ISSN 2039-1676


12 settembre 2011 |

Misure di prevenzione patrimoniale: tutela dei terzi e nozione di buona fede

Nota a Tribunale di Palermo, sez. misure di prevenzione, 18.1.2011, Sicilcassa in l.c.a., Pres. Saguto, Est. Nicastro

Il provvedimento del Tribunale di Palermo in materia di misure di prevenzione patrimoniale, che può leggersi in allegato, si presenta particolarmente interessante perché ammette l’incidente di esecuzione proposto innanzi al giudice della prevenzione dal creditore (che non era potuto intervenire nel corso del procedimento) titolare di ipoteca su immobile definitivamente confiscato, a condizione: che abbia iscritto la propria garanzia anteriormente alla trascrizione del sequestro; che fornisca la dimostrazione della propria buona fede, da intendersi come affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di oggettiva apparenza che rende scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza. Si precisa che con l’articolo 5 della legge 31.3.2010, n. 50, di conversione del D.L. n. 4 del 2010, sono stati aggiunti dei periodi al quinto comma dell’articolo 2 ter dellalegge n. 575/65, con cui è stata legislativamente apprestata tutela, all’interno del procedimento di prevenzione dinanzi al tribunale, ai terzi titolari su beni immobili sequestrati dei seguenti diritti: di una quota indivisa; di diritti reali di godimento o di garanzia.

 

Sommario:

 
1. Le indicazioni del provvedimento Sicilcassa in l.c.a..
2. La giurisprudenza della Corte costituzionale e l’inversione dell’onere della prova in relazione ai terzi (la riforma).
 
 
* * *
 
1. Le indicazioni del provvedimento Sicilcassa in l.c.a..
 
Il provvedimento in esame assume un particolare interesse in relazione alla delicata tematica della tutela dei terzi in buona fede nei confronti di misure di prevenzione patrimoniali.
 
Esso rappresenta un’interessante e corretta ricostruzione dei più recenti e garantisti orientamenti della giurisprudenza nel riconoscere la tutela dei terzi, anche in relazione ai diritti di godimento e ai diritti reali di garanzia, anche laddove si dovesse applicare il meno garantista orientamento in base al quale la confisca sarebbe un acquisto a titolo originario del bene, in quanto il trasferimento del diritto non può comunque avere ad oggetto “un diritto di contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare”, né lo Stato può “legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la titolarità”, con la conseguenza che si riconosce la possibilità di opporre allo Stato i diritti reali di garanzia (in specie del pegno) provenienti da titoli di data certa anteriore al sequestro pur se i titolari “abbiano tratto oggettivamente vantaggio dall’altrui attività criminosa”, purché “riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole”.
 
Nel provvedimento, in particolare, si ammette l’incidente di esecuzione innanzi al giudice della prevenzione dal creditore (che non era potuto intervenire nel corso del procedimento), titolare di ipoteca su immobile definitivamente confiscato, purché la garanzia sia stata trascritta anteriormente alla trascrizione del sequestro; il terzo fornisca la dimostrazione della propria buona fede. L’ammissibilità dell’incidente di esecuzione è stata ritenuta la soluzione “maggiormente compatibile ..con le linee fondanti dell’ordinamento e con valori protetti dalla Costituzione (Cass. 11 febbraio 2005, n. 12317)”.
 
Tale orientamento si pone in un’ottica, si sottolinea nel provvedimento, di “bilanciamento dei valori costituzionali in gioco nella fattispecie in esame, ovverosia l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana, garantiti da un efficace azione di contrasto alla accumulazione di ricchezze illecito – mafiose, da un lato, la tutela della proprietà e della libertà di iniziativa economica privata dei terzi incolpevoli, dall’altro”, nel rispetto della ratio e della funzione della confisca ex art. 2 ter, che deve essere essenzialmente “espoliativa”, volta a «sottrarre definitivamente i beni al prevenuto, piuttosto che la funzione “acquisitiva” dei beni in favore dello Stato, essendo l’acquisizione una conseguenza della sottrazione e non già l’obiettivo della confisca». Anzi, non solo la tutela dei diritti dei terzi non depotenzia il risultato di politica criminale voluto dalla legge, ma, anzi, «contribuirebbe a creare attorno alle misure di prevenzione patrimoniali, che hanno assunto una incidenza sempre maggiore nel tessuto economico di alcune aree geografiche in ragione della quantità e qualità dei beni sequestrati, quel consenso sociale indispensabile per il potenziamento della azione dello Stato in tale ambito” (in tal senso, ex plurimis, Tribunale Palermo, decreto 3 dicembre 2009, Italfondiario s.p.a.) ».
 
