ISSN 2039-1676


30 giugno 2011 |

Sulla confisca di prevenzione ex art. 2 ter l. 575/'65 (nozione di "reimpiego" e necessario rispetto dell'art. 42 Cost.)

Cass. pen., sez. VI, 24.02.2011 (dep. 14.3.2011), n. 10219, Pres. Garribba, Rel. Lanza

Si segnala un’interessante sentenza della Suprema Corte che interpreta in chiave garantistica la disciplina dell’art. 2 ter l. 575/’65, richiedendo il corretto accertamento della confiscabilità dei beni e la necessità di stabilire i limiti di operatività dell'effetto ablativo nelle ipotesi di commistione di beni di origine lecita e di origine illecita, e cioè in cui il reimpiego del denaro proveniente da fonte sospetta di illiceità penale, avvenga mediante addizioni, accrescimenti, trasformazioni o miglioramenti di beni già nella disponibilità del soggetto medesimo, nel rispetto della garanzia costituzionale del diritto di proprietà. 
 
1. La sentenza si segnala all’attenzione del lettore per il rigore con cui si richiede l’accertamento dell’attualità della pericolosità ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione personale, non consentendo, in adesione alle indicazioni del Procuratore generale, un generico richiamo a precedenti condanne, ma pretendendo “il controllo concreto delle circostanze di fatto oggetto dei procedimenti penali già conclusi con sentenza di condanna nei confronti dei ricorrenti…. ai fini della valutazione dell’attualità della ritenuta pericolosità qualificata di costoro”; altrimenti si realizza un modo di procedere che «si pone in radicale contrasto con “la grammatica della prova” ».
 
2. Nel caso in questione si ammette, quindi, la possibilità di applicare le misure patrimoniali indipendentemente dalle personali in attuazione delle recenti modifiche alla disciplina delle misure di prevenzione (art. 2 bis, c. 6 bis) introdotte dal d.l. n. 92/’2008, come convertito nella l. n. 125/’08 (c.d. pacchetto sicurezza 2008), e con la successiva l. n. 94 del 15 luglio 2009[1] (disegno di legge n. 733-B recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, ribattezzato nei primi commenti “pacchetto-sicurezza-bis”).
 
3. In relazione alle misure patrimoniali si sottolinea, innanzitutto, la necessità di accertare la confiscabilità dei beni, e non solo la disponibilità in capo all’indiziato, mentre la decisione impugnata, come rilevato dal Procuratore generale, “si è, tuttavia, completamente sottratta a qualsivoglia, logicamente pregiudiziale, apprezzabile e seria esposizione delle ragioni per le quali tali beni dovrebbero intendersi, pur sempre, connotati da matrice illecita, in quanto sproporzionati ai redditi leciti dei prevenuti e del tutto ingiustificati quanto alla accumulazione di essi da parte dei M.”. Si precisa che tale esigenza argomentativa prescinde dalla questione della necessità o meno della correlazione temporale tra l’accertata pericolosità del prevenuto e l’acquisto dei beni (“posto che la soluzione di tale quesito non poteva comunque consentire, …di eludere del tutto la questione del carattere illecito dell’origine dei beni appresi”).
 
L’art. 2 ter l. 575/’65 richiede, ai fini, dell’applicazione della confisca, infatti, che l’accusa accerti il carattere sproporzionato dei singoli beni al momento dell’acquisto o che i beni “risultino di origine illecita”, quindi, perlomeno in base all’interpretazione più garantista, una prova indiziaria di tale origine illecita.
 
4. La sentenza si segnala, poi, in particolare perché contrasta con quell’orientamento della giurisprudenza di merito che ammette la confisca di tutto il patrimonio aziendale, laddove vi sia una commistione tra beni di origine lecita e beni di origine illecita (sia laddove sia di origine illecita il capitale, pur utilizzato lecitamente, sia laddove il capitale lecito originale sia utilizzando illecitamente). In accoglimento dell’orientamento più garantista del Procuratore generale, la Corte ritiene che «il provvedimento ablativo di prevenzione deve essere rispettoso del generale principio di equità e, per non contrastare il principio costituzionale di cui all'art. 42 Cost., non può coinvolgere il bene nel suo complesso ma, nell'indispensabile contemperamento delle generali esigenze di prevenzione e difesa sociale con quelle private della garanzia della proprietà tutelabile, deve essere limitato soltanto al valore del bene medesimo, proporzionato al reimpiego in esso effettuato dei profitti illeciti o, comunque, ingiustificati.
 
5. Da ciò l’ineccepibile conclusione della praticabilità di utilizzare “la confisca della quota ideale del bene”, rapportata al maggior valore assunto per effetto del reimpiego e valutata al momento della confisca medesima (Sez. 6, Sentenza n. 30131 del 28.3.2007 Cc.  (dep. 24.7.2007), Rv. 237327, Frangiamore)».


[1] GU n. 170 del 24 luglio 2009 (suppl. ord.).