11 settembre 2012 |
L'applicazione disgiunta della misura patrimoniale dopo l'annullamento del decreto di irrogazione della misura personale e patrimoniale per mancanza di attuale pericolosità sociale
Trib. Santa Maria Capua Vetere, 2 maggio 2012, Pres. Magi, Est. Lombardi.
1. Il caso esaminato dal Tribunale ed i principi in rilievo.
Con il provvedimento qui commentato, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha stabilito alcuni principi che conviene enunciare, per sintesi, in via preliminare. Il Tribunale ha osservato, in primo luogo, che il principio di applicazione disgiunta della misura di prevenzione patrimoniale deriva dalla scelta del legislatore di sottrarre al circuito economico un bene acquisito illecitamente da parte di un soggetto socialmente pericoloso, in costanza di manifestazione di pericolosità sociale. Non sono in effetti cambiati i parametri di correlazione richiesti per l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali (accertata pericolosità sociale e provenienza illecita dei beni), ma è stato rimosso un limite al potere ablativo dello Stato, costituito dalla necessaria correlazione tra misure di prevenzione personali e patrimoniali. Secondo lo stesso Tribunale, inoltre, l'annullamento del decreto applicativo della misura di prevenzione personale (per mancanza di attualità della pericolosità sociale) e della confisca da parte della Corte d'appello non preclude l'adozione di una nuova misura patrimoniale, in ordine ai medesimi beni, qualora la decisione sia stata adottata per motivi di carattere formale, senza esame dei presupposti della confisca. |
È opportuno comunque riassumere, a questo punto, la vicenda culminata col provvedimento in commento.
In data 1.6/6.7/2006 veniva applicata dal Tribunale la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di p.s., con confisca di numerosi beni.
In data 31.1/08.02.2012 la Corte d'appello, pur confermando la pericolosità del proposto, riteneva insussistente il requisito dell'attualità della pericolosità alla data della decisione del Tribunale. La Corte, pur ritenendo sussistenti tutti i presupposti di carattere oggettivo (disponibilità del proposto e provenienza illecita dei beni), sosteneva di non potere esaminare i presupposti di applicabilità disgiunta della misura patrimoniale, dovendo il giudice dell'impugnazione limitarsi a valutare la corretta applicazione da parte del giudice di primo grado della normativa vigente all'epoca della pronuncia. L'epoca di adozione del decreto impugnato, precedente all'introduzione (col d.l. n. 92/08, conv. dalla l. n. 125/08) del comma 6-bis dell'art. 2-bis l. 575/65 che consente la confisca di prevenzione pur in assenza dall'attualità della pericolosità del proposto, non consentiva l'applicabilità di norme sopravvenute.
Il Tribunale, cui veniva avanzata una nuova proposta "disgiunta", disponeva il sequestro dei beni sulla base di uno stringente ragionamento che si può così riassumere:
- il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere avviato a prescindere da qualsiasi proposta di misura di prevenzione personale, essendo rimesso al giudice il compito di accertare in via incidentale la riconducibilità del proposto nella categoria dei soggetti che possono essere destinatari dell'azione di prevenzione;
- pur se la pericolosità cessa, permane il "vizio genetico" che caratterizza la formazione del patrimonio e impone la sottrazione dal circuito economico di un bene acquisito illecitamente da parte di un soggetto socialmente pericoloso, in costanza di manifestazione di pericolosità sociale;
- non osta alla valutazione dei presupposti della proposta disgiunta una precedente decisione che abbia disposto la revoca del sequestro, fondata sui medesimi elementi, purchè non si sia formata una preclusione derivante da un esame nel merito di tali presupposti;
Il Tribunale, la cui soluzione va condivisa, ha esaminato due temi propri delle misure di prevenzione:
a) la natura e i limiti del principio di applicazione disgiunta della misura patrimoniale;
b) la natura e i limiti del giudicato in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
Si tratta di principi che non è agevole "maneggiare" per le specificità che presentano e che derivano dalla natura e dal fondamento delle misure di prevenzione personali che, a differenza della pena, non richiedono l'accertamento della responsabilità penale in ordine a un fatto reato, ma la verifica dell'esistenza della pericolosità della persona (a una certa data) fondata su un giudizio desunto da fatti (certi e non da sospetti).