Il Tribunale riprende i precedenti orientamenti della Suprema Corte in materia di buona fede, precisando che essa richiede l’accertamento sia di una “componente soggettiva, ovverosia la mancata conoscenza, o incolpevole ignoranza, della caratura mafiosa del contraente (..)”, sia di una componente oggettiva della “partecipazione e del collegamento funzionale dell’attività negoziale compiuta rispetto all’illiceità dell’attività professionale e/o d’impresa del prevenuto”, nozione che il Tribunale provvede a tipicizzare in maniera casistica, riprendendo precedente giurisprudenza. In relazione all’elemento soggettivo si precisa che non può ravvisarsi la condizione di buona fede quando usando l’ordinaria diligenza il creditore poteva rendersi conto, od anche fondatamente sospettare, che il bene oggetto della garanzia ipotecaria era il frutto dell’attività illecita del mafioso.
 
 Tale orientamento, conforme al principio di colpevolezza, per cui la confisca non può colpire un terzo incolpevole, e con le indicazioni sovrannazionali che ribadiscono sempre la necessità di garantire la tutela dei terzi in buona fede, si è affermato in giurisprudenza originariamente in relazione alla confisca penale e solo successivamente nel settore delle misure di prevenzione, superando le originarie resistenze, consentendo ai terzi l’incidente di esecuzione per far valere i loro diritti (laddove non siano intervenuti nel procedimento di prevenzione).
 
In materia, inoltre, come ricorda il provvedimento in esame, è intervenuta una recente modifica, introdotta dall’articolo 5 della legge 31.3.2010, n. 50, di conversione del D.L. n. 4 del 2010, che ha aggiunto dei periodi al quinto comma dell’articolo 2 ter dellalegge n. 575/65. Con queste disposizioni è stata apprestata tutela, all’interno del procedimento di prevenzione dinanzi al tribunale, ai terzi titolari su beni immobili sequestrati dei seguenti diritti: di una quota indivisa; di diritti reali di godimento o di garanzia. Costoro, infatti, “possono intervenire nel procedimento con le medesime modalità al fine dell’accertamento di tali diritti, nonché della loro buona fede e dell’inconsapevole affidamento nella loro acquisizione”.
 
Il provvedimento, però, conferma quell’orientamento consolidato in base al quale si ammette l’inversione dell’onere della prova in capo al terzo che deve dimostrare la propria buona fede e l’affidamento incolpevole. Il Tribunale, infatti, se da una parte precisa che l’esigenza di non vanificare l’intervento sanzionatorio dello Stato impone “un’indagine estesa ed approfondita sulla buona fede del creditore, non limitata all’astratta verifica dell’esistenza del credito vantato ed al mero controllo della data di iscrizione della formalità ipotecaria, verifica che per intuibili ragioni può essere svolta solo dal giudice penale, con garanzia del contraddittorio, in sede di procedimento di esecuzione (così anche Cass. civ. 12 novembre 1999, n. 12535)”, sembrando affidare al giudice penale l’accertamento della buona fede, poi ribadisce che «essendo la buona fede un fatto costitutivo della pretesa azionata sul bene confiscato (ovvero, al contempo, un fatto che incide, limitandolo, sul contenuto del diritto confiscato) è sul terzo che deve incombere l’onere di provarla, fornendo “la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di “appartenenza” e di “estraneità al reato” (Cass. 11 febbraio 2005 cit.)».   
 
Tale orientamento è considerato discutibile dalla dottrina laddove si tratta di un terzo incolpevole, in considerazione della difficoltà di dare la prova negativa della malafede, e della sostituzione, in una materia in cui viene applicata una sanzione, del principio in dubio pro reo con quello in dubio pro repubblica ([1]).
 
Il provvedimento, inoltre, si rivela particolarmente interessante nel caso concreto perché riconosce la malafede dell’istituto bancario che ha concesso dei crediti al prevenuto, pur conoscendo il suo coinvolgimento o i suoi rapporti con l’organizzazione mafiosa. Come già evidenziato in altra sede, infatti, la valorizzazione della buona fede come elemento scriminate per determinare la tutela dei diritti dei terzi è importante per soddisfare quella particolare esigenza emersa nella prassi di responsabilizzare quel particolare terzo rappresentato dalle banche; l'esperienza ha dimostrato sia che la strumentalizzazione del finanziamento bancario per coprire operazioni di riciclaggio è un fatto piuttosto frequente, sia come spesso l'attenta analisi delle caratteristiche di ciascuna operazione e del profilo economico finanziario del cliente avrebbe consentito di individuare le operazioni sospette ([2]). Lo stesso Tribunale di Palermo aveva già precisato che “non potrebbe riconoscersi alcuna tutela satisfatoria all’istituto di credito che abbia concesso finanziamenti ad imprenditori poi rivelatisi mafiosi, qualora detto istituto, esaminando il bilancio dell’impresa sovvenuta, avrebbe potuto, usando l’ordinaria diligenza, rendersi conto che il finanziamento richiesto non corrispondeva alle esigenze dell’impresa o che il fatturato non giustificava le operazioni finanziarie in essere, comprendendo in tal guisa di trovarsi di fronte ad operazioni di riciclaggio” ([3]).
 
