 4 marzo 2018: “Come è possibile che quasi nessun politico si sia preso la briga di portare all'attenzione dei propri elettori i dati sulla recidiva? Come è possibile che gli italiani non sappiano che i detenuti che scontano l'intera pena in carcere tornano a delinquere nel 70 per cento dei casi e chi invece riesce ad avere accesso alle pene alternative al carcere e un contatto con la vita normale torna a delinquere solo nel 30 per cento dei casi? I dati sulla recidiva urlano vendetta e ci dicono che, a chi fino a oggi ha fatto campagna elettorale e non ha parlato di carcere, non interessa la sicurezza reale, ma solo quella percepita”. Nella letteratura penalistica, sullo scarto tra sicurezza reale e insicurezza percepita nella società italiana, sono pienamente attuali le osservazioni di L. Eusebi, Appunti minimi in tema di riforma del sistema sanzionatorio penale, in P. Pisa (a cura di), Verso una riforma del sistema sanzionatorio, Atti del convegno in ricordo di L. Fioravanti, 2008, p. 279 s.  

[10] A proposito del ‘piano carceri’ approvato dal Governo nel 2010, e che faceva seguito ad un altro ‘piano carceri’ del 2002, del tutto improduttivo di risultati, cfr. A. Della Bella, Emergenza carceri e sistema penale, cit., p. 4, nonché S. Turchetti, Legge svuotacarceri, cit., p. 5.

[11] Si tratta, con tutta evidenza, di un mero slogan, che mai potrebbe essere tradotto in un plausibile dettato normativo, utile solo a catturare consensi elettorali. A proposito di una proposta di legge, pure rivolta ad ampliare l’area applicativa della legittima difesa, approvata dalla Camera dei Deputati il 4 maggio 2017, primo firmatario l’on. Ermini, cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di dir. pen., cit., p. 299 s.   

[12] Cfr. Meloni e Salvini contro la riforma carceri: "Con questa legge meno delinquenti in galera", www.huffingtonpost.it, 22 febbraio 2018.

[13] “Le parole possono costituire la premessa e la sostanza di pratiche manipolatorie… Una manipolazione che investe tutti gli aspetti della vita associata… Palese o, più spesso, e più pericolosamente, occulta”. Così G. Carofiglio, La manomissione delle parole, 2010, p. 29 s.

[14] “Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l’infallibilità di esse... La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell’impunità; perché i mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre gli animi umani”: così C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, ed. di Haarlem 1766, a cura di F. Venturi, 1970, XXVII. “Quanto la pena sarà più pronta e più vicina al delitto commesso, ella sarà tanto più giusta e tanto più utile”: C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., XIX. Sui diversi fattori che incidono sull’efficacia generalpreventiva della pena, e sull’esigenza di distinguere in proposito per tipologie di reato, può vedersi E. Dolcini, La commisurazione della pena, La pena detentiva, 1979, p. 230 ss. 

[15] Cfr. Meloni e Salvini contro la riforma carceri, cit.

[16] Cfr. E. Dolcini, Le misure alternative oggi: alternative alla detenzione o alternative alla pena?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 857 ss.; Id., Pene detentive, pene pecuniarie, pene limitative della libertà personale: uno sguardo sulla prassi, ivi, 2006, p. 95 ss.; Id., La “questione penitenziaria”, nella prospettiva del penalista: un provvisorio bilancio, ivi, 2015, p. 1662.  

[17] Cfr. E. Dolcini, La riforma penitenziaria Orlando: cautamente, nella giusta direzione, in questa Rivista, fasc. 2/2018, p. 175 ss.

[18] Cfr. Riforma dell'ordinamento penitenziario: la proposta della Commissione Giostra, lo schema del decreto legislativo approvato dal governo e i pareri delle commissioni parlamentari, in questa Rivista, 9 febbraio 2018. Per una panoramica dei contenuti della riforma, e per una valutazione complessiva, cfr. E. Dolcini, La riforma penitenziaria Orlando: cautamente, nella giusta direzione, cit.

[19] Carceri: Salvini, sono della città di Beccaria ma riforma ordinamento è follia, Adnkronos, 22 febbraio 2018.

[20] Questo titolo è comparso su Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2017.

[21] Questo il titolo di un articolo pubblicato su Libero, 9 febbraio 2018.

[22] Cfr. L. Barontini, L’affidamento in prova al servizio sociale 'allargato' e mancato ‘allargamento’ del termine di sospensione dell'ordine di esecuzione. L'anomalia di un decreto "svuotacarceri" che impone la carcerazione, in questa Rivista, 5 febbraio 2016; A. Della Bella, Emergenza carceri e sistema penale, cit., p. 104 s.; G. Mentasti, Disallineamenti e allineamenti forzati: ultime novità in tema di sospensione dell’esecuzione della pena detentiva e affidamento in prova “allargato”, in questa Rivista, fasc. 10/2017, p. 321 ss.; M. Palma, L’affidamento in prova al servizio sociale: la “terra di mezzo” tra il nuovo art. 47 co. 3-bis, ord. penit. e il vecchio art. 656, comma 5, c.p.p., in Cass. pen., 2017, p. 2891 ss.    

[23] Corte cost. 6 aprile 2018 (dep. 2 marzo 2018), n. 41.

[24] Cfr. E. Dolcini, La riforma penitenziaria Orlando: cautamente, nella giusta direzione, cit., n. 4.

[25] Cfr. ancora E. Dolcini, La riforma penitenziaria Orlando: cautamente, nella giusta direzione, cit., nn. 3, 5 e 6.

[26] Il dato, relativo al 1° settembre 2015, è fornito dal Rapporto Space I-2015, diffuso dal Consiglio d’Europa il 14 marzo 2017 (clicca qui). Per un commento, cfr. G. Mentasti, Carcere e sanzioni non detentive in Europa: i Rapporti Space I e Space II 2015, in questa Rivista, 25 maggio 2017.

[27] Cfr. G. Mentasti, Carcere e sanzioni non detentive in Europa, cit.

[28] V. ancora G. Mentasti, Carcere e sanzioni non detentive in Europa, cit.