Dalla natura delle misure di prevenzione personali discende, diversamente dal processo penale, in cui l'assenza di una pronuncia di condanna inibisce la confisca (secondo l'orientamento delle Sezioni Unite), che il venir meno della pericolosità non impedisce la confisca dei beni acquisiti dal soggetto illecitamente.
2. L'applicazione disgiunta della misura patrimoniale. La "retroattività" del principio.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere coglie i tratti salienti del nuovo istituto dell'applicazione disgiunta della misura di prevenzione patrimoniale e della (correlata) natura giuridica della confisca di prevenzione.
Sulla scia della più attenta giurisprudenza[1] e dei primi commenti al principio introdotto dalla riforma del 2008, oggi inserito organicamente nell'art. 18 del d.lgs. n. 159/11, il Tribunale afferma che «la scelta del legislatore è chiaramente nel senso di sottrarre al circuito economico un bene acquisito illecitamente da parte di un soggetto socialmente pericoloso, in costanza di manifestazione di pericolosità sociale (...) non sono cambiati i parametri di correlazione richiesti per l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali (accertata pericolosità sociale e provenienza illecita dei beni), ma è stato semplicemente rimosso un limite al potere ablativo dello Stato, costituito dalla necessaria correlazione tra misure di prevenzione personali e patrimoniali».
È questo il nucleo essenziale del principio di applicazione disgiunta che si è già evidenziato in modo approfondito in altro commento[2].
La ratio legis conferma la natura preventiva della confisca di prevenzione che trova la sua ragion d'essere nel vizio genetico della formazione del patrimonio e nelle modalità di acquisto dei beni appresi. Un «bene acquisito illecitamente da parte di un soggetto socialmente pericoloso, in costanza di manifestazione di pericolosità sociale» rimane geneticamente illecito pur se cessa la pericolosità del soggetto che lo ha acquistato, «diversamente si consentirebbe una indebita accumulazione patrimoniale di beni di provenienza illecita, che potrebbero rimanere nella disponibilità di chi li ha appresi (o dei suoi eredi) quando, per sopravvenuta cessazione della pericolosità sociale o per altro motivo, non sia più applicabile la misura di prevenzione personale».
Volendo approfondire ulteriormente l'ambito di estensione dell'art. 18, comma 1, d.lgs. cit. si può ricordare che la norma fissa il principio generale cui vanno ricondotte alcune ipotesi di applicazione disgiunta da tempo normativamente previste:
- la pericolosità esiste, ma la misura personale non è irrogabile: persona assente o residente o dimorante all'estero;
- la pericolosità, già accertata da altro giudice, è equiparata a questi limitati fini alla pericolosità di prevenzione: persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva o a libertà vigilata,
- la pericolosità è stata precedentemente accertata ed è in corso di esecuzione la misura di prevenzione personale.
Ai commi successivi l'art. 18 d.lgs. cit. prevede ipotesi di applicazione disgiunta che richiedono un'apposita regolamentazione per le specificità che presentano:
- la morte del proposto che interviene dopo l'inizio del procedimento. Da un lato vi rientra il caso della morte successiva all'accertamento, seppur non definitivo, della pericolosità, già riconosciuto dalla giurisprudenza; dall'altro si estende l'applicazione disgiunta a ogni ipotesi in cui la morte del proposto interviene dopo la presentazione della proposta. Si disciplina il prosieguo del procedimento nei confronti, degli eredi o degli aventi causa;
- la proposta successiva alla morte della persona (già pericolosa) avanzata nei cinque anni dal decesso. Si tratta di un caso che presenta caratteristiche proprie, consentendo di presentare la proposta finanche dopo la morte della persona, nei confronti dei successori a titolo universale o particolare. Si prevede un termine per la presentazione della proposta al fine di bilanciare i diversi interessi che vengono in rilievo.
Per un difetto di coordinamento non è inserita nel citato art. 18 l'applicazione disgiunta nel caso di proposta patrimoniale avanzata quando la misura personale è in atto, disciplinata dall'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 159/11.
Dal principio di carattere generale di applicazione disgiunta si possono, poi, desumere i casi in cui la proposta personale non può essere irrogata pur in presenza di persona che è stata pericolosa e nei cui confronti, dunque, rimane inalterata l'esigenza di applicare la misura patrimoniale per contrastare l'illecita accumulazione derivante dalla pericolosità manifestata.