 
2.   La giurisprudenza della Corte costituzionale e l’inversione dell’onere della prova in relazione ai terzi (la riforma).
 
Il provvedimento in esame si pone in linea con l’orientamento più garantista in materia di tutela dei terzi che si è affermato in giurisprudenza.
 
A tal proposito si può ricordare che con riferimento alla tutela dei creditori in caso di fallimento è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale per violazione degli art. 27, c. 1, e/o 25, c. 3 e 24 Cost., c. 1, in quanto, rilevava il giudice remittente, allorché alla confisca si collegano effetti ablativi delle pretese obbligatorie dei terzi, si finisce col riconoscere un'espansione della stessa oltre i limiti della sfera patrimoniale del prevenuto, finendo per sanzionare anche i soggetti che ne sono estranei. La Corte Costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile ([4]), perché le veniva richiesto un intervento additivo in un tema in cui non era stata prospettata e non esisteva una soluzione costituzionalmente obbligata. Da notare che la Corte dichiara la questione inammissibile perché le sarebbe richiesto un intervento additivo, ma non nega la fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal giudice remittente; il legislatore, afferma, infatti, la Corte, potrebbe consentire ai terzi di far valere il dato temporale e l'anteriorità del titolo rispetto al sequestro e alla confisca, mentre in relazione alla provenienza si potrebbe dare rilievo ai beni che risultino acquistati o realizzati dal debitore con il concorso di attribuzioni o di prestazioni di terzi di buonafede con atti di data certa anteriori alla misura di prevenzione ([5]).
 
Con riferimento alla vasta giurisprudenza della Suprema Corte in materia di tutela dei creditori si rimanda al più approfondito esame compiuto in altra sede, ricordando come, in linea con le indicazioni della Corte costituzionale ([6]) si ritenga tendenzialmente preferibile l’orientamento che riconosce piena tutela ai creditori, garantiti o chirografari; tale posizione si fonda, tra l’altro, sull’obbligo di tutelare i terzi in buona fede, sancito sia dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, adottata a Vienna nel 1988, sia sulla Convenzione di Strasburgo sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi del reato del 1990, e ribadito dalla decisione quadro relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato del 2005 ([7]). In tale direzione, la Suprema Corte ha ribadito che la posizione giurisprudenziale che riconosce la tutela dei diritti reali di godimento e di garanzia costituiti sul ben confiscato, consentendo al terzo di partecipare al procedimento di prevenzione o proporre incidente di esecuzione, se non abbia partecipato al procedimento di applicazione della misura patrimoniale, “corrisponde a quella maggiormente compatibile con precisi dati normativi, con le linee fondanti dell'ordinamento e con i valori protetti dalla Costituzione”; «quand'anche la confisca dovesse qualificarsi quale causa di acquisto a titolo originario, il trasferimento del diritto non può avere ad oggetto "un diritto di contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare", nè lo Stato può "legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la titolarità" (Cass., Sez. Un., 28 aprile 1999, Bacherotti ed altri, cit.)».
 
«Se è vero che il citato art. 2 ter, comma 5, subordina la partecipazione al procedimento di prevenzione (e, in mancanza, la proponibilità dell'incidente di esecuzione) alla circostanza che "i beni sequestrati appartengono a terzi", è non di meno certo che nella nozione di "appartenenza", che figura anche nelle norme sulla confisca quale misura di sicurezza e nella confisca amministrativa, sono inclusi, oltre al diritto dominicale, anche i diritti reali, di godimento e di garanzia, che incidono sul bene confiscato. Tali diritti, col delimitare la giuridica consistenza degli effettivi poteri spettanti al proprietario colpito dalla misura di prevenzione patrimoniale, concorrono a circoscrivere l'oggetto effettivo della confisca ex art. 2 ter, di talché questa, stante la precipua funzione di interrompere la relazione col bene del soggetto indiziato di appartenere ad un'associazione di stampo mafioso e di eliminare il bene stesso dal circuito criminale, non può non investire gli stessi diritti dei quali detto soggetto è titolare, senza sopprimere i diritti dei terzi che siano completamente estranei all'attività illecita del proposto» ([8]).
 
Infine si ribadisce, «alla luce di una interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata della legislazione antimafia - che la salvaguardia del preminente interesse pubblico non può giustificare il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, dovendo considerarsi la sua posizione "protetta dal principio della tutela dell'affidamento incolpevole, che permea di sé ogni ambito dell'ordinamento giuridico" (Corte Cost., 10 gennaio 1997, n. 1): con la conseguenza che l'unica sede in cui può verificarsi la tutela della buona fede del terzo è costituita dal procedimento di prevenzione, ovvero dall'incidente di esecuzione, qualora il terzo non sia stato posto in condizione di partecipare al procedimento nel quale è stata disposta la misura di prevenzione patrimoniale» ([9]).
 
La Suprema Corte ha negato i dubbi di costituzionalità sollevati in relazione alla possibilità che il rimedio dell'incidente di esecuzione non possa essere esperito prima della definitività del provvedimento (“il terzo proprietario o comproprietario del bene… o interviene nella procedura di prevenzione (L. n. 575 del 1965, art. 2 ter) o attiva il rimedio dell'incidente di esecuzione. Se, però, intraprende quest'ultima via, ovviamente deve attendere che il provvedimento che dispone la confisca sia definitivo”), in quanto, si osserva, che “i principi del diritto di difesa e del contraddittorio, dedotti dal ricorrente prospettando la questione, sono sicuramente rispettati dal sistema delineato dalla normativa, come interpretato dalla giurisprudenza, posto che nell'uno o nell'altro modo sopra indicato l'interessato è messo nella condizione di far valere in giudizio i propri diritti”([10]).
 
Nell’ambito della discussione sulla legittimità costituzionale delle misure in esame emerge, però, la problematicità della recente riforma delle misure di prevenzione introdotta dal pacchetto sicurezza 2008 (decr. n. 92/’2008, come convertito nella l. n. 125/’08[11]), in relazione alla tutela dei terzi creditori sotto il profilo del rispetto del principio della responsabilità penale personale e della presunzione d’innocenza; problematicità evidenziata dalla Corte costituzionale, come esaminato, in relazione alla precedente disciplina e probabilmente accentuata dalla nuova.
 
 Si deve ricordare a tal proposito che la riforma sembra prevedere espressamente la confisca dei beni trasferiti a terzi se il trasferimento è illegittimo e i terzi non siano in buona fede laddove con il comma 10 dell’art. 2 ter, che prevede la confisca per equivalente “quando i beni non possano essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell’esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede” ([12]); se sarà possibile la confisca per equivalente ([13]) laddove i beni siano stati legittimamente trasferiti ai terzi, sarà possibile sottrarli direttamente ai terzi qualora il trasferimento non sia stato legittimo e i terzi non siano in buona fede, come del resto la giurisprudenza prevedeva anche prima della riforma.
 
La giurisprudenza, a partire dalla sentenza Bacherotti, ha sviluppato il criterio della buona fede ([14]) come presupposto per garantire il riconoscimento dei diritti reali di garanzia, che il terzo vuole fare valere sui beni confiscati. Si parla di «buona fede e di affidamento incolpevole» ([15]), e cioè la mancanza di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta criminosa o con l’attività illecita del proposto indiziato di mafia ([16]); nell’ipotesi in cui un simile nesso sia invece configurabile, l’affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza ([17]) (non essendo sufficiente l’anteriorità della trascrizione o dell’iscrizione nei registri immobiliari ([18])). L’affidamento incolpevole è ravvisabile “nella non conoscibilità – con l’uso della diligenza richiesta dal caso concreto – del rapporto di derivazione della loro posizione di vantaggio dalla condotta delittuosa del proposto” (tale situazione è compatibile con l’aver “ricevuto indirettamente un vantaggio dall’altrui attività criminosa” ([19])). Ai fini della valutazione della buona fede, insomma, si attribuisce rilievo anche ad atteggiamenti colposi del terzo, imponendo ai cittadini una sorta di obbligo generale di diligenza nello svolgimento degli affari, in linea con la previsione nell'ordinamento penale italiano della fattispecie dell'incauto acquisto ([20]). Emerge quanto può diventare invasiva la confisca antimafia applicata nei confronti dei terzi aventi causa non in buona fede (soprattutto se si fa rientrare nella malafede anche l’atteggiamento colposo).
 
In relazione ai terzi creditori la giurisprudenza ritiene che spetta al terzo l’onere di provare la sua buona fede e il suo affidamento incolpevole ([21]), nonché la mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attività illecita del proposto indiziato di mafia ([22]). Tale giurisprudenza modifica il generale principio civilistico per cui la buona fede è presunta (art. 1147 c.c.) e inverte l’onere della prova della buona fede a carico del terzo. Tale inversione assume una particolare problematicità laddove si considera che essa si applica nei confronti di terzi, estranei alla valutazione di pericolosità sociale in quanto non indiziati dei reati presupposti ([23]), e sulla difficoltà di dare la prova negativa della malafede ([24]).
 