Alcuni casi ricorrenti sono i seguenti:
- non applicabilità della misura personale, pur in presenza di una pericolosità esistente ma mai in precedenza accertata e non più attuale all'atto della confisca, indipendentemente dal momento in cui è venuta meno l'attualità, nel corso del procedimento ovvero prima della proposta;
- cessazione della misura di prevenzione personale, per naturale decorso del termine di imposizione degli obblighi ovvero per revoca ex tunc.
Le misure di prevenzione patrimoniali divengono, col riconoscimento del principio di applicazione disgiunta, strumento di ablazione in favore dello Stato dei beni frutto dell'attività illecita della persona pericolosa, pur se non può farsi luogo alla misura di prevenzione personale (o questa è cessata), sempre che i presupposti di questa siano accertati.
Col principio di applicazione disgiunta il sistema conserva una sua intrinseca coerenza perseguendo l'obiettivo di colpire i patrimoni illecitamente acquisiti, non attraverso il ribaltamento del nesso di accessorietà tra misura personale e patrimoniale, perché occorre sempre un accertamento giudiziale, eventualmente incidentale, della pericolosità del titolare del bene, ma facendo venire meno tale nesso perché non è più necessaria la previa applicazione (o esecuzione) della misura personale.
L'illiceità genetica dell'acquisto del bene permane pur se viene meno il proposto o la sua pericolosità, riflettendosi, comunque, sul bene stesso.
Il bene è confiscato non solo se ricorrono gli ordinari presupposti dell'illecita provenienza, ma anche se è stato acquistato da persona (che era all'epoca) pericolosa. Il decorso del tempo, o comunque la cessazione della pericolosità del soggetto, o qualunque ragione che non consenta di applicare la misura di prevenzione, non può avere l'effetto positivo di autorizzare il possesso del bene da parte di colui che lo ha illecitamente acquisito (quando era pericoloso) e ne trae la conseguente utilità.
La rigorosa applicazione di questi principi comporta (ma questo tema era estraneo al caso esaminato dal Tribunale ) che il bene può essere appreso col sequestro di prevenzione solo se acquistato da persona che era pericolosa, con la conseguenza che non può condividersi quell'orientamento che va consolidandosi nel Supremo Collegio secondo cui si può prescindere da qualunque correlazione tra epoca d'acquisto dei beni ed epoca di accertamento della pericolosità[3].
Quanto alla retroattività del principio di applicazione disgiunta, affermato dal Tribunale, alcune brevi considerazioni.
Il d.lgs. n. 159/11 si è limitato a riprodurre le norme previgenti, non può farsi riferimento al regime transitorio previsto dallo stesso decreto, per le sole disposizioni innovative (art. 117, comma 1).
Il d.l. n. 92/08, conv. dalla l. n. 125/08, che ha introdotto le norme in esame, non contiene alcuna disposizione transitoria, per cui trovano pacifica applicazione i principi di carattere generale in materia di successione nel tempo delle norme in materia di misure di prevenzione, più volte ricordati:
- la nuova normativa si applica anche con riferimento a condotte poste in essere prima della sua entrata in vigore e per le categorie di pericolosità introdotte con le modifiche del 2008 e 2009;
- possono essere oggetto della misura patrimoniale i beni che risultino acquisiti al patrimonio del soggetto in epoca precedente all'entrata in vigore della l. n. 125/2008;
- i suindicati principi vanno applicati anche alle proposte avanzate prima dell'entrata in vigore della nuova normativa.
In tal senso, per i profili di carattere generale, si è espressa anche la Suprema Corte (sent. n. 8761/11).
3. Il giudicato di prevenzione patrimoniale.
Il Tribunale afferma (in modo sintetico) che la decisione della Corte d'appello, con cui è stata disposta la revoca ex tunc della confisca di prevenzione in ordine ai medesimi beni per le ragioni descritte, non costituisce una preclusione all'applicazione del sequestro.
Questo tema, evidentemente, dovrà essere approfondito in sede di udienza camerale per gli evidenti risvolti in materia di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale.
Un tema che, invero, coinvolge qualunque decisione di revoca o annullamento del sequestro e o della confisca che non affronti il merito della sussistenza dei presupposti di applicabilità della misura; un argomento che diverrà di sicura attualità quando si verificheranno ipotesi di decorso del termine per la pronuncia della confisca previsto dall'art. 24 , comma 2, d.lgs. n. 159/11[4].