L’art. 2 ter riformato, invece, sembra imporre al giudice la verifica della buona fede degli aventi causa, laddove stabilisce che si consente la confisca per equivalente dei beni trasferiti legittimamente a terzi: il giudice dovrebbe stabilire se i beni siano stati trasferiti legittimamente e i terzi siano in buona fede, per poi procedere, in base ai risultati di tali accertamenti, al diretto prelievo dei beni presso i terzi o alla corrispondente confisca per equivalente. Una simile interpretazione potrebbe rendere la disciplina in esame maggiormente conforme al principio della presunzione d’innocenza, anche se si teme che nella prassi si continuerà a procedere alla confisca dei beni imponendo ai terzi l’onere della prova della loro buona fede se vogliono far valere i loro diritti e sottrarre i beni alla confisca; laddove i terzi avranno dimostrato la loro buona fede, si procederà all’eventuale confisca per equivalente di altri beni dell’indiziato di valore corrispondente a quelli acquisiti dal terzo.
 
L’art. 2 ter, nella sua nuova versione, prevede, inoltre, che in alcune ipotesi si presume il carattere fittizio dei trasferimenti: a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione.
 
In conclusione in relazione ai trasferimenti a titolo gratuito (o fiduciario) compiuti nei due anni precedenti si dovrebbe dichiarare la nullità e quindi applicare direttamente la confisca nei confronti dei beni (e non la confisca per equivalente), e lo stesso anche se si tratta di trasferimenti a titolo oneroso nei confronti dei parenti indicati nella norma.
 
Con tali presunzioni si introduce un’inversione dell’onere della prova a carico del terzo, in deroga alla previsione dello stesso art. 2 ter che stabilisce che spetta all’accusa la prova della disponibilità dei beni in capo al proposto. Nel caso di beni formalmente intestati a terzi, che si assumono nella disponibilità di persona sottoposta a misure di prevenzione personale, la Suprema Corte ha sempre precisato che spetta all’accusa l’onere di dimostrare “che i beni, formalmente intestati a terzi, siano nella disponibilità dell’indiziato e derivino dalla sua illecita attività”, “infatti, non va dimenticato che la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale riguarda solo il soggetto ritenuto socialmente pericoloso” ([25]). La giurisprudenza, però, riteneva che mentre in relazione al terzo estraneo l’indagine sulla disponibilità del bene dovesse «essere rigorosa, non essendo consentito il ricorso a presunzioni come per il giudizio di pericolosità» ([26]), sussisteva una presunzione semplice di disponibilità del bene da parte dell’indiziato se il terzo fosse il coniuge, il figlio od il convivente nell’ultimo quinquennio in virtù del disposto dell’art. 2 bis che consente le indagini nei loro confronti ([27]). La dottrina riteneva correttamente, però, che tale presunzione semplice sarebbe dovuta sussistere solo ai fini dell’indagine, ferma restando l’esigenza di un adeguato livello probatorio sul requisito della disponibilità in capo al prevenuto ai fini del sequestro e della confisca ([28]). In tale direzione, infatti, la Suprema Corte aveva specificato che la «presunzione» in parola va letta connessa all’accertata assenza di disponibilità economiche proprie dei terzi intestatari, sintomatica della fittizietà dell’intestazione, e quindi quale lecito criterio interpretativo della situazione di fatto, non comportante illegittime inversioni di onere della prova a carico dei terzi» ([29]) (anche se in qualche sentenza si afferma che sui conviventi incombe l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca, in quanto in relazione a costoro “è più accentuato il pericolo della fittizia intestazione e più probabile l’effettiva disponibilità di essi da parte del medesimo proposto” ([30]), oppure si afferma che “nei confronti del coniuge, dei figli e dei conviventi siffatta disponibilità è presunta, senza necessità di specifici accertamenti, dal momento che la L. n. 575 del 1965, art. 2 bis considera separatamente dette persone rispetto a tutte le altre, fisiche o giuridiche, della cui interposizione fittizia, invece, devono risultare gli elementi di prova (Cass. 10 febbraio 1997, n. 4916, rLiso)” ([31]).
 
Il legislatore della riforma, senza indugi, ha invece introdotto delle vere presunzioni, con inversione dell’onere della prova, estendendole ai parenti sino al sesto grado e affini sino al quarto per gli atti a titolo oneroso e nei confronti di tutti per gli atti a titolo gratuito (o fiduciario), perseguendo il preciso disegno di semplificare gli accertamenti e di fare «terra bruciata» attorno ai «mafiosi»; l’aspetto positivo è che si prevede un limite temporale, che invece la giurisprudenza, sulla base dell’art. 2 bis, non prevede ([32]).
 
In entrambe le ipotesi sarà possibile che i terzi, compresi i parenti, che abbiano realmente acquistato i beni (sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso), possano confutare la presunzione e dimostrare che i trasferimenti non sono fittizi; allora, sempre che l’accusa non dimostri la malafede dei terzi, sarà eventualmente possibile procedere nei confronti di altri beni di valore equivalente rispetto a quelli trasferiti, purché si tratti di beni di valore sproporzionato o di origine illecita (e sempre che vi siano altri beni nel patrimonio del proposto oltre a quelli di cui si accerta direttamente il carattere sproporzionato o l’origine illecita). 
Il rischio di questa normativa è che gli atti a titolo gratuito saranno considerati tout court fittizi e nulli se compiuti nei due anni precedenti il sequestro, perché sarà ben difficile per il terzo dimostrarne il carattere non fittizio (già prima difficilmente i negozi fiduciari erano considerati nella prassi rilevanti per impedire la confisca); la norma rischia di introdurre una sorta di causa di nullità di tutti gli atti a titolo gratuito compiuti dal soggetto nei due anni precedenti il sequestro. Anche in ordinamenti stranieri sono previste delle presunzioni in relazione ai trasferimenti, volte a garantire l’efficacia della confisca: nell’ordinamento inglese, ad esempio, in relazione ai beni trasferiti nei sei anni precedenti l’inizio del procedimento finalizzato al confiscation (art. 77 POCA) ([33]). Si tratta di scelte di politica criminale particolarmente rigorose volte a garantire l’efficacia della confisca in taluni settori, anche a scapito, però, delle garanzie dei terzi e delle esigenze dell’economia.
 
Nella disciplina delle misure di prevenzione, inoltre, il limite temporale dei due anni vale solo per l’applicazione delle presunzioni, rimane la possibilità sine die di applicare la confisca per equivalente dei beni antecedentemente e legittimamente trasferiti, purché il giudice accerti il carattere sproporzionato o l’origine illecita del bene trasferito. Si è trasformata la natura della confisca per equivalente da strumento volto a garantire l’applicazione della confisca del profitto accertato del crimine, rimanendo una mera misura di riequilibrio economico (anche se la Suprema Corte le attribuisce ormai carattere sanzionatorio anche in quest’ipotesi ([34])), a una sorta di pena patrimoniale dai confini difficilmente controllabili, con tutti i dubbi sul rispetto non solo del principio di proporzione in senso stretto e di ragionevolezza, ma di legalità, colpevolezza e presunzione d’innocenza in quanto non si deve dimenticare che parliamo di misure di prevenzione che si applicano a soggetti indiziati.
 
Le presunzioni circa il carattere fittizio confermano, in ogni caso, che, al di fuori di queste ipotesi, la legittimità del trasferimento al terzo in buona fede dovrebbe essere accertata dal giudice della prevenzione.
 
La nuova disciplina, in conclusione, non sembra risolvere i problemi connessi all’efficienza delle misure di prevenzione patrimoniali e alla tutela dei terzi, come esaminato in altra sede (non prevede niente che non fosse già sostanzialmente possibile, anche se non veniva pronunciata la nullità degli atti fittizi) ([35]), e, attraverso le presunzioni e la confisca per equivalente, rischia di dilatare eccessivamente l’ambito di applicazione della confisca antimafia e di indebolire i diritti dei terzi, «con una sorta di chiamata di corresponsabilità morale o sociale per coloro che hanno avuto la ventura di immettersi nel traffico giuridico con l’imprenditore di sospetta appartenenza alla mafia» (creando una sorta di area di rischio penale) ([36]).
 
 

 

 