Per le misure personali, fondate non sull'accertamento di un fatto reato, ma sul giudizio di pericolosità della persona che, per sua natura, è "precario", la preclusione e gli effetti del giudicato operano rebus sic stantibus, con riferimento agli elementi di fatto valutati nel momento della decisione. Sulla base di questi principi è consentito valutare, nell'ambito di un nuovo procedimento funzionale all'applicazione della misura di prevenzione, fatti eventualmente preesistenti al giudizio formulato e non valutati ovvero modificati nel loro accadimento oltre che fatti sopravvenuti[5].
Principi analoghi possono essere riconosciuti in materia di misura patrimoniale.
La giurisprudenza ha sempre messo in risalto il principio secondo cui nel caso di decisione definitiva sulla proposta di applicazione di misure di prevenzione, personale e/o patrimoniale, opera una mera "preclusione processuale" che impedisce di prendere cognizione della questione già decisa, in mancanza di deduzione di fatti nuovi modificativi della situazione definita allo stato degli atti. Si forma un giudicato rebus sic stantibus, che include le sole questioni dedotte, non anche quelle deducibili, condizionato dalla situazione di fatto esaminata che, solo se immutata, rende applicabile il principio del "ne bis in idem".
Sulla base di nuovi elementi di pericolosità si può instaurare un nuovo procedimento di prevenzione, con sequestro e confisca dei beni alla stregua di una nuova considerazione della situazione fattuale sotto entrambi i profili, personale e patrimoniale (S.C. sent. n. 4437/93). Nessuna preclusione deriva da un precedente rigetto della richiesta di sequestro trattandosi di un provvedimento non suscettibile di passare in cosa giudicata (S.C. sent. n. 125411/97).
Le Sezioni Unite hanno condiviso questa ricostruzione affermando che nessuna preclusione all'esame di una nuova proposta patrimoniale può verificarsi quando la decisione sulla confisca sia stata annullata solo per vizio formale, senza che vi sia stata una valutazione di merito (S.U. sent. n. 36/00).
Rinviando ad altra sede l'esame delle diverse situazioni che possono verificarsi, anche alla luce del principio di applicazione disgiunta della confisca (giudicato e fatti nuovi nel caso di misura personale, patrimoniale, personale e patrimoniale) e limitando l'approfondimento alla mancanza di decisione sul merito e assenza di fatti nuovi, non può dubitarsi che possa operare il principio secondo cui la preclusione opera solo se vi è stata una decisione di merito, con esame e valutazione dei fatti posti a fondamento della richiesta di confisca. Diversamente non si verifica la preclusione perché il giudice si limita a prendere atto di situazioni che impediscono una decisione di merito (S.U. n. 36/00).
In questi casi l'organo giudicante che procede si limita a pronunciare una decisione variamente denominata (improcedibilità, inefficacia, annullamento, etc.), a seconda dell'evento che si verifica, che paralizza e definisce il giudizio senza esame dei fatti posti a fondamento della proposta di confisca, lasciando impregiudicato un successivo esame di una nuova proposta qualora siano rimosse le cause che l'hanno determinata.
Avanzata una nuova proposta (disgiunta) di confisca sulla base dei medesimi elementi di fatto su cui non è intervenuta alcuna decisione di merito e rimosse le eventuali cause impeditive, il Tribunale procede all'esame della proposta, indipendentemente dalle valutazioni eventualmente già formulate nel precedente giudizio che non hanno assunto carattere di definitività.
[1] Ad esempio: Trib. di Napoli (sez. misure di prevenzione), dec. 9 dicembre 2010, pubblicato in questa Rivista.
[2] F. MENDITTO La confisca di prevenzione nei confronti del 'morto'. Un non liquet della Corte costituzionale, con rinvio a interpretazioni costituzionalmente orientate, pubblicato in questa Rivista.
[3] Cfr. il ragionamento sviluppato al par. 4.2.5 dell'articolo richiamato alla nota precdente.
[4] Cfr. il primo commento di Pietro Grillo, Durata massima del sequestro di prevenzione e provvedimento di confisca dopo il d.lgs. n. 159 del 2011, pubblicato in questa Rivista.
[5] S.U sent. nn. 16/96 e 600/09; S.C. sent. nn. 5649/02, 25514/06.