[1]) Maugeri, Molinari, Un passo avanti nella tutela dei terzi in buona fede titolari di un diritto reale di garanzia sui beni oggetto di confisca antimafia, C. pen. 2006, 645; cfr. Petrillo, La tutela del terzo creditore ipotecario sui beni confiscati: prime aperture, Merito 2006, 48, ritiene non possa parlarsi di inversione dell’onere della prova non ammesa neanche per l’indiziato.
[2]) Così Silvestrini, op. cit., pp. 397 - 398; conforme Stea op. cit., p. 314 ss., il quale rileva che indipendentemente dal fenomeno del riciclaggio finanziario in cui difficilmente l'operatore economico potrà dirsi terzo, si denuncia nella prassi come le operazioni di riciclaggio avvengano attraverso il ricorso al finanziamento di opere da parte delle banche che potrebbero avvedersi del carattere truffaldino dell'operazione confrontando "i dati del piano finanziario con quelli del valore dell'immobilizzazione riportato a bilancio"; tale controllo, però, è spesso omesso. Altre volte si procede a finanziamenti fondiari in assenza di piani finanziari oppure nel riciclaggio in attività manufatturiere, avviene che l'intera attività risulta esposta nei confronti delle banche mediante un utilizzo irrazionale del finanziamento a breve per immobilizzazioni pluriennali. Nonostante tutto ciò, "la collaborazione degli istituti con l'autorità giudiziaria sotto questo aspetto è desolante".
[3]) Così Tribunale Palermo, 7 febbraio 2000, fallimento Cosedra, inedita.
[4]) Una prima volta per mancata indicazione della norma impugnata, così Corte Cost., ord. 14 aprile 1988, n. 455, in Giur. Cost. 1988, I, 2083.
[5]) Corte Cost. 19 maggio 1994, n. 190, in Il Fallimento 1994, 804. Da ultimo richiede l’anteriorità dell’iscrizione del titolo o dell’acquisto del diritto rispetto ai provvedimenti cautelari od ablatori Cass. 2 aprile 2008, n. 16743.
[6]) Corte Cost. 19 maggio 1994, n. 190, in Il Fallimento 1994, 804.
[7]) Si veda Maugeri, op. cit., 63 ss. e 601 ss.; Cfr. Silvestrini (Magistrato Tribunale di Lecce), Misure patrimoniali di prevenzione e tutela dei terzi creditori, in Le misure di prevenzione patrimoniali. Teoria e prassi applicativa, op. cit.., 398, il quale osserva che la situazione del proposto viene paragonata a quella dell'imprenditore in stato di insolvenza: può risultare economicamente vantaggioso trattare con quest'ultimo, ma tutti sanno che è estremamente rischioso.
[8]) Cass. 28 gennaio 2008, n. 8775, C. e altro, dejure.giuffre.it.
[9]) Corte Cost. 19 maggio 1994, n. 190, in Il Fallimento 1994, 804.
[10]) Cass. 18 marzo 2008, n. 16709, M., in CED Cass. pen. 2008
[11] In seguito è intervenuta in materia un’ulteriore riforma con la l. n. 94 del 15 luglio 2009, in GU n. 170 del 24 luglio 2009 (suppl. ord.).
[12]) Il terzo in malafede non potrà rivendicare alcun diritto di ripetizione in quanto in virtù dell’art. 1418 c.c. il suo atto è nullo perché la causa è contraria a norme imperative e al buon costume (la violazione di norme imperative penalmente rilevanti rientra in questo concetto) (art. 2035 c.c.).
[13]) Per l’esame critico di tale forma di confisca sia consentito il rinvio a Maugeri, La riforma delle sanzioni patrimoniali, op. cit., 167 ss.
[14]) Cfr. le critiche sull’utilizzo di tale categoria in questa materia di Aiello, La tutela civilistica, op. cit., 471 ss.
[15]) Cass. sez. un., 28 aprile 1999, Baccherotti, in Foro it. 1999, II, 580, relativa alla confisca ex art. 644 c.p.; Cass. 2 aprile 2008, n. 16743; Cass. 18 aprile 2007, n. 19761; Cass. 9 marzo 2005, in Cass. pen. 2006, 634; Cass. 227585/2003; Cass. 29 ottobre 2003, Gius 2004, 1004; Cass. 19 novembre 2003, n. 47887, San Paolo IMI e altri, in Cass. pen. 2005, m. 870; Cass., 16 febbraio 2000, Ienna e altri, in Cass. pen. 2000, 2770 con nota di Molinari; Cassano, Azioni esecutive su beni oggetto di sequestro antimafia e buona fede dei creditori, in Il Fallimento 2002, 661; Id., Confisca antimafia e tutela dei diritti dei terzi, in Cass. pen. 2005, 2165; con riferimento alla confisca ex art. 12 sexies Cass. 21 novembre 2007, n. 45572, in Ced. Cass. pen. 2008.
[16]) Cass Cass., 11 febbraio 2005, in Cass. pen. 2006, 638.
[17]) Ibidem, 641.
[18]) Cass. 18 aprile 2007, n. 19761.
[19]) Cass. civ. 29 ottobre 2003, in Dir. fall. soc. comm. 2004, 16.
[20]) Maugeri, op. cit., 395 ss.; Id., La lotta contro l’accumulazione, cit., 535 ss.. Si tende ad affermare una nozione oggettiva di buona fede e non soggettiva ex art. 1147 c.p.c., nel senso che le stesse Sezioni unite fanno ricorso al criterio del collegamento, necessario od occasionale, tra l’attività negoziale che viene in considerazione e l’illiceità d’impresa, consentendo la tutela di terzi tutte le volte in cui l’atto da cui il creditore scaturisce non sia ausiliare o strumentale all’attività illecita, ovvero non la agevoli obiettivamente; in tal modo si consente la salvaguardia di prestazioni che, pur realizzate nella consapevolezza del carattere di mafiosità di uno dei soggetti negoziali, non sono di particolare rilievo sociale e appaiono riconducibili all’ordinario svolgimento dei rapporti economici, come già proposto nel Progetto Fiandaca, così Cassano, Azioni esecutive su beni oggetto di sequestro antimafia, op. cit., 661.
[21]) Sentenze cit. in nota 67; Cass. 29 ottobre 2003, cit., 1004; Cass. 21 novembre 2007, n. 45572, in Ced. Cass. pen. 2008; Cass. 18 aprile 2007, n. 19761; Cass. 11-2-2005, cit., 638.
[22]) Cass., 11 febbraio 2005, cit., pp. 638 – 641.
[23]) Cfr. Maugeri, op. cit.., 387 – 395; Id., La lotta contro l’accumulazione di patrimoni illeciti, cit., 536 ss.
[24]) Così Molinari, Un passo avanti nella tutela dei terzi in buona fede titolari di un diritto reale di garanzia sui beni oggetto di confisca antimafia, in Cass. pen., 2006, p. 645; Izzo, Criticità nella confisca di prevenzione, in Impresa, 2005, p. 1309; cfr. Petrillo, La tutela del terzo creditore ipotecario sui beni confiscati: prime aperture, in Merito, 2006, p. 48.
[25]) Cass. 2 marzo (28 aprile) 2005, Terrasi D. ed altri; Cass. 28 marzo 2002, in Cass. pen. 2003, 612; Cass. 23 giugno 2004, in Cass. pen. 2005, 2704; Cass. 226610/2003; Cass. 15 ottobre 2003, n. 43046, in Cass. pen. 2005, 2341; Cass. 4 giugno 2003, ivi 2005, 2066; Cass. 18 settembre 2002, in Dir. pen. proc. 2003, 1108; Cass. 5 febbraio 2001, in Foro it. 2002, II, c. 263; Cass. 26 novembre 1998, in Cass. pen. 1999, m. 1131; Cass. 10 novembre 1997, in Giust. pen. 1998, II, c. 512; Cass. 16 aprile 1996, in Cass. pen. 1997, 849; Cass. 4 luglio 1995, in Riv. pen. 1996, 526; Cass. 18 marzo 1992, ivi 1993, 2377; App. Reggio Calabria 6 marzo 1986, in Foro it. 1987, 361; Cass. 7 agosto 1984, ivi 1985, II, 273, con nota di Fiandaca; cfr. le perplessità di Mangione, La misura di prevenzione, op. cit., 235-263 sulla stessa nozione di disponibilità.
[26]) Cass. 16 aprile 1996, in Cass. pen. 1997, 849.
[27]) Cass. 7 dicembre 2005, n. 2960; Cass. 5 dicembre 1996, in Cass. pen. 1997, 2847; Cass. 14 febbraio 1997, ivi 1997, 3171; la “disponibilità è presunta, senza necessità di specifici accertamenti” Cass. 4 giugno 2003, ivi 2005, 2066; Cass. 18 settembre 2002, in Dir. pen. proc. 2003, 1108; cfr. Corso, op. cit.., 138, afferma che il «principio barbarico» della responsabilità familiare sostituisce il principio di civiltà racchiuso nella regola dell’art. 27 Cost.
[28]) Gialanella, I patrimoni di mafia, cit., 130.
[29]) Cass. 28-3-2002, in Cass. pen. 2003, 605; Cass. 20-11-1998, in Cass. pen. 1999, 3238.
[30]) Cass. 2 marzo (28 aprile) 2005, Terrasi D. ed altri, n. 15813; Cass. 7 dicembre (25 gennaio) 2005, n. 2960, Nangano ed altro, CED rv. 233429; cfr. Gialanella, La Corte di Cassazione e l’Incompiuta della prevenzione patrimoniale antimafia, op. cit., 46 - 47.
[31]) Cass., 17 gennaio 2008, n. 6613, C. e altro, in CED Cass. pen. 2008; Cass. 16 aprile 2007, n. 21048, , Faldetta L. ed altri, in Juris data online; Cass. 29 settembre (15 novembre) 2005, Cristaldi A. e Cantone G., n. 41195.
[32]) Contra Gialanella, La Corte di Cassazione e l’Incompiuta della prevenzione patrimoniale antimafia, op. cit., 46 – 47, ritiene che il limite temporale non fornisca alcun contributo alla semplificazione della funzionalità del sistema e che già prima della riforma l’onere della prova della disponibilità dei beni incombeva sui parenti e conviventi in virtù dell’art. 2 bis, c. 3; Fiorentin, op. cit., 110 il quale apprezza l’introduzione di tali presunzioni iuris tantum, “attesa la ben nota difficoltà di provare il carattere fittizio degli eventuali trasferimenti di beni o utilità economiche a soggetti compiacenti”.
[33]) Da ultimo Maugeri, La lotta contro l’accumulo, cit., 563.
[34]) Cass. 16 gennaio 2004 (2 aprile 2004), n. 15455, Napolitano G.,in Foro it. 2004, II, 685; Cass., 9 novembre 2006, Quarta, n. 38803; Cass. 29 marzo 2006, n. 24633, in Guida al dir. 2006, 32, 90 ss., 92 (par. 1); Cass., 14 giugno 2006, Ghetta, n. 31988; Cass., 10 gennaio 2007, n. 316, G.s.r.l., in www.reatisocietari.it.; Cass. pen., 7 maggio 2008, n. 22903; Cass. pen., 8 maggio 2008, n. 21566; Cass. pen., 5 giugno 2008, n. 28685.
[35]) Così Maugeri, La riforma delle sanzioni patrimoniali, op. cit., 174 - 175.
[36]) Così Mangione, La misura di prevenzione, op. cit., 410.